liver
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mercoledì 25 gennaio 2012
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a chi serve?
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Una storia che non serve ai moderati (tale è l’ovvietà dei concetti che propone), mentre i fondamentalisti di una parte o dell’altra non trarranno comunque una lezione. Troppo elementare.
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beffer
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mercoledì 25 gennaio 2012
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le favole purtroppo non sono realta'
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Quando un film è una favola e una speranza insieme, ma le speranze sono favole e le favole non sono la realta', per quanto bello e dolce possa essere questo film rimarra' solo una favola con l'unica certezza che se le cose dovessero cambiare questo lo si dovra' esclusivamente alle Donne-
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pepito1948
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martedì 24 gennaio 2012
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uomini sull'orlo di una crisi di nervi
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Nella Lisistrata di Aristofane la protagonista ateniese convoca le donne di Atene e di altre città greche per concordare un'azione comune contro l'esasperato bellicismo dei loro uomini -allora concentrato nella guerra del Peloponneso- colpevoli di anteporre le armi alle cure ed ai doveri coniugali. Decidono quindi di attuare uno sciopero del sesso per costringere i riluttanti maschi guerrieri a tornare alle loro case (ed ad abbandonare la guerra)e, grazie alla fermezza ed alla compattezza delle fiere combattenti, l'obiettivo, sia pure dopo non facili trattative, sarà raggiunto in un tripudio generale. Qualcosa del genere avviene nell'ultimo film di Nadine Labaki, in cui in un villaggio libanese viene sperimentata la convivenza di famiglie cristiane e musulmane, guidate di comune accordo da un prete e da un imam.
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Nella Lisistrata di Aristofane la protagonista ateniese convoca le donne di Atene e di altre città greche per concordare un'azione comune contro l'esasperato bellicismo dei loro uomini -allora concentrato nella guerra del Peloponneso- colpevoli di anteporre le armi alle cure ed ai doveri coniugali. Decidono quindi di attuare uno sciopero del sesso per costringere i riluttanti maschi guerrieri a tornare alle loro case (ed ad abbandonare la guerra)e, grazie alla fermezza ed alla compattezza delle fiere combattenti, l'obiettivo, sia pure dopo non facili trattative, sarà raggiunto in un tripudio generale. Qualcosa del genere avviene nell'ultimo film di Nadine Labaki, in cui in un villaggio libanese viene sperimentata la convivenza di famiglie cristiane e musulmane, guidate di comune accordo da un prete e da un imam. Ma le rivalità tra le due componenti cova sotto le ceneri finchè rischia di esplodere alla casuale uccisione di un giovane della comunità: saranno le donne di entrambe le parti, attraverso vari espedienti -tra cui la richiesta collaborazione di ragazze tutte pepe e sensualità provenienti dall'Est europeo- ad allentare le tensioni e ad imporre la pace, o almeno un armistizio temporaneo.
Traendo spunto dalla complessa coesistenza di diversi credo religiosi del suo Paese, il Libano, Labaki ha messo sul fuoco un calderone in cui all'ingrediante dominante della commedia ha unito un tocco di dramma, qualche grano di musical, una spruzzata di sentimentalismo, un pizzico di bolliwood, il tutto in salsa etnica agrodolce. Il piatto è talmente piaciuto in patria da superare gli incassi di colossi come Avatar o Titanic. L'operazione della regista-sceneggiatrice- attrice è evidente: mettere nel dovuto risalto la capacità del mondo femminile nel guidare il cambiamento nei Paesi in cui i rapporti tra differenti entità culturali stentano a trovare una soddisfacente composizione a causa della pari incapacità degli uomini di trovare soluzioni che prescindano dal ricorso alle armi. Il peso delle donne nella primavera araba, come in altri contesti pervasi da fermenti rivendicativi come l'Iran lo stanno a dimostrare. "La società si può cambiare anche senza rivoluzioni, all'interno delle nostre case, nel modo in cui educhiamo i nostri figli. Lo capisco ancora di più ora che sono diventata madre e sono felice che le donne arabe si stiano rendendo conto di quanta responsabilità e quanto potere c'è nelle loro mani". Operazione non facile quella di affrontare un tema come quello del sanguinoso conflitto dominante in certi Paesi arabi ricorrendo alla morbidezza del sorriso ed a una certa grazia tutta femminile. La tragedia che fa da sfondo irrompe improvvisamente con una lunga sequenza di morte che rompe il filo ed il tono della narrazione, che tuttavia si innesta come pretesto per spingere le protagoniste ad uscire dal ristagno e ad attivarsi in modo determinante per risolvere l'impasse. Qualche frattura si avverte nel cambio di tensione, ma nel complesso la vicenda scorre piacevolmente verso l'ambiguo finale, in cui le due parti riconquistano la pace smarrita ma sembrano incerte sulla loro identità futura. Le sequenze musicali, accompagnate dai testi sottotitolati, aggiungono un tocco di poesia al già ricco miscuglio di ingredienti, tanto che la fluidità del tutto mostra qualche pecca in termini di omogeneità. Buono il cast, considerato che la Labaki si avvale di attori non professionisti.
