stefano capasso
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lunedì 20 maggio 2019
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sospesi tra sogno e realtà
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Lungo Mulholland Drive una donna perde la memoria in seguito ad un incidente automobilistico. L’incontro con Betty, aspirante attrice, le sarà di aiuto per tentare di ricostruire la sua identità. Nel frattempo sceglie di chiamarsi Rita ed inizia una relazione con Betty.
David Lynch costruisce una storia basata sul doppio, sul sogno e sull’immagine, con uno svolgimento atemporale difficile da comprendere. Le attrici protagonisti cambiano nome e prospettiva durante lo svolgimento, cosi come cambiano funzione gli altri partecipanti al film. Il sogno è il protagonista del film, non solo perché costituisce il nucleo centrale della narrazione ma per l’intero impianto della storia e della messa in scena che conserva il suo carattere onirico, oltre che allucinatorio.
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Lungo Mulholland Drive una donna perde la memoria in seguito ad un incidente automobilistico. L’incontro con Betty, aspirante attrice, le sarà di aiuto per tentare di ricostruire la sua identità. Nel frattempo sceglie di chiamarsi Rita ed inizia una relazione con Betty.
David Lynch costruisce una storia basata sul doppio, sul sogno e sull’immagine, con uno svolgimento atemporale difficile da comprendere. Le attrici protagonisti cambiano nome e prospettiva durante lo svolgimento, cosi come cambiano funzione gli altri partecipanti al film. Il sogno è il protagonista del film, non solo perché costituisce il nucleo centrale della narrazione ma per l’intero impianto della storia e della messa in scena che conserva il suo carattere onirico, oltre che allucinatorio. La dimensione del sogno sta nel fatto che è costantemente impossibile distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, dialettica che porta alle estreme conseguenze la natura stessa del cinema. Un grande classico del postmoderno, caratterizzato dalla frammentazione della storia e dei suoi personaggi e una messa inscena che tende a sollecitare il coinvolgimento sensoriale ed affettivo dello spettatore al di là dei significati. Ricco di citazioni e riferimenti, il lavoro di David Lynch richiede allo spettatore una partecipazione totale, necessaria anche alla costruzione del senso.
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andrea macrì
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giovedì 23 agosto 2007
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diventare anche noi visione
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Scardinare la realtà utilizzando lo strumento che, come diceva Pasolini, utilizza proprio la realtà come sua grammatica, suo codice principe. Ieri notte ho rivisto Mulholland Drive, e l'idea di essere di fronte alla cosa più vicina ad un sogno (perchè i sogni sono ancora realtà, anche se altra) mi sia mai capitato di vedere è ancora vivissima. Nonostante INLAND EMPIRE. Nonostante il surrealismo. Nonostante la vita stessa. Nonostante i revisionismi post-positivistici e cognitivisti.
Ma perchè il sogno? Perchè, al di là di ciò che crediamo, anche i sogni hanno un loro ordine: quello del riposizionamento delle percezioni in veglia. E così fa questo caos organizzato che prende un pò da Bergman (la centralità delle donne), da Bella di Giorno (la scatola oscura che ha al suo interno il mistero che Lynch ama così tanto), da Eyes Wide Shut (il rapporto lussuria-sogno), dallo stesso Lynch (la regia, le inquadrature, la fotografia sono qualcosa di magnifico, potrebbero stare da sole anche solo come forma, anche prive di un contenuto; e non solo, perchè l'inquietudine dettata dal male che non si vede è quella di molti altri film di Lynch - mi viene quasi da dire che il non vedersi è il migliore, l'unico abito del male).
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Scardinare la realtà utilizzando lo strumento che, come diceva Pasolini, utilizza proprio la realtà come sua grammatica, suo codice principe. Ieri notte ho rivisto Mulholland Drive, e l'idea di essere di fronte alla cosa più vicina ad un sogno (perchè i sogni sono ancora realtà, anche se altra) mi sia mai capitato di vedere è ancora vivissima. Nonostante INLAND EMPIRE. Nonostante il surrealismo. Nonostante la vita stessa. Nonostante i revisionismi post-positivistici e cognitivisti.
