Omicidio a luci rosse

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Ingredienti: claustrofobia, terrore, perversioni.. Valutazione 3 stelle su cinque

di Flegiàs Tn


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martedì 1 aprile 2008

Con una falsa partenza / autocitazione, a cui il suo cinema ci ha da tempo abituati, De Palma ci porta subito al cuore del tema del film. Fondali dipinti in trompe -I'oeil, scenografie, impianti d'illuminazione, macchine da presa: ci troviamo all'interno di uno stabilimento cinematografico, luogo di interscambio necessario tra realtà e finzione, anello indispensabile nella catena di produzione d'immaginario dal quale (e dalla quale) ormai tutti, chi più chi meno, dipendiamo. Lo humour di De Palma si manifesta immediatamente: nel suo loculo, il vampiro di turno (cuoio, borchie e trucco da punk sado-maso, naturalmente) soffre nientemeno che di claustrofobia! Guaio serio per una produzione di serie B, che non può certo permettersi lunghe pause perché gli attori si diano una regolata e ritornino in forma, foss'anche il protagonista, come si presume sia questo il caso. Ma l'ulteriore inconveniente di un incendio che guasta l'apparato scenografico costringe la troupe a una pausa forzata: il prologo si conclude sull'apertura di un periodo di vacanza, durante il quale per Jack, vampiro malandato, le coordinate si confonderanno, si invertiranno le funzioni «normalmente» operanti, in un adeguamento, molto più sensato di quanto non sembri, tra i suoi sintomi ansiogeni e la nuova posizione che andrà ad assumere nella circuitazione d'immagini che Io coinvolgerà. In conseguenza del suo anticipato ritorno a casa, Jack finirà per ritrovarsi sulla strada, e, in breve tempo, per una serie di «coincidenze», si installerà in un lussuosissimo osservatorio panoramico, nella posizione privilegiata per potersi gustare ogni sera con dovizia di particolari le evoluzioni autoerotiche della donna che sta nella casa sulla collina di fronte. Con una consequenzialità certamente più lineare e più «classica» che non in Blow out, per esempio (dove peraltro il prologo era destinato a caricarsi di senso per altri itinerari), la falsa partenza ingrana sulla disposizione drammatica che dà il via al corpo centrale del film, alla storia vera e propria. «Un cinema di paradigma e di repertorio, in cui poetica e retorica coincidono», così definisce R. Nepoti il cinema di De Palma nel suo «Castoro» (…). E S. Daney («Cahiers du cinéma» 334/335): «Forse De Palma fa come Hitchcoch, ma delle due parole «fa» è la più importante» (…). Anche in questo Body Double il racconto si va mettendo in scena subito come esplicita assunzione di luoghi del repertorio hitchcockiano. Il telescopio e la donna da spiare, che altro è se non La finestra sul cortile, dove pure si mostrava esplicitamente il nesso voyeurismo - eccitazione - pornografia nella visione ostentata del sedere della bionda che si agita per casa semisvestita in attesa di visite? E così la seconda parte del film prenderà a prestito l'idea narrativa di Vertigo; e numerosi potrebbero essere poi i riferimenti, subliminali o macroscopici, decifrabili ancora nello svolgimento della storia (da Intrigo internazionale, a Cocktail per un cadavere, a Gli uccelli, e sicuramente altri ancora). Ciò che conta è che De Palma agisce su (e con) gli elementi di questa retorica cinematografica largamente popolare perseguendo costantemente un suo progetto di cinema in cui il piacere relativo alla pratica di raccontare storie per immagini e suoni in movimento faccia tutt'uno con la consapevolezza dell'entità simbolica delle medesime, e delle relazioni che necessariamente si instaurano tra di esse e l'individuo 1 spettatore che se ne imbeve. In questa direzione, Body Double è certamente, a parere di chi scrive, il risultato più organico e completo a cui il regista americano sia finora arrivato; dopo la divagazione, per molti aspetti, anomala, costituita da Scarface, e, prima ancora, quella puntata sul versante del suono (Blow out: ma del resto al cinema il desiderio di sentire non fa tutt'uno con quello di vedere, almeno dall'inizio del sonoro?), Body Double torna al nodo costituito dai modi dell'attrazione spettatore / scena primordiale, e dalle implicazioni che ne derivano per le coppie parallele che questa chiama in causa: reale / immaginario, attivo / passivo, impotenza /feticismo. Quando la luce del giorno scompare, tutte le sere, alla medesima ora, la finestra della camera da letto della casa di fronte si illumina e «ha inizio lo spettacolo»; l'inquadratura - schermo, gli avvicinamenti ottici che il telescopio permette in misura dell'aumento dell'eccitazione e del desiderio voyeuristico che le evoluzioni della donna favoriscono: l'identificazione tra Jack e lo spettatore in sala si compie attraverso la catena dei raddoppiamenti fondamentali (schermo - occhio dello spettatore - proiettore - macchina da presa - telescopio - occhio di Jack - finestra come schermo), che dà luogo ad un anello simbolico perfettamente conchiuso, dichiarato nella sua evidenza irriducibilmente cinematografica. Agganciato dal sortilegio della visione, Jack non ha scampo: come ogni spettatore, anche lui finisce vittima di quella passività pressoché totale che fa preferire il «vedere come va a finire» a qualsiasi intervento, da cui deriva l'impotenza ad appropriarsi dell'oggetto fantastico del proprio desiderio (e, ovviamente, il feticismo destinato a colmarne l'assenza). Il voyeurismo mantiene la distanza con il proprio oggetto, la frattura, l'insoddisfazione stessa, che è fonte di «soddisfazione» propriamente voyeuristica. Favorisce l'eccitazione e dunque prepara all'orgasmo da raggiungere nel momento in cui quella distanza sarà colmata. Ma per Jack questo non potrà accadere: il godimento gli verrà negato, la distanza ripristinata dopo il fugace momento del contatto, del bacio (non a caso momento fortemente onirico, e segnatamente simbolico già in quanto autocitatorio). L'incapacità di portare soccorso alla donna nel momento del pericolo mortale non è che la conseguenza ultima e inevitabile del meccanismo messo in moto precedentemente: completamente incapace ormai di agire secondo un pragmatico principio di realtà, Jack si comporta nel modo migliore per favorire l'omicidio, invece di scongiurarlo. Momento forte, ma anche carico d'ironia, il trapanamento del bel corpo della vittima (scena primordiale la cui visione è riservata ai soli spettatori in sala) è raccontata con il più classico degli ingranaggi narranti cinematografici (suspence, montaggio alternato) nel quale il nostro Jack 1 attore - spettatore è irretito senza alcuna possibilità d'intervento. (…) Nel «tempo sospeso» successivo alla drammatica fine del suo sogno d'amore, Jack ritrova casualmente in un pornofilm il corpo che lo aveva turbato e stregato durante le sere precedenti: ma questa volta possiede anche un volto (ovvio, dal momento che generalmente il cinema - anche il pornocinema - nasconde sempre le dinamiche simboliche che lo reggono sotto un camuffamento «realistico»). È il surplus di fascinazione a cui la sensibilità di Jack era stata sottoposta (e che, evidentemente, l'ingegnoso assassino non aveva previsto) a far ripartire l'azione, modificando radicalmente il rapporto tra Jack e gli elementi della storia, e contemporaneamente permettendoci di intervenire, a posteriori, sulla messa in scena della prima parte, enucleandone nuove definizioni tematiche. Se la tensione desiderante instauratasi tra il protagonista e la vittima non era altro che la proiezione di un desiderio in realtà scatenato dalla visione di un altro corpo, il testo del film, in un primo momento apparentemente costruito nella ambito della semplice finzione cinematografica, si arricchisce ora della fondamentale relazione tra questa e il reale di cui essa è trasfigurazione. La pornostar Holly Body è allora la realtà di cui il cinema si serve come proprio dato di partenza, che, raddoppiato e trasformato in immagine, assumerà i connotati dell'oggetto di desiderio (Gloria), agognato quanto irraggiungibile nella sua assenza. Nell'esistenza di questa donna bionda che Jack ritrova e «realmente» possiede (ma, ancora una volta, sul set di un pornofilm dove la troupe di Body Double si raddoppia a sua volta in uno specchio, in un movimento di contemporanea scissione e identificazione con la troupe di questo), trovano loro spazio e giustificazione teorica la volgarità e il ridicolo in quanto antitesi della coppia sublime / affascinante, di pertinenza di Gloria, la cui «realtà» era il frutto del processo instaurante una finzione. L'irruzione di Melania Griffith (figlia di Tippy Hedren) nel ruolo di Holly è di una precisione di toni e movimenti sorprendentemente piacevole; la volgarità del suo personaggio, sempre sul filo dell'esagerazione parodica, ma sempre controllata al di qua della troppo facile farsa, è davvero deliziosa. (…) La storia di Jack ha inizio su un set cinematografico, e sul medesimo set finisce, dove si va girando un horror a basso costo, B-movie cormaniano che fonda il suo funzionamento su espedienti elementari, vecchi come il cinema, eppure sempre efficaci: violenza e sesso, il trucco, la presenza della controfigura, il montaggio che costruisce l'illusione della continuità e dell'identità. In fin dei conti, finzione e realtà stanno bene così come sono, educate da novant'anni di storia del cinema a presentarsi mescolate ed intercomunicanti. È questa consapevolezza che annulla ogni possibile presunzione del discorso decodificante di De Palma, pur lasciandone intatta la verità, e promuove il livello dello spettacolo, senza pretendere sue trasformazioni, del resto impossibili (almeno in questo ambito), in qualcosa d'altro.

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