ralphscott
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domenica 11 luglio 2010
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gran bel film d'amore
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Pugni nello stomaco sullo schermo ed in pancia allo spettatore. Forti sentimenti descritti con onestà e partecipazione,per un esito riuscitissimo,emozionante,erotico,commovente. E smettiamola di cercare il pelo nell'uovo:che senso ha parlare di scelte scontate sul mondo nazi? Il regista è evidentemente interessato al phatos tra i due ragazzi,pertanto non ha senso aspettarsi approfondimenti sul gruppo di estremisti. E poi,siam sicuri che esista qualcosa sotto la superficie di quegli individui? Essi parlano di cose secondo- e contro-natura,unico modo per argomentare i "pensieri" dei loro cervellini fritti. Mi ricorda qualcuno che abita a Roma,in una torre d'avorio,zavorra per l'intera società civile italiana,e non solo.
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renato volpone
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venerdì 9 luglio 2010
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che bel film
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Il film è struggente, adatto anche ad un pubblico che non ama i film violenti, è una storia d'amore e di possibilità, di speranza che non sfiorisce mai, una condanna della violenza gratuita e provocata. Gli attori esprimono con intensità il proprio personaggio calandosi perfettamente nella parte, tutti. Il finale non nasconde la possibilità che ci possa essere per tutti un mondo migliore. Assolutamente da vedere
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lukemc67
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film ambiguissimo sul piano ideologico
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Melodrammone in salsa nordica che cerca di coniugare il gelo scandinavo con le torride passioni mediterranee esattamente come cerca di far coniugare ai suoi protagonisti omosessualità latente con la scelta di rifiutarla aderendo a chi la combatte e la punisce attivamente. Risultato: se dal lato sentimentale l'obiettivo è centrato quasi shakespearianamente, la delusione è totale quanto al rapporto tra fobia per il diverso e l'essere se stessi "diversi". Il regista ha dichiarato di essersi ispirato a un documentario della tv danese: ammesso pure che la televisione in Danimarca sia di buon livello qualitativo, Donato casca in pieno nella trappola di tratteggiare a suon di stereotipi proprio l'ambiente neonazista che invece avrebbe meritato una ben più profonda analisi realistica e una rielaborazione personale.
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Melodrammone in salsa nordica che cerca di coniugare il gelo scandinavo con le torride passioni mediterranee esattamente come cerca di far coniugare ai suoi protagonisti omosessualità latente con la scelta di rifiutarla aderendo a chi la combatte e la punisce attivamente. Risultato: se dal lato sentimentale l'obiettivo è centrato quasi shakespearianamente, la delusione è totale quanto al rapporto tra fobia per il diverso e l'essere se stessi "diversi". Il regista ha dichiarato di essersi ispirato a un documentario della tv danese: ammesso pure che la televisione in Danimarca sia di buon livello qualitativo, Donato casca in pieno nella trappola di tratteggiare a suon di stereotipi proprio l'ambiente neonazista che invece avrebbe meritato una ben più profonda analisi realistica e una rielaborazione personale. Quanto al dramma umano dei protagonisti, sempre Donato ha affermato che voleva "mostrare il lato umano dei cattivi": il materiale c'era, sarebbe bastata la passione tra i protagonisti, resa così meravigliosamente dalla fisicità e dalla prossimità insistente e impietosa della cinepresa sui loro corpi. Ma, anche qui, l'ingranaggio non funziona: se lo spettatore è letteralmente inghiottito nella passione dei due, non altrettanto lo è in tutto ciò che accade "collateralmente" e che invece avrebbe dovuto essere il co-protagonista obbligato dell'intera vicenda. Peccato davvero perché era una notevole occasione per analizzare quell'omofobia che infesta anche il nostro Paese e che spessissimo è alimentata e praticata proprio da chi reprime con ogni mezzo le proprie spinte omoerotiche. Oppure, avrebbe potuto essere un viaggio al fondo