Ma perchè il sogno? Perchè, al di là di ciò che crediamo, anche i sogni hanno un loro ordine: quello del riposizionamento delle percezioni in veglia. E così fa questo caos organizzato che prende un pò da Bergman (la centralità delle donne), da Bella di Giorno (la scatola oscura che ha al suo interno il mistero che Lynch ama così tanto), da Eyes Wide Shut (il rapporto lussuria-sogno), dallo stesso Lynch (la regia, le inquadrature, la fotografia sono qualcosa di magnifico, potrebbero stare da sole anche solo come forma, anche prive di un contenuto; e non solo, perchè l'inquietudine dettata dal male che non si vede è quella di molti altri film di Lynch - mi viene quasi da dire che il non vedersi è il migliore, l'unico abito del male).
MD è allo stesso tempo trattato del cinema su sè stesso (di cui Hollywood è la storia stessa), psicanalisi freudiana, attacco alla forma narrativa come mera concatenazione lineare del tempo, della realtà e, infine, una storia vissuta dentro e fuori la mente dei personaggi.
Lynch ci costringe ad abbandonarci facendo allo stesso tempo attenzione, addormentarci ad occhi aperti, guardarci mentre guardiamo. Sempre e comunque.
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(di gianluca macrì)
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antonio83
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domenica 27 gennaio 2008
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enigmatico e contorto (sin troppo) lynch
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Film complesso e complicato, è una trasposizione su pellicola di turbamenti, dinamiche e concetti psicologici che difficilmente possono essere rappresentati adeguatamente sul grande schermo. Idea buona e ben realizzata: il film che inizia in un modo e repentinamente assume un altro corso rivelando un'altra storia. Probabilmente se Lynch avesse fatto un semplice thriller avrebbe ottenuto un maggior successo al botteghino ma un minor successo di critica (che comunque è nettamente divisa fra chi lo ama e chi lo odia).
Film da vedere sicuramente (unicamente perchè credo che sia un film che si presti a discussioni tra amici, più o meno erudite) ma che potrebbe lasciare (come nel mio caso) una forte sensazione di delusione.
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Film complesso e complicato, è una trasposizione su pellicola di turbamenti, dinamiche e concetti psicologici che difficilmente possono essere rappresentati adeguatamente sul grande schermo. Idea buona e ben realizzata: il film che inizia in un modo e repentinamente assume un altro corso rivelando un'altra storia. Probabilmente se Lynch avesse fatto un semplice thriller avrebbe ottenuto un maggior successo al botteghino ma un minor successo di critica (che comunque è nettamente divisa fra chi lo ama e chi lo odia).
Film da vedere sicuramente (unicamente perchè credo che sia un film che si presti a discussioni tra amici, più o meno erudite) ma che potrebbe lasciare (come nel mio caso) una forte sensazione di delusione. I suoi più grandi sostenitori apprezzano il finale. Personalmente ritengo che invece sia il punto debole.
Sono fra coloro che non lo amano nè lo odiano, sono solo fra i delusi.
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dandy
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sabato 26 marzo 2011
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lynch affina egregiamente il suo nuovo metodo.
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Nato come episodio pilota di una serie tv rifiutato dalla Abc,e completato grazie ai francesi di Studio Canal,il film è una summa del cinema del regista,nonchè un passo avanti nel suo nuovo modo di girare.Un puzzle noir che,andando ben aldilà dell'incerto"Strade perdute"lascia dubbio il legame tra le due parti,e crea un intricato enigma di flashback,mondi paralleli,identità sovrapposte.Suggestivo e labirintico,in cui trova spazio anche un sottointreccio con un regista frustrato vittima di produttori e mafiosi,riflettendo così sulla "fabbrica dei sogni"Hollywood,e sull'innocenza perduta.Appena un pò meno onirico e disturbante del successivo"INLAND EMPIRE",ma ugualmente intrigante,con il giusto equilibrio tra incubo e farsa,ben controllato prima di sfociare nel grottesco(vedi le vicende del sicario,e del regista che scopre il tradimento della moglie).
