tom87
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giovedì 14 marzo 2013
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il valore del dubbio...
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“Il settimo sigillo”, premio speciale della giuria a Cannes ’57, è una delle opere più note del cinema. Una pellicola asciutta, ricca di immagini consegnate alla memoria collettiva; solenne e tragica; impreziosita da atmosfere metafisiche nonché da toni lugubri, funerei e religiosi, che esprimono un forte malessere esistenziale. Il cavaliere Antonius Block, ritornato in patria dalle crociate, gioca una partita a scacchi con la Morte: fin quando durerà, la Morte non agirà su di lui. Inizia da qui un duro viaggio tra paure e disumanità. Nel frattempo Antonius renderà utile il tempo rimanente e compie una buona azione. La Morte darà scacco matto: nelle prime luci dell’alba, su una collina, essa guiderà un corteo di defunti con in testa Antonius, in una delle più toccanti e famose sequenze del cinema.
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“Il settimo sigillo”, premio speciale della giuria a Cannes ’57, è una delle opere più note del cinema. Una pellicola asciutta, ricca di immagini consegnate alla memoria collettiva; solenne e tragica; impreziosita da atmosfere metafisiche nonché da toni lugubri, funerei e religiosi, che esprimono un forte malessere esistenziale. Il cavaliere Antonius Block, ritornato in patria dalle crociate, gioca una partita a scacchi con la Morte: fin quando durerà, la Morte non agirà su di lui. Inizia da qui un duro viaggio tra paure e disumanità. Nel frattempo Antonius renderà utile il tempo rimanente e compie una buona azione. La Morte darà scacco matto: nelle prime luci dell’alba, su una collina, essa guiderà un corteo di defunti con in testa Antonius, in una delle più toccanti e famose sequenze del cinema. Il film rimanda all’Apocalisse di S. Giovanni: il 7° sigillo, l’ultimo ad essere aperto, avrebbe annunciato la venuta di sette angeli portatori di sciagure sulla Terra; ad ogni suono di tromba l’umanità avrebbe patito sofferenze, angosce e morte. Per il laico Bergman, però, a differenza del brano, guai e dolori non sono stati decisi da un Dio castigatore, bensì procurati dall’Uomo stesso. Nella soffocante atmosfera di un Medioevo nordico, il regista trova la degna cornice per mettere in scena la foschia spirituale che opprime l’uomo contemporaneo. E lo fa con elegante cura formale: fotografia b/n raggelante, raffinatezza stilistica-figurativa, richiami pittorici e scultorei a celebri artisti, ottimi interpreti, regia rigorosa, scarna e austera. Bergman ha sempre indagato con lucida intelligenza il senso dell’esistenza e i misteri dello spirito. E in questo film si è interrogato soprattutto sull’inquietante silenzio di Dio e sul potere salvifico dell’amore. Questo angosciante silenzio terrorizza il protagonista nel suo infinito vagabondare, a sua volta metafora di un continuo oscillare tra perdizione e salvezza spirituale, disperazione e speranza. In lui si riflette il regista, atterrito dall’ignoto e dall’impossibilità di cogliere Dio con i propri sensi. Eppure ciò malgrado, è incapace di restare indifferente allo struggente richiamo del sacro in lui. Ombrosi primi piani e tenebrosi ambienti, nel rappresentare gli sconsolati e cupi stati d’animo dei personaggi, descrivono fortemente il senso di smarrimento e confusione esistenziale di un mondo sempre meno sorretto dalla fede in Dio o dall’amore, e sempre più alla ricerca di un senso al proprio Io e alla propria vita. All’infuori degli innamorati attori consorti, tutti gli altri sembrano essere l’indistinto sfondo di tetri paesaggi. E’ solo nella bontà e sensibilità dei due attori coniugi, simboli di un’innocenza da tutelare, che Antonius sembra intravedere una luce salvifica per il riscatto della sua anima inquieta e disillusa, inaridita e svuotata dal cieco materialismo del mondo, dall’oscurità del mistero, dall’assurdità dell’esistenza. Per questo sentirà il desiderio di salvarli. Ma soprattutto perché, proteggendo le loro anime dalla corruzione del mondo, proteggerà a sua volta anche quella flebile speranza per il futuro dell’umanità, che loro incarnano con tanta tenerezza e dolcezza. Alla fine risiede qui il senso della pellicola: l’Uomo dev’essere sempre responsabile verso il Mistero che lo circonda, perché la salvezza non viene solo dal fare il bene, ma anche dal rispettare il valore grande del dubbio. Solo così, lo scacco matto da parte della Morte, sarà un po’ meno trionfante...
