
Il cinema di tutto il continente asiatico rappresentato nella sezione Asian Future.
di Paolo Bertolin
Al Festival del Cinema di Tokyo non è solo il cinema giapponese ad occupare il centro del proscenio. Dall'anno scorso, grazie alla nuova competizione Asian Future, dedicata alle opere prime e seconde da tutto il continente asiatico sfilano i diversi colori del variegato mosaico di cinematografie che vanno da Turchia a Indonesia, da Iran a Corea.
E il concorso Asian Future si è aperto proprio con un film coreano, intitolato però Made in China. Prodotto e scritto da Kim Ki-duk, il lungometraggio diretto da Kim Dong-hoo prende le mosse dal crescente sentimento anticinese dei coreani, che trova palpabile riscontro nella diffidenza verso tutte le importazioni in provenienza dalla Cina Popolare. Nel film, un giovane cinese entra illegalmente in Corea per chiedere un riesame delle anguille allevate dal padre, previamente risultate positive al test del mercurio e quindi messe al bando dal commercio. Si ritroverà invischiato in una relazione passionale con la ricercatrice responsabile dei controlli e nei loschi traffici che fioriscono intorno ai controlli sanitari sui prodotti alimentari. Purtroppo, sin dalle primissime immagini (un'anguilla vivisezionata per condurre le analisi di cui sopra) Kim Dong-hoo pare intrappolato in un tentativo fragilissimo di ricreare l'universo figurativo e narrativo del suo mentore, con tanto di eroe laconico, personaggio femminile dal piglio ferino, scene di crudeltà varia - inclusa automutilazione - e critica all'ipocrisia della società coreana. Il tutto si risolve inevitabilmente in una pila di cliché, messi in ulteriore evidenza da una messa in scena piatta e dalla recitazione dozzinale.
Non va meglio con il turco As the Swallows Got Thirsty di Muhammet Cakiral, dove la favola ecologica di un villaggio i cui abitanti cercano di preservare la natura incontaminata della montagna contro l'avanzata di un progresso potenzialmente dannoso. Si tratta di una produzione che pare quasi amatoriale, che stupisce un po' vedere inclusa in un programma competitivo internazionale (tanto più nell'anno in cui il Festival di Tokyo ha abbandonato il suo iconico 'tappeto verde' e l'esibita politica ambientasta - ma forse si tratta, al contrario, proprio di una scelta di compensazione.
Assai più interessante, almeno in termini di forme espressive, è l'opera seconda del singaporeano Liao Jiekai, As You Were. Rivelatosi nel 2010 con Red Dragonflies, Liao torna in quest'opera ricercata ai temi della memoria e del peso che la percezione del passato ha nel construire le relazioni tra persone prossime. In particolare, As You Were, costruito in tre capitoli che oscillano tra passato e presente, ricama sulla crisi di una relazione, laddove il ricordo di un tenero amore d'infanzia non combacia con incomprensioni del presente. C'è un che di antonioniano nell'approccio di Liao all'insondabile alienazione dei suoi personaggio. Il tutto è però filtrato da un approccio estetico (decostruzione e frammentazione della linea del racconto, elegante composizione del quadro, dialoghi minimali, sonoro ricercatamente stratificato) riconoscibilmente debitore dei Maestri asiatici contemporanei (da Hou a Koreeda, passando per Weerasethakul), ivi incluso il tentativo di radicare il disagio dei protagonisti nel tessuto connettivo del contesto socio-politico singaporeano - seppure magari ricorrendo all'obliquità e alla metafora. L'esito è forse troppo cerebrale per emozionare, ma Liao è di certo un regista da tener d'occhio.
Sul versante quasi opposto dell'approccio al mezzo cinematografico si colloca la ruspante commedia gialla North by Northeast del cinese Zhang Bingjian. In un villaggio cinese del nord est, verso la fine della Rivoluzione Culturale, la popolazione locale è scossa dalle sortite nocturne di un inafferrabile "liumang" (pervertito, maniaco sessuale). Il volonteroso ma maldestro capitano Li, ex cuoco improvisato ispettore, indaga con l'aiuto di una squadra di agenti tutt'altro che impeccabili e, soprattutto, con il contributo dapprima mal tollerato, ma poi indispensabile dell'Allenatrice Cai. Ex professoressa spedita in campagna a 'riformarsi' all'inizio della Rivoluzione Culturale, Cai è la 'guida' della comunità locale, apprezzatissima per la sua maestro nell'addestrare maiali da monta. Tra commedia salace e detective story, il film di Zhang è un esempio assai curioso della corrente voga di revisionismo storico-politico intorno alla Rivoluzione Culturale che attraversa le produzioni della Cina Popolare (si pensi anche al film di Wang Xiaoshuai Red Amnesia, passato in concorso a Venezia il mese scorso). E non è solo il tono irriverente a distinguerlo, ma ancora di più l'assunto dichiarato, dove medicina tradizionale e 'superstizioni' vengono 'riabilitati' e riconosciuti come rimedio assai più efficace di slogan e proclami contro il crimine - e, ovviamente, l'impotenza del Capitano Li. Il tutto dando ragione ad una logica interpretativa che passa da "nemici del popolo" a "pazienti".