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Nato come episodio pilota di una serie tv rifiutato dalla Abc,e completato grazie ai francesi di Studio Canal,il film è una summa del cinema del regista,nonchè un passo avanti nel suo nuovo modo di girare.Un puzzle noir che,andando ben aldilà dell'incerto"Strade perdute"lascia dubbio il legame tra le due parti,e crea un intricato enigma di flashback,mondi paralleli,identità sovrapposte.Suggestivo e labirintico,in cui trova spazio anche un sottointreccio con un regista frustrato vittima di produttori e mafiosi,riflettendo così sulla "fabbrica dei sogni"Hollywood,e sull'innocenza perduta.Appena un pò meno onirico e disturbante del successivo"INLAND EMPIRE",ma ugualmente intrigante,con il giusto equilibrio tra incubo e farsa,ben controllato prima di sfociare nel grottesco(vedi le vicende del sicario,e del regista che scopre il tradimento della moglie).Belle musiche di Angelo Badalamenti,che interpreta il produttore che sputa il caffè.La Mulholland Drive del titolo,è una delle strade più famose di Los Angeles.
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stefano burini
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lunedì 13 giugno 2011
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cubisti al cinema
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Assurdo, intricatissimo dramma- thriller allegorico e metacinematografico in cui gli unici punti fermi sono rappresentati dalle grandi qualità di affabulatore e di virtuoso della macchina da presa del grande D. Lynch, qui più che mai grande burattinaio a cui si può permettere di suggestionare senza pretendere una (o quantomeno unica) conclusione logica, tale è la fitta rete di personaggi, simbolismi e deus ex-machina in cui nulla e nessuno pare essere ciò che sembra. Sogni, speranze, delusioni, e l’inesorabile declino: a prima vista la parabola di una giovane aspirante attrice che termina in maniera tragica, ma a ben vedere anche una feroce satira del dorato mondo di Hollywood, la grande e scintillante macchina dell’inganno e della finzione ( “No hay banda, no hay orchestra” recita l’uomo dello spettacolo) capace di ogni possibile trucco artificio, in grado di plasmare la realtà a proprio piacimento, di capovolgere i fatti e di scambiare i ruoli (molto interessanti le sequenze che illustrano il casting del film diretto da J.
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Assurdo, intricatissimo dramma- thriller allegorico e metacinematografico in cui gli unici punti fermi sono rappresentati dalle grandi qualità di affabulatore e di virtuoso della macchina da presa del grande D. Lynch, qui più che mai grande burattinaio a cui si può permettere di suggestionare senza pretendere una (o quantomeno unica) conclusione logica, tale è la fitta rete di personaggi, simbolismi e deus ex-machina in cui nulla e nessuno pare essere ciò che sembra. Sogni, speranze, delusioni, e l’inesorabile declino: a prima vista la parabola di una giovane aspirante attrice che termina in maniera tragica, ma a ben vedere anche una feroce satira del dorato mondo di Hollywood, la grande e scintillante macchina dell’inganno e della finzione ( “No hay banda, no hay orchestra” recita l’uomo dello spettacolo) capace di ogni possibile trucco artificio, in grado di plasmare la realtà a proprio piacimento, di capovolgere i fatti e di scambiare i ruoli (molto interessanti le sequenze che illustrano il casting del film diretto da J. Theroux) per raccontare una storia apparentemente senza capo né coda, suscettibile di svariate chiavi di lettura e intrecciata con decine di sottotrame parallele di cui nulla o quasi si capisce, almeno in prima battuta. Mulholland Drive è probabilmente un sogno (la leggenda dice che, come al solito, sia stata proprio questa la fonte di ispirazione per Lynch), o forse un racconto in flashback, oppure ancora il risultato di un sortilegio di magia nera, in cui realtà e desiderio si sovrappongono e si compenetrano, il tutto intrecciato ad accenni di satira metacinematografica, a siparietti tra il grottesco e il demenziale, tutto questo e altro ancora. Non si può non rimanere affascinati (e storditi) di fronte alla realtà cui Lynch ha dato vita in questa pellicola: amnesie, torbidi amori, gelosie, digressioni oniriche e forse anche allegorie della Morte; lo script, a dir poco paranoico, è opera dello stesso regista, capace con poche, mirate, inquadrature di creare un clima di angoscia indicibile, aiutato dalle avvolgenti musiche di A. Badalamenti che, svariando dal thrilling all’operistico alla canzonetta anni ’60 (e lasciando pure spazio ai siparietti in stile musical tanto cari al regista americano), contribuiscono a dar forza a questo delirio organizzato.