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yawgmoth
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venerdì 20 ottobre 2006
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"non mi serve sapere"
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Una memorabile e preziosissima opera d'arte di un immenso cineasta.
La vita, l'esistenza, il divino. Tutto è trattato in modo sublime.
Si inizia con il cavaliere Antonius Block che incontra la morte, è venuta a prenderlo, ma lui non lo accetta e lancia una sfida: se in una partita a scacchi vincerà lui avrà salva la vita, in caso contrario accetterà di morire. La morte accetta quasi divertita. La figura della morte è trattata in modo superbo, una questione che mette a disagio, sgradevole e che si cerca di evitare fintanto che è possibile è qui rappresentata quasi come un clown: il fortissimo contrasto fra la veste nera e il volto bianchissimo, gli occhi neri come la notte che danno l'illusione che non ci sia l'iride ma che siano solo due sfere di nulla.
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Una memorabile e preziosissima opera d'arte di un immenso cineasta.
La vita, l'esistenza, il divino. Tutto è trattato in modo sublime.
Si inizia con il cavaliere Antonius Block che incontra la morte, è venuta a prenderlo, ma lui non lo accetta e lancia una sfida: se in una partita a scacchi vincerà lui avrà salva la vita, in caso contrario accetterà di morire. La morte accetta quasi divertita. La figura della morte è trattata in modo superbo, una questione che mette a disagio, sgradevole e che si cerca di evitare fintanto che è possibile è qui rappresentata quasi come un clown: il fortissimo contrasto fra la veste nera e il volto bianchissimo, gli occhi neri come la notte che danno l'illusione che non ci sia l'iride ma che siano solo due sfere di nulla.
La scacchiera è la metafora della vita, con regole precise nei modi e nei tempi, e Antonius come tutti parte convinto di poter sconfiggere la morte, ma pian piano che il tempo passa e la partita si avvicina alla fine si rende conto dell'ineluttabilità della sua fine e allora non cerca più di salvare se stesso, ma di salvare ciò che vi è di buono nell'umanità, che nel film è rappresentata dalla famiglia di Saltimbanchi.
Tutti i personaggi sono metafore dei modi di essere dell'uomo: lo scudiero di Antonius con il suo pragmatismo, il suo vedere come una superstizione la ricerca del divino, il fabbro e la moglie con i loro sciocchi battibecchi e la loro pochezza, la ragazza muta che solo nella fine ritrova la parola. Sono tutti aspetti dell’essere umano.
La morte vorrebbe prenderli tutti, ma Antonius Block riuscirà a salvare i Saltimbanchi, ciò che c'è di buono nell'umanità.
La sequenza più tragica rimane quella dove al termine della partita (nella quale ovviamente vince la morte) Antonius le chiede se al loro prossimo e ultimo incontro svelerà i suoi segreti, la morte dice che non ha alcun segreto da svelare. Antonius atterrito chiede com'è possibile che neanche la morte conosca le risposte ai misteri del divino e dell'imperscrutabile, al ché la morte lo guarda freddamente e semplicemente dice << Non mi serve sapere. >>
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claudio
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sabato 19 agosto 2006
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ma è perfetto!!
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Se un film riassume la vita e i modi di porgersi di fronte ad essa, questo film è "Il Settimo Sigillo". Il cavaliere, persona colta, tormentata da un'assenza di un significato ultimo alle proprie azioni e dall'incalzare della morte, che paziente lo aspetta sul percorso di casa con una scacchiera. Lo scudiero, attaccato alle cose concrete di ogni giorno, che rifiuta ogni confronto con il divino e si lascia scorrere tutto addosso. La coppia di saltimbanchi, sempre a sostenersi l'un l'altro ed a compatirsi a vicenda delle proprie piccole debolezze, salvo poi in sottofinale avere lui che vede comunque più lontano. Il tagliaboschi e la moglie, che per limitatezza di vedute continuano a tormentarsi l'un l'altro.