del mondo neonazi europeo, alimentato da giovani impauriti, insoddisfatti e soprattutto senza alcuna prospettiva di futuro migliore rispetto a quello che i loro padri e nonni hanno prima conquistato e poi goduto oltremisura. Il film, però, non è da buttar via perché comunque funziona benissimo sul piano melodrammatico: le straordinarie interpretazioni dei vari attori, che (si) mettono in gioco tutto quel che il fisico, la mimica facciale e gli sguardi possono comunicare, lo stile "Dogma-attenuato" che Donato sceglie per fotografia e montaggio (alla produzione di questa pellicola c'è anche la Zoentropa di un certo signor Von Trier), restituiscono in pieno l'erotismo estremo che regna tra i due protagonisti: una fisicità talmente spinta che sembra quasi di poter sentire l'odore e le temperature dei corpi quando stanno per approcciarsi, mentre si abbandonano agli amplessi, quando si separano e quando si dilaniano. Il tutto però è condito da troppi stereotipi e troppe citazioni (forse involontarie) del celebre film di Ang Lee, con tanto di pianto rotto del compagno-carnefice(?) sul corpo coperto di tumefazioni del compagno-vittima(?)... Suo malgrado, quindi, il film finisce con l'essere ambiguissimo proprio sul piano ideologico, non approfondendo quel razzismo profondo che colpisce il gay Jimmy e i suoi compagni (più o meno) etero. Il finale aperto salva in parte il pasticcio lasciando volutamente sospese sull'orlo del baratro le esistenze di tutti i personaggi del film. Nota particolare di merito all'attore che impersona Patrick, il fratello drogato del protagonista: il suo dramma di persona ferita dall'assenza di riferimenti "adulti" stabili e dal sentirsi (ed essere) continuamente tradito, "passano" molto più delle contorsioni sentimentali troppo ragionate dei protagonisti, i quali, ultima e definitiva ambiguità del film, finiscono con esprimerle attraverso il linguaggio più emotivo che c'è: quello degli occhi.
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paola_alioto
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brotherhood, ma la fratellanza non c'è
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Nessuna redenzione per i Neo-nazisti: questo sembra essere il messaggio di Brotherhood - Fratellanza, opera prima del regista italo-danese Nicolo Donato. All'interno di un gruppo neo-nazi danese si insinua un nuovo adepto, Lars, un ex-soldato, che pian piano guadagnerà punti all'interno dell'organizzazione, entrando nelle grazie di Kilo (il capo banda diciamo). Tra i vari membri del gruppo, Lars crea un legame, complice, in tutto questo, la convivenza in una casa sulla spiaggia da ristrutturare, con Jimmy. Il rapporto sfocerà in una relazione d'amore, che porterà con se il grave problema di essere nata in un ambiente che non la consente. La micro-società nazi in cui Lars e Jimmy, soprattutto quest'ultimo, vivono, non ammette relazioni omosessuali, al contrario, proprio gli omosessuali sono oggetto dei loro pestaggi (proprio con la violenza su un ragazzo gay inizia il film); del resto, si sa, i nazisti, per antonomasia, sono omofobi, xenofobi.
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Nessuna redenzione per i Neo-nazisti: questo sembra essere il messaggio di Brotherhood - Fratellanza, opera prima del regista italo-danese Nicolo Donato. All'interno di un gruppo neo-nazi danese si insinua un nuovo adepto, Lars, un ex-soldato, che pian piano guadagnerà punti all'interno dell'organizzazione, entrando nelle grazie di Kilo (il capo banda diciamo). Tra i vari membri del gruppo, Lars crea un legame, complice, in tutto questo, la convivenza in una casa sulla spiaggia da ristrutturare, con Jimmy. Il rapporto sfocerà in una relazione d'amore, che porterà con se il grave problema di essere nata in un ambiente che non la consente. La micro-società nazi in cui Lars e Jimmy, soprattutto quest'ultimo, vivono, non ammette relazioni omosessuali, al contrario, proprio gli omosessuali sono oggetto dei loro pestaggi (proprio con la violenza su un ragazzo gay inizia il film); del resto, si sa, i nazisti, per antonomasia, sono omofobi, xenofobi. Essere "diversi" e appartenere ad un mondo che contro quei diversi usa la violenza: l'unica soluzione per Lars e Jimmy è tenere tutto nascosto (Lars, propone a Jimmy di scappare, mollare tutto ma lui, fedele all'organizzazione ribadirà