Ciò che Lynch opera sulla pellicola è sostanzialmente ciò che i cubisti cercavano di trasporre nei loro quadri: una realtà (già di per sé malata, a metà strada tra il grottesco, il demenziale e il noir) osservata contemporaneamente da più punti di vista, spezzata e poi ricomposta ad uso e consumo della sensibilità del singolo, in cui identità logica e consequenzialità possono avere un senso logico ma altrettanto no; al di là delle innumerevoli possibili chiavi di lettura, diciamolo chiaramente: le vere star della pellicola sono le due splendide e bravissime protagoniste, la bionda e versatile Naomi Watts e la “bambolona” bruna Laura Harring, maliziose, complici e perfide al punto giusto, assistite dal sapiente uso dei mezzi cinematografici di uno dei più grandi maestri viventi del cinema, da una storia assolutamente incredibile nelle sue molteplici incarnazioni e sfaccettature e dalle frequenti allegorie visive, oltre che da più d’un paio di sequenze molto riuscite sul piano dell’intensità, della tensione e della potenza immaginifica.
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chry75
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mercoledì 29 giugno 2011
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poesia visiva
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il poeta visivo David Lynch, si esprime in quest'opera ad un livello elevatissimo, suscitando nello spettatore forti emozioni contrastanti, razionalizzarne la trama, sarebbe superfluo, in quanto l'unico modo di coglierne l'essenza e' quello di lasciarsi trasportare in questo mondo onirico assaporando ogni momento per cio' che e', come del resto capita nella vita di ognuno di noi.
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myrea
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lunedì 19 dicembre 2011
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l'intento di linch in questo film sembra essere un
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tentativo ben riuscito di elaborare il lutto non solo della perdita di una persona,ma della perdita in sè,di sogni,di se stessi.Il film inizia con Betty,una giovane attrice che arriva piena di speranze ad Hollywood;ma tutto ciò che vediamo dall'inizio fino al suo risveglio,non è altro che un sogno tra reale ed irreale.Betty,in realtà Diane Selwyn,rappresenta quello che lei era,la persona che è stata, ma anche quella che trasmuta in un sogno i suoi desideri e gli avvenimenti,rappresentandolo come la sua visione che fatica a dipanarsi proprio perchè Linch cerca di mettere in scena la difficile accettazione del dolore,della perdita,della delusione.All'interno del sogno intervengono figure simboliche che cercano di inviarle segnali su una realtà che lei non riesce ad affrontare e non vuole vedere,come se gran parte della prima parte del film fosse una sorta di costruzione messa in atto non solo da lei ma anche da individui rappresentanti il suo inconscio e il suo senso di colpa,i quali cercano di farle ricostruire la realtà e di svelarle la verità a cui l'altra parte di se stessi(Ego),per salvaguardarsi,cerca di non lasciar spazio perchè sarebbe troppo doloroso.