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Se un film riassume la vita e i modi di porgersi di fronte ad essa, questo film è "Il Settimo Sigillo". Il cavaliere, persona colta, tormentata da un'assenza di un significato ultimo alle proprie azioni e dall'incalzare della morte, che paziente lo aspetta sul percorso di casa con una scacchiera. Lo scudiero, attaccato alle cose concrete di ogni giorno, che rifiuta ogni confronto con il divino e si lascia scorrere tutto addosso. La coppia di saltimbanchi, sempre a sostenersi l'un l'altro ed a compatirsi a vicenda delle proprie piccole debolezze, salvo poi in sottofinale avere lui che vede comunque più lontano. Il tagliaboschi e la moglie, che per limitatezza di vedute continuano a tormentarsi l'un l'altro. Su tutti la morte, che vigila, agisce, non risponde e guida la danza della vita di tutti. Come dimenticarsi di frasi come "Perchè io dovrei aver fede nella fede degli altri? E che ne sarà di coloro che non possono o non vogliono aver fede?" oppure "Serberò il ricordo di tutti voi. Lo serberò come una ciotola di latte di cui non si vuol versare una goccia. E sarà per me un ricordo, qualcosa in cui credere"? E che dire di quel carrello in avvicinamento verso la taciturna con lei che ha uno sguardo tra la trance e la felicità e dice "l'ora è venuta"? Tutte le volte che rivedo quella scena è come se qualcosa mi esplodesse dentro. Sono troppo coinvolto, debbo fermarmi. Vedetelo e sappiatemi dire.
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antonio the rock
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martedì 5 agosto 2008
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il settimo sigillo:il grande bergman fa arte
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Il settimo sigillo attraversò alla sua uscita nel 57' "il mondo come un incendio";frase questa pronunciata dallo stesso Bergman,il quale riuscì a tradurre su pellicola le ansie e le inquietudini più profonde di una generazione che era appena uscita da un conflitto mondiale ed era agli inizi di un'altra guerra questa volta più silente:la "cold war".Il senso di incertezza e di caducità della vita è pregnante nel film,dove il protagonista (il cavaliere Antonius Block)si trova come sperduto di fronte a un mistero più grande di lui e certamente a cui non sa rispondere in veste di semplice uomo:l'esistenza di Dio.Il suo è un interrogativo che può solo trasmutarsi in due scelte esistenziali:credere senza porsi domande o semplicemente negare l'esistenza di Dio stesso(cosa che accade nel materialistico ateismo del suo scudiero).
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Il settimo sigillo attraversò alla sua uscita nel 57' "il mondo come un incendio";frase questa pronunciata dallo stesso Bergman,il quale riuscì a tradurre su pellicola le ansie e le inquietudini più profonde di una generazione che era appena uscita da un conflitto mondiale ed era agli inizi di un'altra guerra questa volta più silente:la "cold war".Il senso di incertezza e di caducità della vita è pregnante nel film,dove il protagonista (il cavaliere Antonius Block)si trova come sperduto di fronte a un mistero più grande di lui e certamente a cui non sa rispondere in veste di semplice uomo:l'esistenza di Dio.Il suo è un interrogativo che può solo trasmutarsi in due scelte esistenziali:credere senza porsi domande o semplicemente negare l'esistenza di Dio stesso(cosa che accade nel materialistico ateismo del suo scudiero).La scelta è ardua specialmente se alle calcagna è la morte in persona con la quale il cavaliere ingaggerà una partita a scacchi senza speranze con lo scopo di prender tempo:senza speranze perchè chi mai ha vinto la morte?.
Il cavaliere in questa confusione esistenziale si accosta alla fede grazie ai membri della compagnia dei saltimbanchi(i cui nomi sono chiari richiami biblici:Michael il bambino,oppure la famiglia nella sua semplicità è un riferimento alla Sacra Famiglia biblica).Questa famiglia farà entrare nel cuore del cavaliere l'amore verso il prossimo e sopratutto l'amore verso se stessi,cosa che il cavaliere aveva sempre inconsciamente ripudiato per tutta la vita.Grazie a questo,accantonerà nel finale i suoi dubbi rimettendosi placidamente nelle mani di Dio(infatti senza Dio è "come riflettere se stessi in uno specchio").Così anche se la morte farà comunque la sua macabra danza,la vita avrà avuto un suo significato.
Chiari sono i riferimenti nel film a opere d'arte come al "Trionfo della morte" di Orcagna oppure a Durer,nonchè l'alternanza di momenti rischiarati dalla luce del sole nei momenti di felicità e le ambientazioni scure e tetre nei momenti più difficili (per esempio durante la partita a scacchi o il passaggio dei flagellanti).