che non è possibile lasciarla, ripetendo "Sai cosa succede?!?"). Ma tutti i nodi vengono al pettine, e così i due verranno scoperti dal fratello minore di Jimmy che andrà a riferire tutto a Kilo. Qui viene da chiedersi dove sta la Fratellanza del titolo, se con tale termine si indica quel vincolo affettivo, di sangue che lega due persone e, sulla base del quale, anche con delle reticenze, il giovane dovrebbe accettare lo "status" di Jimmy ed invece... Davanti all'ideologia nazista nemmeno i legami di sangue valgono qualcosa... o forse, a questo c'è da aggiungere l'eventualità che, riportare la situazione a Kilo, per il giovane sia l'unica possibilità di liberarsi di Lars... Un forte senso della circolarità sembra propagarsi: Jimmy, quasi alla fine, quando sembra deciso a fuggire via con Lars, viene ferito dal giovane gay picchiato nella scena d'apertura del film. Fine della pseudo-fuga. I sogni di Jimmy distrutti allo stesso modo in cui lui e gli altri "fratelli" distruggono quelli degli altri. Ed il finale del film ne è il corollario. Per questo amore non c'è speranza... Lodevole è l'intento del regista di aver scelto di trattare un tema abbastanza forte, ma il film in alcuni punti tende un pò a cadere in coloriture da "mèlos hollywoodiano" che ne sviliscono il valore.
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stefanosantoli
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riflettori puntati sui risvolti emotivi
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Scrive Jonathan Littell che il fascista “si è costruito un Io esteriorizzato che si presenta come una corazza. Tale armatura trattiene nell’interiorità le funzioni desideranti. Ma questo Io-corazza non è mai perfettamente ermetico, anzi è fragile; nei momenti di crisi si frantuma, e il fascista rischia di essere travolto dalle sue stesse produzioni desideranti incontrollabili”. E’ questa la tensione esistenziale, prima ancora che ideologica, da cui trae linfa la vicenda narrata nel film “Brotherhood” dell’esordiente danese Nicolo Donato, vincitore del Festival di Roma 2009. Il film racconta una passione omosessuale che sboccia all’interno di una cellula di naziskin danesi. Girato con nervosa camera a mano da un regista che esce dalla scuola di Von Trier dei cui canoni estetici si sente l’influenza, il film si nutre del contrasto tra i due mondi che fa cortocircuitare, nell’antitesi tra momenti di estrema violenza e altri di acceso erotismo (reso con mirabile equilibrio tra pudore e intensità: così come intensa e allo stesso tempo timida, pudica quasi, è la passione descritta).
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Scrive Jonathan Littell che il fascista “si è costruito un Io esteriorizzato che si presenta come una corazza. Tale armatura trattiene nell’interiorità le funzioni desideranti. Ma questo Io-corazza non è mai perfettamente ermetico, anzi è fragile; nei momenti di crisi si frantuma, e il fascista rischia di essere travolto dalle sue stesse produzioni desideranti incontrollabili”. E’ questa la tensione esistenziale, prima ancora che ideologica, da cui trae linfa la vicenda narrata nel film “Brotherhood” dell’esordiente danese Nicolo Donato, vincitore del Festival di Roma 2009. Il film racconta una passione omosessuale che sboccia all’interno di una cellula di naziskin danesi. Girato con nervosa camera a mano da un regista che esce dalla scuola di Von Trier dei cui canoni estetici si sente l’influenza, il film si nutre del contrasto tra i due mondi che fa cortocircuitare, nell’antitesi tra momenti di estrema violenza e altri di acceso erotismo (reso con mirabile equilibrio tra pudore e intensità: così come intensa e allo stesso tempo timida, pudica quasi, è la passione descritta). Il protagonista Lars (davvero bravo Thure Lindhardt: ma ottimi appaiono tutti gli interpreti), è un ex sergente che, scottato da una mancata promozione, abbandona la carriera e viene accolto da un gruppo neonazi nei confronti del quale provava un’iniziale avversione. Ne diverrà proselito, blandito nella sua frustrazione dal capo Michael, il quale intravede nel suo sdegno una superiore brillantezza intellettuale di cui il gruppo si gioverebbe. Sono dinamiche, ben descritte nel film, cui Hannah Arendt ha dedicato pagine importanti del suo “La banalità del male”. Tra Lars e Patrick (Morten Holst) nasce un