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tentativo ben riuscito di elaborare il lutto non solo della perdita di una persona,ma della perdita in sè,di sogni,di se stessi.Il film inizia con Betty,una giovane attrice che arriva piena di speranze ad Hollywood;ma tutto ciò che vediamo dall'inizio fino al suo risveglio,non è altro che un sogno tra reale ed irreale.Betty,in realtà Diane Selwyn,rappresenta quello che lei era,la persona che è stata, ma anche quella che trasmuta in un sogno i suoi desideri e gli avvenimenti,rappresentandolo come la sua visione che fatica a dipanarsi proprio perchè Linch cerca di mettere in scena la difficile accettazione del dolore,della perdita,della delusione.All'interno del sogno intervengono figure simboliche che cercano di inviarle segnali su una realtà che lei non riesce ad affrontare e non vuole vedere,come se gran parte della prima parte del film fosse una sorta di costruzione messa in atto non solo da lei ma anche da individui rappresentanti il suo inconscio e il suo senso di colpa,i quali cercano di farle ricostruire la realtà e di svelarle la verità a cui l'altra parte di se stessi(Ego),per salvaguardarsi,cerca di non lasciar spazio perchè sarebbe troppo doloroso.L'incontro di Betty con Rita rappresenta la visione di Diane che aveva accolto nella sua vita Camilla e che,col suo amore,donando il suo essere,la sua dolcezza,aveva aiutato ad emergere.Mentre Camilla è rappresentata come colei che l'ha usata,perchè così Diane si è sentita,dal momento che,raggiugendo Camilla il successo,pian piano relega in secondo piano l'amore di Diane.Da qui il rifiuto e il senso di fallimento per non essere riuscita ad essere quel che sognava e vedersi trattato a quel modo il suo amore che ingenerano rabbia e frustrazione tali da voler distruggere quella che D.ritiene essere la fonte di tutto, ma anche sensi di colpa ed un dolore accecante a cui Diane reagisce cancellando entrambe in qualche modo:uno,assoldando un killer per ucciderla e uno,rifiutando la realtà,il dolore chiudendo tutto in una scatola,pensando che,eliminando l'oggetto del dolore,si potesse eliminare quel dolore e quel senso di frustrazione avvertito.Rita,come l'inconscio,rappresenta la chiave blu,ovvero colei che aiuta l'altra"inconsciamente"ad aprire la scatola,in cui è rinchiusa la realtà;è il suo amore e la sua amata,che le fa scoprire il sottile confine tra la realtà e finzione portandola al Club,non a caso,Silencio,ovvero,alla capacità di fare silenzio e perceperire in tutto ciò,il dolore e l'illusione,cantata dalla Del rio,che facendo finta di non vedere, cercando di cancellare tutto, potesse in qualche modo ignorare il lamento dell'anima che ha amato e soffre e scopre che è stata "llorando todo il tiempo".Nello svelare l'illusione si sveglia cioè vede e realizza che l'amore dentro di sè non poteva annientarlo annientando l'altra o facendo finta di non vedere,allora percepisce il dolore ancora più forte e latente,il senso di colpa per come ha reagito e la perdita in se,la conducono all'unica fine che sembra dare pace a tutto ciò,all' uccidendersi.Linch sembra aver voluto rappresentare quello che avviene nell'animo di una persona quando delusa,illusa reagisce agli eventi,come spesso tutto ciò viene vissuto come un dramma,a cui però solo la morte può dar pace.Mi piace pensare che sia la morte di se stessi in senso metaforico ovvero la fase di "Silencio":l'elaborazione di quello che è stato fino alla sua distruzione attraverso l'accettazione totale come unica soluzione per una nuova vita.
