I Fratelli Sisters

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Un film di Jacques Audiard. Con John C. Reilly, Joaquin Phoenix, Jake Gyllenhaal, Riz Ahmed, Jóhannes Haukur Jóhannesson.
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Titolo originale The Sisters Brothers. Western, Ratings: Kids+13, durata 122 min. - Francia, Spagna, Romania, Belgio, USA 2018. - Universal Pictures uscita giovedì 2 maggio 2019. MYMONETRO I Fratelli Sisters * * * 1/2 - valutazione media: 3,55 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

quei bravi ragazzi Valutazione 3 stelle su cinque

di carloalberto


Feedback: 51015 | altri commenti e recensioni di carloalberto
domenica 17 gennaio 2021

 Jacques Audiard si cimenta nel western. Il risultato, ambiguamente sospeso tra innovatività e convenzionalità, delude rispetto alle premesse, ma si riscatta nel finale.
La sequenza iniziale lascia ben sperare. L’incipit è suggestivo. Gli spari che illuminano coi loro bagliori il buio pesto, echeggiando da una parte all’altra dell’inquadratura, introducono bruscamente nell’atmosfera di cupa ferocia di un mondo quasi primordiale, immerso nella notte della ragione, in quegli inizi ferini e senza legge del vecchio west. Un avvio icastico folgorante che perde quasi subito la sua forza drammatica epocale, diluito nella prospettiva sociologica di maniera e di uno psicologismo introspettivo alla moda, entrambe schematicamente tesi a dimostrare che gli uomini sarebbero tutti buoni, se non fosse per i condizionamenti sociali o per qualche trauma subito nell’infanzia o nell’adolescenza. Costretto ed imbrigliato dalla necessità di spiegare il teorema, dandone prova di verità, le immagini si stereotipizzano nell’estetismo della bella fotografia dei paesaggi o divengono meramente strumentali all’assunto, in una serie di quadretti di famiglia in cui i due fratelli si spingono ai limiti della reciproca analisi psicoanalitica. Da quel momento il film  precipita nella banalità della solita storia dei cattivi costretti ad una vita violenta dall’ambiente in cui vivono e dalla figura, oramai abusata nei plot dei film drammatici, del padre alcolista e brutale che guasta la serenità della famigliola felice.
Alcune scene danno la brutta sensazione di posticcio e di fasullo e, quasi rivelando il set, negano la possibilità di un’immedesimazione nella storia, ricacciando lo spettatore in platea. Si salva la fotografia e naturalmente l’interpretazione dei tre grandi attori in scena più quella del quarto protagonista, il meno famoso Riz Ahmed.
I fratelli Sisters, in fondo dei bravi ragazzi, a causa del loro triste passato sono divenuti sicari su commissione del padrone della città, il commodoro, nome che ne indica una provenienza marinaresca, da un altrove posto al di là del mare, come se il male avesse un’origine allogena e misteriosa, estranea comunque al contesto. Il male non può essere consustanziale all’eden perduto cheAudiard sta forzosamente tentando di rappresentare, ma è contingente ed effimero e la sua fine, emblematicamente riprodotta nella morte improvvisa e naturale del commodoro, ripristina la condizione paradisiaca iniziale.
I quattro personaggi nonostante siano ben caratterizzati, inverosimilmente sono tutti di animo gentile e buono, traviati dalla vita. Riz Ahmed è il chimico utopista che con l’oro vuole fondare la città ideale, Jake Gyllenhaal, relegato in un ruolo da comprimario, dalla recitazione piuttosto monocorde e con l’espressione spaesata di chi non sa perché si trovi ad interpretare quella parte, è lo scrittore, osservatore ammirato del west, prima complice del malvagio commodoro e poi convinto sostenitore della nobile causa del socio, John C. Reilly, l’eterno ragazzone dai buoni sentimenti, che non ha saputo proteggere suo fratello minore dalle violenze del padre ubriacone, ricorda troppo il comico che interpreterà nello stesso  periodo o subito dopo in Stan & Ollie, questa volta impegnato in un duetto col fratello Joaquin Phoenix, dallo sguardo folle incorniciato nel viso perennemente imbronciato da bambino in punizione,  il ribelle il cinico e violento, tormentato dal rimorso per aver ucciso il padre e che troverà pace soltanto nella perdita del braccio, quasi fosse un castigo divino giunto provvidenziale a redimere il peccatore, troncando la malvagità dell’animo simbolicamente rappresentata dal braccio patricida.
Le sequenze finali riscattano la pellicola destando un’inaspettata, a quel punto, compartecipazione emotiva, con quel cambio di scena senza soluzione temporale, che rintraccia suggestivamente, all’insegna della nostalgia, il passato dei due ragazzi tornati a casa della madre, riportandoli, come in una favola a lieto fine, ad una innocenza perduta, ritrovata nel fare colazione insieme, come ai tempi felici della loro infanzia, e nella stanzetta che li vide adolescenti ancora sognanti una vita diversa.  

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