Il discorso del re |
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Un film di Tom Hooper.
Con Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Jennifer Ehle.
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Titolo originale The King's Speech.
Storico,
durata 111 min.
- Gran Bretagna, Australia 2010.
- Eagle Pictures
uscita venerdì 28 gennaio 2011.
MYMONETRO
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un classico
di olgadikFeedback: 9778 | altri commenti e recensioni di olgadik |
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mercoledì 2 febbraio 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Non credo si tratterà di una pietra miliare nella storia del cinema, ma certo è un lavoro coinvolgente, ben diretto, ottimamente recitato, raffinato e semplice. In una parola un classico. La trama si rifà a personaggi e fatti della storia recente. Al centro la figura di Giorgio VI° d’Inghilterra, padre dell’attuale regina, succeduto al fratello Edoardo VIII° che abdicò al trono per sposare la divorziata e discussa Wally Simpson. Mentre questo avviene in Inghilterra, Hitler in Germania si prepara alla guerra e ben presto il conflitto coinvolgerà anche la Gran Bretagna. Toccherà al nuovo re, afflitto da sempre da una balbuzie poco adatta ai suoi obblighi di regnante, fare alla nazione il discorso che deve dare la carica al suo paese e risvegliarne l’orgoglio. Il film altro non è che l’analisi del percorso di cura del re, iniziato prima di questi fatti quando era ancora il principe di York. Su insistenza della moglie Elisabetta egli si convince ad affidarsi a un logopedista australiano poco noto, empirico e sui generis come individuo. Da questo incontro, prima contrastato, che poi diventa quasi un’analisi freudiana, nasce un’amicizia che durerà tutta la vita. A impersonare le due figure troviamo Colin Firth e Geoffrey Rush: non saprei davvero chi dei due è più bravo e convincente. Allo stesso livello mi è apparsa sapientemente disinvolta Helena Bonham Carter nel ruolo della regina consorte della quale ha saputo rendere con grazia la personalità. Regista del film è Tom Hopper, da noi poco noto ma autore di opere tv di gran successo in patria. Anche se giovane, sembra già abile nei dipinti biografici perché sa ricreare personaggi potenti senza agiografie, ma scegliendo di guardarli dall’ottica delle sfaccettature umane e più intime. Qui l’occhio che indaga sulla natura complessa del re è quella del logopedista, che poco a poco ne cattura la fiducia, trattandolo con rispetto non formale ma anche con confidenza. Così ne supera la spigolosità, facendo affiorare i veri motivi alla base del suo problema. Le cause della balbuzie si radicano infatti nel rapporto con un padre ingombrante, nei complessi d’inferiorità verso il fratello brillante ed estroverso e quindi in una carenza di autostima. I duetti tra gli interpreti principali sono gran parte del racconto, ma tutti i particolari sono curati dalla regia. Pochi tocchi indovinati rendono bene l’atmosfera nebbiosa e cupa della Londra dell’epoca. Gli interni, poco luminosi, ricchi di boiserie e toni caldi, danno il senso di una vita elegante ma sottotono, sia che si tratti delle residenze regali sia delle case borghesi con caminetto e vetrate di quel tempo da cui filtra poca luce. Quella suggerita con maestria è un’Inghilterra ancora salda nei suoi riti, nelle sue brume, nella propria ricchezza non esibita. La fotografia di Danny Cohen, quasi seppiata negli interni, alterna i colori ocra di questi ai grigi cupi o chiari degli esterni. Le inquadrature spesso sono laterali a metà schermo su uno sfondo unico di colore se si tratta di Colin Firth. La macchina invece zumma sulla bocca e sul viso del principe non ancora re di fronte ai grossi microfoni radiofonici di allora. Ottimo anche lo script di David Seidler con dialoghi perfetti nelle pause, con punte emotive che lasciano un po’ in sospeso il pubblico in momenti clou. Il discorso del re non scuote dal profondo gli spettatori, ma certo li affascina e li irretisce con sobrietà ed eleganza.
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