rapporto in cui Patrick assiste letteralmente senza parole all’emersione della sua interiorità nascosta. Lars rimane più lucido, in un’autonomia di giudizio non scalfita dalle logiche del gruppo, tanto ottuse quanto frutto di profonda immaturità (rivelatore a riguardo il giudizio con cui i neonazi vengono liquidati dalla madre di Lars, della quale per il resto si intuisce un atteggiamento protettivo incentrato sulla carriera, e non ricettivo dell’identità del figlio). Lars è irriverente, e ragiona abbastanza da attrarsi più spesso le antipatie dei membri omologati del gruppo nazista, i cui comportamenti sono descritti attraverso stereotipi che non si fatica a ritenere purtroppo verosimili. La pellicola avrebbe tratto spessore da un loro più preciso approfondimento, e da un’esposizione meno schematica delle dinamiche interne di potere. Ma al regista e sceneggiatore interessano soprattutto i risvolti interiori, e li rivestono di adeguate tinte melodrammatiche. Donato ha affermato, riduttivo, che l’ambientazione neonazista fosse un espediente “per dimostrare che l'amore non si può controllare: volevo inserirlo in un contesto in cui non è accettato ma in cui nasce lo stesso”. I momenti più belli del film sono in effetti quelli in cui i rumori sfumano, e la musica apre un varco a scene di lirismo ricercato, quasi a indicare una (man mano più difficile) via di fuga. Quello che il film però manca è di sviscerare le contraddizioni dell’animo di Lars, andando al cuore delle loro conseguenze. Come rimane un’esposizione esteriore quella dei cerimoniali nazisti, così la pellicola ci offre un bagaglio di suggestioni e argomenti ben composti fra loro, ma il finale aperto lascia la sensazione di aver assistito alla superficie di un conflitto, di una frattura che è lontana dal risolversi: sia tra i diversi individui coinvolti, sia, soprattutto, nel profondo degli animi.
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he wore blue velvet
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brotherhood, un film sulla bellezza
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"Sei bello" dice Jimmy al ragazzo in mutande di fronte a lui. Poi inizia a pestarlo. Sembrano parole quasi vere a sentirle pronunciare così, al buio, nel silenzio più totale, poi rotto dal suono della violenza. Ciò che appare davanti agli occhi spinge a chiedersi quale sia il reale significato di tutto ciò. Che cosa sia realmente la "fratellanza" che dà nome al film, che cosa ci sia alla base di una confraternita neonazista, comunità fondata sull'odio. Il sociologo Max Weber differenziava la comunità dalla società definendola come un gruppo di individui il cui agire si basava su un sentimento di comune appartenenza. La realtà che ci appare del film si discosta però da questa teoria. Ciò che il regista ci mostra, è la vera natura di coloro che compongono una struttura malata come un gruppo neonazista.
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"Sei bello" dice Jimmy al ragazzo in mutande di fronte a lui. Poi inizia a pestarlo. Sembrano parole quasi vere a sentirle pronunciare così, al buio, nel silenzio più totale, poi rotto dal suono della violenza. Ciò che appare davanti agli occhi spinge a chiedersi quale sia il reale significato di tutto ciò. Che cosa sia realmente la "fratellanza" che dà nome al film, che cosa ci sia alla base di una confraternita neonazista, comunità fondata sull'odio. Il sociologo Max Weber differenziava la comunità dalla società definendola come un gruppo di individui il cui agire si basava su un sentimento di comune appartenenza. La realtà che ci appare del film si discosta però da questa teoria. Ciò che il regista ci mostra, è la vera natura di coloro che compongono una struttura malata come un gruppo neonazista. Egli ci presenta individui pedine di un gioco a cui essi stessi non saprebbero dare spiegazione. Personaggi che si contrappongono in questo piccolo nucleo. Chi forte e chi debole. Chi razionale e chi impulsivo. Chi silenzioso e chi chiassoso. Ma coloro su cui il regista punta la telecamera per cercare di spiegarli e giustificarli allo stesso tempo non sono altro che individui estremamente soli. La solitudine che li attanaglia li porta a vendersi per uno scopo o un ideale fantasma. È così che Lars (Thure Lindhardt), ex militare dal forte carattere, commette atti che egli stesso