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riccardo-87
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mercoledì 25 maggio 2011
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bergman tra kierkegaard e nietzsche
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Capolavoro inarrivabile e senza tempo, “il settimo sigillo” parla della vita e della morte, del “timore e tremore”, per citare Kierkegaard, che attanaglia l’uomo quand’egli si ponga il problema di senso esistenziale. Il cavaliere Antonius Block, di ritorno dalle crociate, trova ad aspettarlo la morte, con la quale compirà il suo ultimo viaggio , alla ricerca di una risposta al problema che lo affligge, il problema del senso dell’esistere e del trapassare. Il tremore che affligge il nobile protagonista appare scaturire non tanto la morte in sé, quanto il timore di aver vissuto invano, per quanto cerci al contempo anche una risposta alla domanda sul che cosa ci sarà dopo la morte.
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Capolavoro inarrivabile e senza tempo, “il settimo sigillo” parla della vita e della morte, del “timore e tremore”, per citare Kierkegaard, che attanaglia l’uomo quand’egli si ponga il problema di senso esistenziale. Il cavaliere Antonius Block, di ritorno dalle crociate, trova ad aspettarlo la morte, con la quale compirà il suo ultimo viaggio , alla ricerca di una risposta al problema che lo affligge, il problema del senso dell’esistere e del trapassare. Il tremore che affligge il nobile protagonista appare scaturire non tanto la morte in sé, quanto il timore di aver vissuto invano, per quanto cerci al contempo anche una risposta alla domanda sul che cosa ci sarà dopo la morte. La morte (intepretata magistralmente da Bengt Ekerot), dice al cavaliere che questo è l’interrogativo che tutti le pongono, ma che non è dato sapere la risposta. Block decide così di sfidare la morte ad una partita a scacchi, con il duplice scopo di prendere tempo per trovare risposte e di vedere se si può vincere la morte nella partita a scacchi che ogni uomo, proprio in quanto ente definito dalle categorie kantiane di spazio e tempo, deve necessariamente giocare, e, altrettanto necessariamente, perdere. L’ambientazione in cui Bergman decide di far svolgere la vicenda è significativa: un paesaggio medievale – appunto il tempo delle crociate – pervaso dalla peste e dall’autoflagellazione a cui molte persone, sopraffatte dal terrore della malattia mortale per eccellenza di quel tempo, si sottopongono nella speranza di redimere così i propri peccati. In questo contesto macabro, superstizioso e mortuario siccano però diverse figure di notevole interesse: oltre al cavaliere Block, da rimarcare sono il suo scudiero Jons, figura che rappresenta il sarcasmo dello scettico del materialista verso il fanatismo religioso, e il buffone Jof, colui che prende la vita come un gioco e, per così dire, come un carnevale continuo. Il film rappresenta una ricerca vana della risposta: la morte non da spiegazioni, e solo la fede, una fede profonda e interiore, kierkegaardiana, può alleviare il senso di oppressione costante della morte nella vita; altrimenti si può sfuggire tale senso di oppressione tramite il vivere dionisicamente, come il buffone Jof, il quale, pur vedendo alla fine la morte danzare con il cavaliere e gli altri, riesce a sfuggirle. Emblematica e nietzschiana è appunto l’idea che sia il buffone a sopravvivere, colui che incarna da un lato la vita spensierata, dall’latro la vita di colui che risece a guardare la morte con il “pathos della distanza” che gli permette di non caderne preda. Si potrebbe inoltre fare un parallelo assai suggestivo tra la figura del buffone di Bergman ne “il settimo sigillo” e il “matto” di Fellini ne “la strada”: entrambe appaiono felici perché riescono a filosofeggiare sulla vita senza venir coinvolti dai drammi che essi stessi vedono nel mondo e nell’esistenza degli uomini, la morte vista appunto dal buffone e la solitudine di Zampanò che il matto fa notare a Gelsomina – “se non ci stai tu con lui, chi ci sta?”-. in conclusione, si potrebbe dire che il film pone anche un altro poblema centrale: la sensazione che vi siano al mondo troppe domande che esigono una risposta ma che non la trovano; questa assenza di risposte è ciò che, ancora una volta kierkegaardianamente, produce nell’uomo il sentimento dell’angoscia che lo accompagna, per lo più, durante l’intera sua esistenza.
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august robert fogelbergrota
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domenica 31 maggio 2009
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uno dei film piú importnati della storia
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La nascita del cinema moderno e post moderno.