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flyanto
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lunedì 23 gennaio 2012
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quando la risoluzione dei problemi è in mano alle
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Film realizzato in chiave ironica sulla situazione di conflitto esistente tra la popolazione di religione cattolica e quella musulmana di un paesino montuoso del Medio Oriente . Molto semplicistico nella risoluzione dei problemi che gravano sull'intera area geografica da parte della comunità femminile e pertanto il film risulta molto inferiore al precedente "Caramel" della stessa regista, comunque, nell'insieme risulta gradevole nel corso della sua rappresentazione.
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maribat
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domenica 22 gennaio 2012
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intelligenza e umerismo al servizio dell'umanità
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Ho visto il film, in lingua originale con sottotitoli, il mese di settembre 2011. Per me è semplicemente meraviglioso; contenuti, fotografia,location rendono quest'opera una finestrasul mondo degli esseri umani, sulle loro debolezze e grandiosità. Nadine Labaki è una donna sensibile oltre che intelligente; il suo film merita l'Oscar. Da vedere.
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m.barenghi
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domenica 22 gennaio 2012
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nella "non-appartenenza"
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Un villaggio rurale nel Libano, nazione dilaniata da anni di guerra e massacri. Lontani quel che basta dalla civiltà,la gente del villaggio convive in pace e armonia, curandosi non più di tanto dell' appartenenza alla fede cristiana o musulmana. Qualche segno c'è, come è connotato nella bellissima sequenza d'apertura, in cui un corteo di donne di entrambe le confessioni si reca al cimitero a piangere i propri numerosi morti, a destra le cristiane, a sinistra le musulmane. E a questo rito comune si recano danzando, dapprima in modo appena accennato, tanto da suscitare nello spettatore il dubbio di essere davanti a un musical. Su questa commistione di generi e timbri narrativi il film gioca moltissimo, alternando i registri della commedia (si ride a tratti anche di gusto!!) e della tragedia con tanta disinvoltura da disorientare quasi lo spettatore.
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Un villaggio rurale nel Libano, nazione dilaniata da anni di guerra e massacri. Lontani quel che basta dalla civiltà,la gente del villaggio convive in pace e armonia, curandosi non più di tanto dell' appartenenza alla fede cristiana o musulmana. Qualche segno c'è, come è connotato nella bellissima sequenza d'apertura, in cui un corteo di donne di entrambe le confessioni si reca al cimitero a piangere i propri numerosi morti, a destra le cristiane, a sinistra le musulmane. E a questo rito comune si recano danzando, dapprima in modo appena accennato, tanto da suscitare nello spettatore il dubbio di essere davanti a un musical. Su questa commistione di generi e timbri narrativi il film gioca moltissimo, alternando i registri della commedia (si ride a tratti anche di gusto!!) e della tragedia con tanta disinvoltura da disorientare quasi lo spettatore. Così i toni scanzonati delle sequenze iniziali si alternano con quelli più duri dello scontro ideologico, nel cui innesco non sono estranei i mezzi d'informazione (stampa e TV), e con quelli più tragici della morte di un figlio. E' alle donne che la regista affida il ruolo di interpreti della pace e protagoniste della convivenza. Smaliziate e coraggiose, fino al punto di assoldare ai propri fini una troupe di disinvolte ballerine ucraine, sulle quali convogliare gli ardenti bollori dei loro focosi parenti che vengono così distolti dalla lotta contro l'opposta fazione. L'uomo è in quest'opera figura marginale, caricaturale, o irritante. Con l'eccezione dei due ministri del culto, che legittimano da subito con i propri discorsi conciliatori l'idiosincrasia delle loro fedeli alla lotta e al lutto. Il tema-chiave di questo film coraggioso è la non-appartenenza: in questo valore, che non comporta necessariamente il sacrificio della propria identità, sta la strada a senso unico per poter conservare una convivenza pacifica. Ed è singolare che nel nostro panorama culturale, la sola voce che si sia levata negli ultimi anni a sottolineare gli stessi concetti sia stata quella di un altro intellettuale anch'egli libanese: mi riferisco a Gad Lerner e al suo "Tu sei un bastardo".