inizialmente definiva "cazzate". Allo stesso modo Jimmy (David Dencik), membro A del gruppo, capisce di esser stato solo sino dell'arrivo di Lars. L'incontro dei due ricorda a tratti quello dei cowboys di Brokeback Mountain, uomini forti e virili, con tanto di famiglia, ma che iniziano ad amarsi segretamente pur continuando a dichiararsi non gay. Anche nel caso di Lars e Jimmy c'è la sensazione che se si ponessero la domanda entrambi risponderebbero di non essere omosessuali. Pur amandosi però. Pur desiderando la vicinanza l'uno dell'altro. L'unione carnale tra i due è una vera e propria unione di corpi che si fondono a testimoniare un incontro che legherà i loro destini. Le luci trasformano i due personaggi in ombre indistinte nel buio delle loro forme. Non vedendo più i connotati e i lineamenti dei due, ci si perde nella meraviglia dei movimenti e della musica che li accompagna. Ma la bellezza ha bisogno anche del suo contrario per poter risplendere come tale. E tutto ciò che le si oppone si condensa per tentare di distruggerla. Rabbia, odio, invidia, vendetta. Sentimenti comuni, ma che il regista rappresenta dentro una situazione di cui si è perso il controllo. L'odio genera solo altro odio. E così ci si trova davanti al tradimento più inaspettato ma anche alla vendetta di chi ha paura. ''Volevo fare un film su una storia d'amore e l'ho inserito nel contesto neonazista per mostrare come l'amore è più forte di tutto e che non si può dire di no al sentimento perché prima o poi emergerà, esige rispetto", dice il regista Nicolo Donato, ex fotografo di moda danese di origini italiane. "In quel contesto neonazista in cui l'amore omosessuale non è accettato, in realtà nasce lo stesso''. Vincitore del Marc'Aurelio d'oro all'ultimo Festival del Cinema di Roma, il film precisa il regista "non è una gay-movie e nemmeno un nazi-movie". È un film sulla bellezza. Su quel colore rosso che accompagna i due amanti nei momenti di intimità. Vincendo sul nero.
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brian77
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martedì 6 luglio 2010
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compitino didascalico
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Ennesimo compitino stucchevole. Tema: come raccontare una relazione omosessuale in ambiente terribilmente omofobo? Svolgimento: mettiamola tra i neonazisti, peggio di così... E allora, sotto con una sceneggiatura didascalica, personaggi a una dimensione, andamento scontato, mai un'invenzione di regia manco a pagarla, lentezza esasperata - non lentezza di ritmo (ogni film ha il suo ritmo), ma lentezza di noia per amncanza di idee. Il problema è: per quale motivo questi difetti ammorbano il novanta per cento di quei film che si autodefiniscono "di qualità", mentre non si capisce mai dove sia questa qualità? Ridateci un cinema di idee, di invenzioni, di slanci, di iperboli! Basta con questi compitini per professoresse, dove sai già in anticipo quello che succederà nei dieci minuti successivi - ma non dico a livello di sceneggiatura, chissenefrega, ma a livello di cinema, di idee, di invenzioni.
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Ennesimo compitino stucchevole. Tema: come raccontare una relazione omosessuale in ambiente terribilmente omofobo? Svolgimento: mettiamola tra i neonazisti, peggio di così... E allora, sotto con una sceneggiatura didascalica, personaggi a una dimensione, andamento scontato, mai un'invenzione di regia manco a pagarla, lentezza esasperata - non lentezza di ritmo (ogni film ha il suo ritmo), ma lentezza di noia per amncanza di idee. Il problema è: per quale motivo questi difetti ammorbano il novanta per cento di quei film che si autodefiniscono "di qualità", mentre non si capisce mai dove sia questa qualità? Ridateci un cinema di idee, di invenzioni, di slanci, di iperboli! Basta con questi compitini per professoresse, dove sai già in anticipo quello che succederà nei dieci minuti successivi - ma non dico a livello di sceneggiatura, chissenefrega, ma a livello di cinema, di idee, di invenzioni. Solito piattume. Cinema da festival, ahimé. Andate a vedere questo tipo di produzioni negli ultimi trent'anni: non ce n'è una che sia rimasta nella storia del cinema. Passano e volano via nel nulla, naturalmente dopo essere state coperte di elogi...