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niccofuzz
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domenica 16 febbraio 2014
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interpretazione personale
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La mia interpretazione personale:
Se vuoi vivere ad Hollywood, nel grande sogno, devi perdere te stesso e dedicarti in tutto e per tutto all'atteggiamento=apparenza (come dice Cowboy) e non all'interiorità, qualsiasi interpretazione personale, opera creativa e personificazione viene bruciata all'istante, se vuoi vivere lì devi disperdere te stesso e stare al gioco, se lo fai ottieni tutto, se non lo fai sei fuori. Il regista sceglie la strada che gli permette di vivere nel sogno (Hollywood) e per farlo disperde se stesso, diventa crudele, meschino e coperto di gloria, quello adesso è il posto che davvero fa per lui, adesso è il suo regno e lì è un vincitore. Se stai al gioco e successivamente rinasce la tua identità si creerà il conflitto tra ciò che sei e ciò che appari, due realtà che non possono coesistere, far coesistere l'una oppure l'altra è una scelta, “sei sicura di volerlo fare?” le chiede l'omicida nel locale dei sogni (la realtà).
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La mia interpretazione personale:
Se vuoi vivere ad Hollywood, nel grande sogno, devi perdere te stesso e dedicarti in tutto e per tutto all'atteggiamento=apparenza (come dice Cowboy) e non all'interiorità, qualsiasi interpretazione personale, opera creativa e personificazione viene bruciata all'istante, se vuoi vivere lì devi disperdere te stesso e stare al gioco, se lo fai ottieni tutto, se non lo fai sei fuori. Il regista sceglie la strada che gli permette di vivere nel sogno (Hollywood) e per farlo disperde se stesso, diventa crudele, meschino e coperto di gloria, quello adesso è il posto che davvero fa per lui, adesso è il suo regno e lì è un vincitore. Se stai al gioco e successivamente rinasce la tua identità si creerà il conflitto tra ciò che sei e ciò che appari, due realtà che non possono coesistere, far coesistere l'una oppure l'altra è una scelta, “sei sicura di volerlo fare?” le chiede l'omicida nel locale dei sogni (la realtà). In mulholland Drive le scene del sogno rappresentano la realtà mentre tutto il resto è il sogno, un sogno nel quale se vuoi starci devi seguire le regole del gioco ed essere pilotato, non c'è posto per l'interiorità nel sogno, perché l'interiorità è la realtà e con il sogno semplicemente non può coesistere. Dal momento che sogno e realtà coesistono devi decidere, o metti da parte la realtà (l'interiorità) oppure devi uccidere il sogno (l'apparenza), se scegli la seconda via non c'è altra soluzione che il suicidio, per uccidere il sogno difatti la protagonista deve uccidere se stessa, perché oramai ne fa parte. Se scegli la prima strada metti da parte l'interiorità e continui a vivere nel sogno come se nulla fosse. Nel momento in cui devi scegliere c'è un conflitto tra ciò che sei e ciò che appari, se vince il primo vedrai Cowboy per la seconda volta, significa che hai fatto il cattivo, cioè hai scelto la realtà, se vince il secondo non vedrai più cowboy e vivrai beato e in gloria nel mondo dell'apparenza. La protagonista decide di andare fino in fondo e trovare se stessa, così nel locale decide di uccidere l'apparenza e la sua controfigura nel sogno (quella che ha preso il ruolo nel film), la figura nera a questo punto apre per la seconda volta la scatola blu, appare cowboy per la seconda volta in Mulholland Drive, momento in cui la protagonista odia ciò è diventata e vuole farsi fuori.
Linee guida del film sono:
Il Cowboy detiene l'apparenza e il sogno, difatti è un personaggio in carne ed ossa e appare sia al regista che alla ragazza
La figura nera è colui che detiene l'interiorità e la realtà, difatti si vede nei sogni sia dell'uomo dai capelli neri sia della ragazza
Realtà=Sogno (l'apparenza) → non è guidata da te stesso ma da forze superiori che decidono per tuo conto
Sogno=Realtà (l'interiorità) → guidato da te stesso, dalla tua interiorità, realtà che non permette di vivere nel sogno
Le due non possono coesistere, bisogna fare una scelta.