Alla seconda regia cinematografica dopo il delizioso "Caramel", la bella Nadine Labaki confeziona magnificamente un'opera di elevata levatura estetica e culturale, e di grande impegno civile. La sequenza finale, splendida, chiude circolarmente il film in un'atmosfera consolatoria e ottimistica, dando ragione anche del titolo dell'opera, che a scatola chiusa potrebbe invece suonare greve e impegnativo.
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linus2k
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domenica 22 gennaio 2012
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parabola umanista sulla speranza
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Cosa aspettarsi da un film che inizia con un gruppo di donne vestito in nero, un coro funebre muto, danzante, quasi da tragedia greca, di impatto fortemente drammatico?
"E ora dove andiamo?", ultimo film di Nadine Labaki, già amata regista di "Caramel", è fondamentalmente un film corale, un film di donne, ben presentato e rappresentato dall'incipit, una favola, o forse sarebbe meglio dire una parabola, una parabola molto più laica di quanto la religione iperpresente possa far pensare, arriverei a definirla una parabola "umanista"
Siamo in Medio Oriente, in una Nazione non ben precisata, in un paese non ben precisato, piccolo villaggio abitato da cattolici e musulmani, che ancora porta evidenti e tragici cicatrici di battaglie sanguinose, cicatrici ben presenti nelle anime delle donne, grandissime donne che del lutto e del dolore hanno fatto occasione preziosa di elaborazione, fraternizzazione e superamento di divisioni.
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Cosa aspettarsi da un film che inizia con un gruppo di donne vestito in nero, un coro funebre muto, danzante, quasi da tragedia greca, di impatto fortemente drammatico?
"E ora dove andiamo?", ultimo film di Nadine Labaki, già amata regista di "Caramel", è fondamentalmente un film corale, un film di donne, ben presentato e rappresentato dall'incipit, una favola, o forse sarebbe meglio dire una parabola, una parabola molto più laica di quanto la religione iperpresente possa far pensare, arriverei a definirla una parabola "umanista"
Siamo in Medio Oriente, in una Nazione non ben precisata, in un paese non ben precisato, piccolo villaggio abitato da cattolici e musulmani, che ancora porta evidenti e tragici cicatrici di battaglie sanguinose, cicatrici ben presenti nelle anime delle donne, grandissime donne che del lutto e del dolore hanno fatto occasione preziosa di elaborazione, fraternizzazione e superamento di divisioni. La perdita di mariti, figli, per loro è sprono per proteggere, fino all'isolamento, i propri cari sopravvissuti; fino a distruggere tv, giornali, perché l'eco delle battaglie fratricide tra cattolici e mussulmani non arrivino, non avvelenino il loro paese con nuovi scontri, e nuovi morti.
Certo è un film a volte ingenuo, sicuramente non realistico e non credo che fosse nella volontà della regista raccontare una storia realistica.
Attraverso repentini ed a volte pindarici (e disorientanti) cambi di registro narrativo, dalla commedia al musical fino al dramma, la Labaki, con una grazia ed una sensibilità tutta femminile, racconta questo piccolo universo fatto da uomini e donne, bambini, imam, preti e capre... ed emoziona, arriva fino a scuotere le più sottili corde dell'animo, raccontando come l'amore per i cari, la voglia di pace e di serenità sia la massima aspirazione, la vera e unica religione da seguire, oltre chiese e moschee.
Ad impreziosire il film un cast femminile a dir poco straordinario, attrici splendide che ci narrano di donne forti che fanno della complicità e dell'ironia, la forza per superare i piccoli, naturali dissapori quotidianii, e tirare avanti l'intero paese.
"E ora dove andiamo?" è un film fondamentalmente molto femminista (e gli uomini non ci fanno assolutamente una bella figura...), ma in cui la donna è celebrata quale portatrice e difenditrice della vita e diventa quasi sinonimo di speranza, quella che si affaccia nella scena finale del film, che nel suo dramma riesce a portare con sè la leggerezza del futuro più roseo.
...da vedere e da amare...
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