Rosenstrasse

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Un film di Margarethe von Trotta. Con Katja Riemann, Maria Schrader, Jürgen Vogel Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 136 min. - Germania 2003. - 01 Distribution uscita martedì 27 gennaio 2004. MYMONETRO Rosenstrasse * * * - - valutazione media: 3,17 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

TRIANGOLAZIONE DELLA MEMORIA Valutazione 3 stelle su cinque

di THEOPHILUS


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lunedì 17 febbraio 2014

ROSENSTRASSE
 
 
La caratteristica che contraddistingue il lungometraggio Rosenstrasse, fresco vincitore del premio come Miglior film dell’Unione Europea, ex-aequo con Dogvilledi Lars von Trier, ai David di Donatello, è di trattare un aspetto collaterale- quasi un rivolo secondario - del problema giudaico: quello dei matrimoni misti fra ebrei e tedeschi. Inoltre, conseguente alla precedente, troviamo espressa la continuità storica con gli avvenimenti narrati.
Ruth è una donna, figlia di padre tedesco e madre ebrea, emigrata bambina negli Stati Uniti d’America alla fine della 2^ guerra mondiale. Giunta settantenne ai giorni nostri, le muore il marito ebreo e, improvviso, si manifesta in lei il bisogno di vivere quel lutto secondo i dettami della religione del consorte, che è stata anche la sua, pur non essendo i due mai stati veramente osservanti. Il comportamento misterioso, quasi ossessivo, della donna e alcune rivelazioni avute da una parente presente al funerale, spingono la figlia Hannah ad andare a Berlino, per incontrare una donna, di nome Lena Fischer, che, negli anni della guerra, aveva adottato Ruth.
Col metodo del diario intimo, del ricordo indelebile, ci viene così narrata la storia di alcune donne tedesche, sposate ad uomini ebrei, relativamente ai sette giorni intercorsi fra il 27 febbraio e il 5 marzo 1943.
Rosenstrasse era la via dove sorgeva un edificio nato per curare le relazioni degli ebrei residenti a Berlino e che venne adibito, in quel frangente, a luogo di detenzione e di passaggio in attesa della deportazione nei campi di concentramento.
Il film è una sorta di triangolazione spazio/temporale: la memoria va alla Rosenstrasse di quei giorni, mentre il presente è diviso fra Berlino e New York a formare un doloroso affresco in cui quelle distanze sembrano annullarsi.  C’è una risonanza intimistica fra questi tre mondi e il reticolato dei ricordi che rimbalzano fra Lena, giovane e Ruth, bambina e la prima, novantenne e l’altra, ormai settantenne. Hannah fa la portavoce fra queste istanze; risveglia la memoria e la coscienza di Lena e riesce a guarire il risentimento della madre. Ruth, abbandonata tre volte – dalla madre, da Lena, dal marito – riesce a recuperare la strada della speranza nella vita e a conciliare il dramma del suo passato con la fiducia nella gioia del presente, il suo essere diversa e figlia di diversi, accettando che la figlia affronti a sua volta la condizione e il rischio di diversa, sposando il ragazzo non ebreo. Tutto questo sembra inoltre poter accadere grazie alla simbologia dell’anello, quella sorta di testimone dell’amore di Lena e della memoria, che la tedofora Hannah riporterà a Ruth.
Il film rimane nell’ambito della memoria personale e forse la regista Margarethe von Trotta non ha inteso rappresentare questa catena di avvenimenti che ha sconvolto la vita di alcune persone, come anello di congiunzione col tragico tema storico dello sterminio del popolo ebraico. Molte cose non sono dette o rimangono nascoste fra le righe e sta nella sensibilità di chi guarda il film andarle a scoprire.
Per quanto non rumoroso, Rosenstrasseè un film che non può passare inosservato, implode dolorosamente, con grande compostezza: non si vuole far notare ed è per questo che riesce ad imporsi. Non riusciremmo a definirlo un film d’impegno civile, perché, in fin dei conti, il problema ebraico, la Shoah, l’impatto del nazismo sulla storia dell’umanità, rimangono tutti sullo sfondo e, ripetiamo, il respiro del dramma non si trasmette al di fuori dei protagonisti del film.  
Un numero cospicuo di donne berlinesi rimase nella Rosenstrasse a tentare di impedire la deportazione dei mariti, a manifestare e protestare ininterrottamente per sette giorni. Solo Ruth, alla fine del periodo, non vide uscire dal portone di quell’edificio chi stava aspettando: la madre. Il marito aveva divorziato da lei e, per questo motivo, ella non riuscì ad evitare l’internamento in un campo di concentramento.
Notevolissima l’interpretazione di Katja Riemann, nella parte di Lena Fischer giovane. Il suo ardore e la sua forza sanno conferire al film quella nobiltà che forse il tema solo in parte riesce a centrare. Reduci dall’aver rivisto recentemente The Pianistdi Roman Polanski, non possiamo non rilevare la notevole distanza che intercorre fra l’afflato dei due film. Quanto Il Pianistaha saputo travalicare il suo stesso piano di racconto, andando a toccare momenti di poesia di un valore veramente universale, tanto Rosenstrasseci è parso più racchiuso in un ambito che, per quanto toccante, non riesce ad evadere dalla strettoia di sentimenti di natura individuale, mettendo semmai in luce un problema squisitamente tedesco. Anche il finale del film, poi, non ci pare abbia saputo porre bene in chiaro le ragioni del ravvedimento di Ruth nei confronti del marito della figlia, dal momento che le sue motivazioni avverse non sembrano poter essere piegate dalle rivelazioni che Lena fa ad Hannah o dall’amore trasdotto dall’anello. Ci ha addirittura sfiorato il sospetto che nelle pieghe del racconto si celi una punta di risentito femminismo, che si evidenzia nel mettere in risalto il tradimento dell’unico uomo del gruppo, mentre tutte le donne tedesche rimasero fedeli ai loro sentimenti.
 
Enzo Vignoli,
18 aprile 2004.
 
 
 

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