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superj
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lunedì 5 luglio 2010
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elegantemente crudele
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Dovrebbero proiettarlo nelle scuole, nei cineforum, per fa vedere, per cercare di far capire ai tanti ragazzi che disegnano una svastica sullo zaino senza sapere cosa vuol dire, alle tante persone che si permettono di giudicarne altre in base al loro orientamento sessuale. Un film pieno di amore, ma soprattutto, nonostante la cattiveria che lega quelle persone, molto dolce.
Bella la fotografia, riesce perfettamente a comunicare la freddezza dei luoghi e delle menti di questo gruppo di "fratelli" persi nei loro deliri storici e perversi.
Commossa per l'elengaza dell'approcio fisico tra i due protagonisti, l'amore non ha categorie..
[+] intenso ed elegante
(di anja1)
[ - ] intenso ed elegante
[+] troppo in superficie
(di twoems)
[ - ] troppo in superficie
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legolas84
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un sentimento che sconfigge qualsiasi ideologia
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Due piccole S tatuate sul collo come segno di riconoscimento, il cranio rasato, una grande aquila uncinata sulla schiena, sul tavolino il Mein Kampf di Hitler e ripiegate, pronte all'uso dei raduni, le bandiere del Terzo Reich. L'apparenza a volte può ingannare se dietro i raid punitivi al centro rifugiati o alla comunità di pachistani, dietro le parole dure - quello "sporco frocio" ossessivamente ripetuto come intercalare al pub - batte un cuore. E se il cuore batte forte da un uomo per un altro uomo, tradendo ogni regola, prima fra tutte quella di non violare 'la legge di natura', è dramma vero.
Al Festival internazionale del cinema di Roma 2009, è arrivato, Brotherhood, opera prima dell'italo danese Nicolo Donato, una storia ambientata nel mondo neo-nazista in Danimarca.
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Due piccole S tatuate sul collo come segno di riconoscimento, il cranio rasato, una grande aquila uncinata sulla schiena, sul tavolino il Mein Kampf di Hitler e ripiegate, pronte all'uso dei raduni, le bandiere del Terzo Reich. L'apparenza a volte può ingannare se dietro i raid punitivi al centro rifugiati o alla comunità di pachistani, dietro le parole dure - quello "sporco frocio" ossessivamente ripetuto come intercalare al pub - batte un cuore. E se il cuore batte forte da un uomo per un altro uomo, tradendo ogni regola, prima fra tutte quella di non violare 'la legge di natura', è dramma vero.
Al Festival internazionale del cinema di Roma 2009, è arrivato, Brotherhood, opera prima dell'italo danese Nicolo Donato, una storia ambientata nel mondo neo-nazista in Danimarca. E' un viaggio nella realtà misconosciuta dei gruppi neonazi, con la inedita clamorosa variante omosessuale, una deriva passionale vissuta come tradimento dagli altri membri dell'organizzazione e repressa senza pietà. ''Volevo fare un film su una storia d'amore e l'ho inserito nel contesto neonazista - ha detto il regista - per mostrare come l'amore e' piu' forte di tutto e che non si puo' dire di no al sentimento perche' prima o poi emergera', esige rispetto. In quel contesto neonazista in cui l'amore omosessuale non e' accettato, in realta' nasce lo stesso''. Il tema, omosessualità da punire e razzismo, è di incresciosa attualità, trattato qui da un allievo di Lars Von Trier con livido rigore suggerito dai paesaggi nordici e dal tetro look dei protagonisti, in un'escalation di violenza e tensione che diventa dramma e melodramma.