Pochi film al di fuori di quelli prodotti dai grandi paesi hanno lasciato un’impronta simile sulla cinematografia. Adattamento di un’opera teatrale realizzata con vecchi costumi smessi da un teatro di provincia in un bosco vicino a Stoccolma il Settimo Sigillo opera di un passato lontano e molto distante dalla Svezia degli Anni Cinquanta il film di Bergman riesce a darci il senso dell’epoca e soprattutto di una paura quella della fine e dell’annientamento. Film fotografico con il grandissimo Gunnar Fischer e la musica d’Erik Nordberg lo fa ancora attualissimo e doveroso oggetto di studio da parte dei critici. Poi gli attori ad iniziare da Max von Sydow che presenta il cavalier Antonius Block primo vero eroe di carattere esistenzialistico al grandissimo Gunnar Bjöstrand scudiero granitico ed anche ironico comico quanto basta alla fredda morte espansionistica che ama mascherasi da monaco Bengt Ekerot al joff il maldestro Giullare presentato dal cario svedese Nils poppe al solare e bellissima Bibi Anderson che presenta una Mja che sembra uscita da uno dei quadri dei prerafeliti alla muta Gunnel Lindblom bella come la luna.
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La nascita del cinema moderno e post moderno.
Pochi film al di fuori di quelli prodotti dai grandi paesi hanno lasciato un’impronta simile sulla cinematografia. Adattamento di un’opera teatrale realizzata con vecchi costumi smessi da un teatro di provincia in un bosco vicino a Stoccolma il Settimo Sigillo opera di un passato lontano e molto distante dalla Svezia degli Anni Cinquanta il film di Bergman riesce a darci il senso dell’epoca e soprattutto di una paura quella della fine e dell’annientamento. Film fotografico con il grandissimo Gunnar Fischer e la musica d’Erik Nordberg lo fa ancora attualissimo e doveroso oggetto di studio da parte dei critici. Poi gli attori ad iniziare da Max von Sydow che presenta il cavalier Antonius Block primo vero eroe di carattere esistenzialistico al grandissimo Gunnar Bjöstrand scudiero granitico ed anche ironico comico quanto basta alla fredda morte espansionistica che ama mascherasi da monaco Bengt Ekerot al joff il maldestro Giullare presentato dal cario svedese Nils poppe al solare e bellissima Bibi Anderson che presenta una Mja che sembra uscita da uno dei quadri dei prerafeliti alla muta Gunnel Lindblom bella come la luna. Tutti questi protagonisti inseriti in un ambiente degno delle 2.000 figurine di un trittico intagliato in legno che divengono di carne ed ossa con interpretazioni da antologia come il fabbro Jons Åke Fridel caratterista di livello in un film che neanche ad Hollywood avrebbero potuto realizzare così bene. Particolarmente intensa e la presentazione del folle capo dei flagellanti incapretta da Matz Ek uno dei migliori attori svedesi di tutti i temi. Un lavoro da vedere e da gustare fino all’ultimo fotogramma per fotogramma e di un esempio per chiunque voglia iniziare a fare cinema. Cosa aspettate andate vederlo o meglio ancora a rivederlo
Robert Fogelberg Rota
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salvo
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mercoledì 7 marzo 2012
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il medioevo di antonius e jons non è mai finito.
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In compagnia di Jons, uno scettico e disilluso e pragmatico scudiero (the squire), (Gunnar Björnstrand), il cavaliere Antonius Block (Max von Sidow) ha consumato quasi tutta la sua fede in Dio in guerra.
Stanco e sfiduciato e infastidito dalla vita, credente ma assalito e tormentato e roso dal dubbio, torna dalle Crociate in Terra Santa.
Si ritrova in un paese (la Danimarca, tra Roskilde e Illerod) dove imperversano il disordine, la peste e il fanatismo religioso.
Su una spiaggia sassosa e inospitale, dove ha passato la notte, sotto un cielo grigio e vicino ad un mare minaccioso, le si manifesta la Morte (Bengt Ekerot) che lo segue ormai da molto tempo.
E' arrivata per portarlo via con se.
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In compagnia di Jons, uno scettico e disilluso e pragmatico scudiero (the squire), (Gunnar Björnstrand), il cavaliere Antonius Block (Max von Sidow) ha consumato quasi tutta la sua fede in Dio in guerra.