Mulholland Drive è il posto in cui sogno e realtà si incontrano. All'inizio, nel forte incidente in cui sogno e realtà si scontrano per la prima volta, la protagonista perde la propria identità e va alla ricerca di se stessa, la seconda volta oramai la protagonista sa chi è veramente e ciò che è diventata, il trauma è tanto forte quanto quello dell'incidente, ma a differenza di quest'ultimo c'è estrema consapevolezza delle due dimensioni che la rappresentano (il sogno e la realtà)
Hollywood rappresenta il sogno
il locale dei sogni rappresenta la realtà
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wetman
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sabato 12 aprile 2014
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bello, ma mancante di qualcosa
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Il film, firmato David Lynch, vincitore della palma d'oro per la miglior regia, premio meritato a mio parere, si può dividere in tre parti, la prima in cui vediamo un polpettone americano con delle belle inquadrature che narra una vicenda più curiosa che strana, la seconda parte, che dura meno di 10 minuti, è Betty/Daise insieme all'amante che vanno a teatro, scena clou del film dove il polpettone comincia a districarsi, e una terza, in cui Lynch racconta tutt'altra storia collegandola in modo magistrale alla prima. Il film, però, non può considerarsi un capolavoro. Infatti, per supportare meglio la parte del polpettone, a mio parere avrebbe dovuto aggiungere qualcosa per andare a braccetto con l'ottima recitazione e l'ottima regia.
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Il film, firmato David Lynch, vincitore della palma d'oro per la miglior regia, premio meritato a mio parere, si può dividere in tre parti, la prima in cui vediamo un polpettone americano con delle belle inquadrature che narra una vicenda più curiosa che strana, la seconda parte, che dura meno di 10 minuti, è Betty/Daise insieme all'amante che vanno a teatro, scena clou del film dove il polpettone comincia a districarsi, e una terza, in cui Lynch racconta tutt'altra storia collegandola in modo magistrale alla prima. Il film, però, non può considerarsi un capolavoro. Infatti, per supportare meglio la parte del polpettone, a mio parere avrebbe dovuto aggiungere qualcosa per andare a braccetto con l'ottima recitazione e l'ottima regia. Questo qualcosa poteva essere, ad esempio, una musica bella ed azzeccata, elemento che manca in quasi tutto il film, o magari qualche colpo di scena in più, non che mancassero, ovviamente, però erano troppi nel polpettone e troppi pochi nella storia parallela raccontata dopo. Insomma, il film si potrebbe considerare un "capolavoro mancato", ed è un peccato a causa della magistrale interpretazione e una sceneggiatura da oscar.
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rob8
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giovedì 15 novembre 2018
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dalle parti del sunset boulevard
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Nelle parole che una delle due protagoniste del film pronuncia ad un certo punto della vicenda, c’è tutto il senso (apparentemente) nascosto di quest’opera visionaria: «Sarà proprio come nei film: faremo finta di essere qualcun’altro».
Si tratta, infatti, di un raffinato esercizio sul concetto di identità, declinato tra sogno e realtà, finzione narrativa e veridicità cinematografica: in un vortice autoriflessivo e volutamente non lineare.
Un noir da nuovo millennio, che omaggia e nel contempo svernicia Hollywood, naturalmente seguendo (e tradendo) l’itinerario del wilderiano Sunset Boulevard.
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Nelle parole che una delle due protagoniste del film pronuncia ad un certo punto della vicenda, c’è tutto il senso (apparentemente) nascosto di quest’opera visionaria: «Sarà proprio come nei film: faremo finta di essere qualcun’altro».
Si tratta, infatti, di un raffinato esercizio sul concetto di identità, declinato tra sogno e realtà, finzione narrativa e veridicità cinematografica: in un vortice autoriflessivo e volutamente non lineare.
Un noir da nuovo millennio, che omaggia e nel contempo svernicia Hollywood, naturalmente seguendo (e tradendo) l’itinerario del wilderiano Sunset Boulevard.
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