Il protagonista è il biondino Lars (Thure Lindhart) che disilluso dall'esercito diventa un disertore per entrare nel movimento neo nazista. Affidato all'esperto Jimmy (David Dencik), che picchia gay e pachistani ma beve birra biologica perché bisogna rispettare la natura, Lars compie il suo apprendistato. Ma il cottage in riva al mare del Nord che entrambi stanno riparando, sede del movimento neonazista guidato da un canuto presidente con un carismatico grassone come vice, diventa improvvisamente per entrambi una cuccia calda, un microcosmo pericolosamente amoroso con i corpi nudi dei due intrecciati amorevolmente. Lars vorrebbe scappare con Jimmy ma é convinto da quest'ultimo ad aspettare: si compie così un fatale errore. Scoperti, picchiati selvaggiamente dagli altri, Lars e Jimmy restano insieme perché il loro amore 'contronatura', come dicono loro stessi nel film, si rivela più forte dell'indottrinamento ideologico. ''Non e' ispirato precisamente ad una storia vera ma sono rimasto - ha concluso Nicolo' Donato - molto colpito anni fa da un documentario sull'omosessualita' tra i naziskin. Un loro leader era morto di Aids e si e' scoperto che di giorno faceva il neonazista e di sera cercava uomini ad Amburgo''
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bettyboh
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sguardo quasi documentaristico sull'amore e sull'illogicità della violenza
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L’omosessualità maschile è diventata mainstream grazie al film di Ang Lee “Brokeback mountain” (2006). In quel caso i protagonisti erano rudi cowboys che scoprivano l’amore durante il periodo della transumanza estiva. Cosa succede invece se a innamorarsi sono due neo-nazisti in Danimarca? Questo è il cuore pulsante di “Brotherhood - Fratellanza” (2009), il primo lungometraggio dell’italo danese Nicolò Donato nonchè Marco Aurelio d’oro come miglior film all’ultimo festival del cinema di Roma.
Allontanato dall'esercito in seguito ad alcune dicerie sul suo conto, Lars (Thure Lindhardt) torna a casa dei genitori. Poco dopo, quasi senza volerlo, entra a far parte di un gruppo di neonazisti. E quando si trasferirà nella casetta vicino al mare che Jimmy (David Dencik), uno dei "camerati", sta ristrutturando, tra i due nascerà qualcosa di più che una semplice, virile amicizia.
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L’omosessualità maschile è diventata mainstream grazie al film di Ang Lee “Brokeback mountain” (2006). In quel caso i protagonisti erano rudi cowboys che scoprivano l’amore durante il periodo della transumanza estiva. Cosa succede invece se a innamorarsi sono due neo-nazisti in Danimarca? Questo è il cuore pulsante di “Brotherhood - Fratellanza” (2009), il primo lungometraggio dell’italo danese Nicolò Donato nonchè Marco Aurelio d’oro come miglior film all’ultimo festival del cinema di Roma.
Allontanato dall'esercito in seguito ad alcune dicerie sul suo conto, Lars (Thure Lindhardt) torna a casa dei genitori. Poco dopo, quasi senza volerlo, entra a far parte di un gruppo di neonazisti. E quando si trasferirà nella casetta vicino al mare che Jimmy (David Dencik), uno dei "camerati", sta ristrutturando, tra i due nascerà qualcosa di più che una semplice, virile amicizia.
La pellicola ci mostra uno spaccato della nuova destra radicale europea. Un misto di nazionalismo, paura del diverso e fobia dell’islam i fondamentali ideologici. La comunicazione come punto forte insieme ad un restyling di immagine riesce a nascondere la faccia più cattiva a favore di un lato “gentile” per rendere il discorso più accettabile. La scelta di ambientare quella che è a tutti gli effetti una storia d’amore nel contesto inconciliabile di un microcosmo formato sull'ideologia del Terzo Reich composto da picchiatori razzisti è utile a catalizzare l’attenzione proprio sull’ illogicità della violenza. Al regista va riconosciuta la capacità di narrare una storia difficile senza cadere in facili sentimentalismi e stereotipi
Lo sguardo della cinepresa è spietato e quasi documentaristico soprattutto nelle sequenze dei pestaggi ma allo stesso tempo è attento a rendere la delicatezza del sentimento che unisce i due giovani, Lars e Jimmy.
Infrangere tutte le regole e il patto di fratellanza del branco per restare accanto al proprio compagno ci porterà in un crescendo di tensione fino alla catarsi finale. La legge del contrappasso di dantesca memoria si materializzerà improvvisamente nelle ultime sequenze della pellicola: dopotutto violenza genera solo altra violenza. Qui il cerchio si chiude. O magari si apre su un futuro diverso.
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