Stanco e sfiduciato e infastidito dalla vita, credente ma assalito e tormentato e roso dal dubbio, torna dalle Crociate in Terra Santa.
Si ritrova in un paese (la Danimarca, tra Roskilde e Illerod) dove imperversano il disordine, la peste e il fanatismo religioso.
Su una spiaggia sassosa e inospitale, dove ha passato la notte, sotto un cielo grigio e vicino ad un mare minaccioso, le si manifesta la Morte (Bengt Ekerot) che lo segue ormai da molto tempo.
E' arrivata per portarlo via con se.
Block le dice di non essere pronto:
"Il mio spirito lo è, ma non il mio corpo. Dammi ancora del tempo”.
E, proprio per prendere tempo, la sfida ad intraprendere una partita a scacchi contro di lui.
Nel prosieguo del film, una famiglia di saltimbanchi, incrociata sulla via di casa, gli fa assaporare, forse per l'ultima volta, un pizzico di fiducia nella vita.
Ma, questa inaspettata serenità, lo indurrà anche a porsi ulteriori domande su Dio, sulla religione, sulla vita e sulla morte.
Antonius Block si trattiene addirittura, durante la partita a scacchi itinerante più incredibile della storia del cinema, in una lunga serie di incontri-scontri dialogici con la stessa Morte.
Il film, sicuramente uno dei migliori, dei più profondi e ricchi di simbolismi, di Ingmar Bergman, è, in definitiva, un'allegoria tipicamente scandinava sulla vita dell'uomo, passata quasi interrottamente alla spasmodica ricerca di Dio, ma che ha, come unica definitiva certezza, solo la morte.
Come era solito che accadesse negli spettacoli medievali (un esempio viene fedelmente ricostuito e riproposto dal regista, nel corso del film, proprio attraverso lo spettacolo della famiglia di attori composta da Jof-Niels Poppe, Mia-Bibi Anderson e dall'altro attore anziano), il tragico convive con il comico.
Il film esprime in modo assai lineare tutte le problematiche esistenziali dell'uomo.
Il cavaliere Antonius Block, attraversa idealmente ma anche fisicamente tutte le possibili tragedie umane:
la guerra;
le pestilenze;
il giustizialismo;
l'adulterio;
il ladrocinio;
le sopraffazioni;
la violenza sessuale;
la superstizione;
il fanatismo religioso;
et alia.
E sembra riscattarle tutte con un unico escamotage: provocando un diversivo (fa cadere alcuni pezzi degli scacchi con un maldestro movimento del suo mantello) il cavaliere distrae la Morte e salva la famiglia dei saltimbanchi, permettendo loro di allontanarsi alla sua vista.
La famiglia: un'oasi felice in un mondo crudele.
Molto importante una delle scene iniziali che vede protagonista l'intera famiglia di attori, composta dal saltimbanco Jof, sua moglie Mia (una sfolgorante esordiente Bibi Anderson) il suo figlioletto e l'amico capo-comico.
Mentre parla al suo cavallo, Jof ha una visione celestiale: la Madonna regge per mano il bambino, accompagnandolo mentre muove i suoi primi passi sul prato.
Jof sveglia la moglie Mia che lo esorta a non abbandonarsi alle solite fantasticherie.
Si sveglia anche l'attore che vive e lavora con loro.
Si sveglia anche il figlioletto, per il quale il padre prevede un avvenire luminoso.
Mia ribadisce il suo amore per il marito Jof.
E' una famiglia povera e semplice, ma felice.
E non a caso sfugge alla Morte.
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cirko
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sabato 2 aprile 2005
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che scoperta!
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Quando , nelle prime scene, ho rivisto la Morte dalla quale il prode Brancaleone prendeva spunto, mi sono quasi prostrato....Film filosofico, al di là del tempo e dello spazio, condito con un pò di sana ironia che sdrammatizza con giusti toni una trama per certi versi angosciante.
Memorabile la scena della ragazza ( bellissima!!!) muta, che ritrova la parola nel finale.
[+] ma quante ne sa bergman?
(di tommy tee)
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il cinefilo
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mercoledì 28 luglio 2010
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uno dei classici del cinema
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TRAMA: Il cavaliere Antonius Block,di ritorno nel suo paese dalle crociate,inizia una partita a scacchi con la morte in persona e la sua vita è appesa a un filo...RECENSIONE:Questo film è certamente l'opera più famosa del grande regista Ingmar Bergman e difatti è proprio grazie a IL SETTIMO SIGILLO che a questo autore è stata riconosciuta una importante rilevanza internazionale.
