I Fratelli Sisters

Il western è per eccellenza il genere che pone le sue fondamenta (e trova la sua forza) nell'antipsicologismo. Buoni da una parte, cattivi dall'altra, poche sfumature nel mezzo, come ben sintetizza Tarantino nel suo Django. E' chiaro che esistono delle eccezioni, ma la dinamica narrativa di solito è tutta esteriore. "I fratelli sisters" spiazza perché, al contrario, la dinamica narrativa è per gran parte interiore, e più in senso lato esistenziale. Chi si aspetta un western "duro e puro" non potrà che rimanere deluso da una pellicola che ha velleità che vanno sicuramente oltre il genere di appartenenza. Si tratta in realtà di una parabola di vita, di una favola esistenziale nella quale ciascun personaggio non è solo ciò che appare, ma rimanda a sensi e significati più profondi. C'è un personaggio in particolare che assume il ruolo di "deus ex machina" della situazione, capace com'è di attivare processi di cambiamento interiore che sono già sbocciati, ma hanno bisogno solo dell'occasione giusta per uscire alla luce e maturare. Lo stesso personaggio rappresenta una sorta di grillo parlante, e l'intera storia può essere letta come una favola di redenzione, nella quale i due bambini-Pinocchio Sisters si stagliano come giganteschi protagonisti sullo sfondo di un paesaggio che scorre dietro di loro, fatto di scenari naturali e persone che esistono quasi solo e soltanto in virtù del loro ritorno a casa, in qualche modo alla maniera di Ulisse. Sembra una parabola del sé, nella quale la conoscenza delle proprie radici e la rielaborazione dei contenuti inconsci della propria esistenza, in concomitanza con eventi esterni apparentemente casuali, portano infine alla maturazione, alla pacificazione. Credo che una lettura di tipo mitico - psicanalitico sia da prediligere nel tentativo di interpretare la pellicola. Gli interpreti sono magistrali, su tutti John C. Reilly, assolutamente da oscar. Attore gigantesco.