Il regista,per realizzare questo film,si è ispirato a una pièce teatrale(scritta dallo stesso Bergman nel 1954)il cui titolo è PITTURA SU LEGNO.
Il film sembrerebbe mettere narrativamente in "primo piano" il rapporto che corre tra gli uomini e Dio e tra la vita e la morte e il tutto viene esaltato da un rigoroso atto di denuncia del fanatismo religioso(sotto questa tematica vale la pena di citare anche il capolavoro di Carl Theodor Dreyer intitolato DIES IRAE)e delle sue mostruosità.
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TRAMA: Il cavaliere Antonius Block,di ritorno nel suo paese dalle crociate,inizia una partita a scacchi con la morte in persona e la sua vita è appesa a un filo...RECENSIONE:Questo film è certamente l'opera più famosa del grande regista Ingmar Bergman e difatti è proprio grazie a IL SETTIMO SIGILLO che a questo autore è stata riconosciuta una importante rilevanza internazionale.
Il regista,per realizzare questo film,si è ispirato a una pièce teatrale(scritta dallo stesso Bergman nel 1954)il cui titolo è PITTURA SU LEGNO.
Il film sembrerebbe mettere narrativamente in "primo piano" il rapporto che corre tra gli uomini e Dio e tra la vita e la morte e il tutto viene esaltato da un rigoroso atto di denuncia del fanatismo religioso(sotto questa tematica vale la pena di citare anche il capolavoro di Carl Theodor Dreyer intitolato DIES IRAE)e delle sue mostruosità.
Apparentemente l'impianto narrativo del film potrebbe rischiare di risultare troppo "schematico"(o forse è proprio in virtù di questo dettaglio che è una pellicola affascinante)ma questo difetto non nè rovina affatto la straordinaria bellezza visiva(la scenografia rasenta stilisticamente l'arte "pittorica" dei secoli passati)o la sua grandezza metaforica e filosofica.
Oltrepassando qualsiasi possibile discorso sui pregi e i difetti di questo film non si dovrebbe mai dimenticare l'influenza che ha avuto sui cinefili di mezzo mondo e su come esso era e rimane un importante pietra miliare della cinematografia mondiale e una tappa obbligatoria nell'itinerario di Ingmar Bergman.
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davide-uk
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mercoledì 22 agosto 2007
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un film-ispirazione
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Ho rivisto il film rimasterizzato, e questa e' la terza volta. E' anche la volta che mi e' piaciuto di piu'. In passato ponevo il Settimo Sigillo in prospettiva rispetto alla filmografia successiva di Bergman e mi sembrava un'opera si' bellissima per temi, atmosfera, regia, fotografia e ritmo, ma ancora carente di verve rivoluzionaria e spiazzante, se paragonata a diverse opere successive. Di sicuro questo film e' stato uno dei modelli piu' imitati o presi ad ispirazione per il cinema che vuole inserire riflessioni di un certo spessore e uno stile autoriale su un impianto narrativo accettabile da una larga audience. In questo senso e' un archetipo perfetto, per la fluidita' con cui stratifica i livelli simbolici nel corso della narrazione, lasciando come scia in molti spettatori il desiderio di continuare a pensare ai temi proposti anche dopo l'uscita dalla sala.
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Ho rivisto il film rimasterizzato, e questa e' la terza volta. E' anche la volta che mi e' piaciuto di piu'. In passato ponevo il Settimo Sigillo in prospettiva rispetto alla filmografia successiva di Bergman e mi sembrava un'opera si' bellissima per temi, atmosfera, regia, fotografia e ritmo, ma ancora carente di verve rivoluzionaria e spiazzante, se paragonata a diverse opere successive. Di sicuro questo film e' stato uno dei modelli piu' imitati o presi ad ispirazione per il cinema che vuole inserire riflessioni di un certo spessore e uno stile autoriale su un impianto narrativo accettabile da una larga audience. In questo senso e' un archetipo perfetto, per la fluidita' con cui stratifica i livelli simbolici nel corso della narrazione, lasciando come scia in molti spettatori il desiderio di continuare a pensare ai temi proposti anche dopo l'uscita dalla sala. Si', credo che in tutti i sensi il maggior pregio di questo film sia di essere un "film-ispirazione" (grazie anche alla forza della recitazione di un cast brillante dal primo all'ultimo attore).
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