andrea giostra
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venerdì 23 gennaio 2015
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occhi grandi
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Il film è la storia vera di Margaret Keane, nata in Tennessee nel 1927, che già da bambina, nella sua città di origine, era molto conosciuta in chiesa per i suoi disegni di angeli con grandi occhi. Negli anni sessanta le sue opere ebbero un enorme successo merito del secondo marito, Walter Keane, che le pubblicizzò sotto ogni forma, e le vendette a migliaia sotto il suo nome sostenendo – in un primo momento in accordo con Margaret - di esserne l’autore. Il film, che vede protagonisti Chistoph Waltz nella parte di Walter Keane e Amy Adams nella parte di Margaret Keane, è da non perdere, non solo per l’originalità e l’importanza artistica della storia – negli anni 60’-70’ si scrisse in proposito come una delle più grandi e geniali truffe d’arte della storia – magnificamente rappresentata da Tim Burton con una narrazione scorrevole, emozionante e che sa trasmettere allo spettatore il terribile dramma della donna-artista Margaret ingannata e truffata del suo grande talento dal marito Walter bramoso di successo e di denaro, ma anche per la recitazione assai brillante e magistrale di Waaltz e Adams: oramai due veri fuoriclasse del mondo artistico hollywoodiano.
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Il film è la storia vera di Margaret Keane, nata in Tennessee nel 1927, che già da bambina, nella sua città di origine, era molto conosciuta in chiesa per i suoi disegni di angeli con grandi occhi. Negli anni sessanta le sue opere ebbero un enorme successo merito del secondo marito, Walter Keane, che le pubblicizzò sotto ogni forma, e le vendette a migliaia sotto il suo nome sostenendo – in un primo momento in accordo con Margaret - di esserne l’autore. Il film, che vede protagonisti Chistoph Waltz nella parte di Walter Keane e Amy Adams nella parte di Margaret Keane, è da non perdere, non solo per l’originalità e l’importanza artistica della storia – negli anni 60’-70’ si scrisse in proposito come una delle più grandi e geniali truffe d’arte della storia – magnificamente rappresentata da Tim Burton con una narrazione scorrevole, emozionante e che sa trasmettere allo spettatore il terribile dramma della donna-artista Margaret ingannata e truffata del suo grande talento dal marito Walter bramoso di successo e di denaro, ma anche per la recitazione assai brillante e magistrale di Waaltz e Adams: oramai due veri fuoriclasse del mondo artistico hollywoodiano.
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federico s
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domenica 4 gennaio 2015
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l'arte è come il cuore, non si comanda.
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Nell'ultima opera di Tim Burton vince l'originalità, aiutata da due grandi attori: Amy Adams e Christoph Waltz. La storia racconta la vita di Margaret Keane, pittrice talentuosa e donna fragile, la quale cade vittima di un marito prepotente che firma le sue opere a suo nome. Il regista, con i suoi colori pastello e le ambientazioni tipiche degli anni 50 e 60, dipinge una storia scorrevole che ci fa riflettere sul gusto dell'arte e sul prezzo della verità. Da sottolineare anche la splendida canzone di Lana Del Rey, che fa da cornice a un biopic ben riuscito.
[+] opera insolita e intima nella carriera di burton
(di antonio montefalcone)
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lisa costa
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lunedì 19 gennaio 2015
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quando l'arte imita l'arte
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Il problema con i film di Tim Burton è che non posso essere presi a sé, li si deve sempre paragonare al suo passato.
Il regista si è fatto un nutrito fan club, creando di volta in volta aspettative, creandosi prima di tutto un nome che significa estro, che significa genio, che significa fantasia lasciata libera di galoppare.
Ecco perchè, mai come a lui, la china che ha preso la sua filmografia negli ultimi tempi è difficile da perdonare.
Iniziata con quella che per molti, se non per tutti, sembrava la collaborazione del secolo, quella che vedeva unito il suo genio a quello altrettanto gotico e folle di Carroll con Alice in Wonderland, e che si è rivelata una delusione, se non uno spreco, che continua a lasciare un segno cocente.
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Il problema con i film di Tim Burton è che non posso essere presi a sé, li si deve sempre paragonare al suo passato.
Il regista si è fatto un nutrito fan club, creando di volta in volta aspettative, creandosi prima di tutto un nome che significa estro, che significa genio, che significa fantasia lasciata libera di galoppare.
Ecco perchè, mai come a lui, la china che ha preso la sua filmografia negli ultimi tempi è difficile da perdonare.
Iniziata con quella che per molti, se non per tutti, sembrava la collaborazione del secolo, quella che vedeva unito il suo genio a quello altrettanto gotico e folle di Carroll con Alice in Wonderland, e che si è rivelata una delusione, se non uno spreco, che continua a lasciare un segno cocente.
Dopodiché anche la ripresa di una vecchia serie, famosa sopratutto in America, ha lasciato il tempo che trovava, quel Dark Shadows che è parso più un innocuo divertissement che un film in cui la sua vena artistica fosse tornata a risplendere.
Poi è stato il ritorno al passato, e all'animazione, a far tornare a palpitare il cuore di fan e spettatori delusi. In Frankenweenie si ritrova la voglia di giocare, la voglia di sorprendere e di divertirsi dei vecchi tempi.
E arriviamo finalmente all'oggi, anzi, meglio fermarci a qualche mese fa, quando l'annuncio che il prossimo progetto di Burton sarebbe stato raccontare la vita dell'artista Margaret Keane aveva lasciato un po' perplessi, un po' (tanto) ansiosi di vedere cosa il regista dall'immaginazione più vivida potesse tirar fuori con l'artista degli occhi grandi.
Visto il trailer, la sensazione era qualcosa di grande, qualcosa di diverso, certo, ma in cui i suoi guizzi, la sua firma, si potessero sentire.
Arrivati all'oggi, tutto questo entusiasmo è già scemato.
Quell'attesa prolungata e soddisfatta nel primo giorno del nuovo anno, ha visto davanti a sé niente più e niente di meno che un biopic, di quelli classici.
Quei biopic che ci raccontano didascalicamente l'ascesa, le cadute e il risollevamento del protagonista, che parte con una Margaret insicura che lascia il primo marito, che con la figlia cerca di ricostruirsi un futuro a Los Angeles, in cui spera di far emergere la sua arte, di vivere con questa.
Basta davvero poco per incontrare un altro artista, dalle mille parole, come Walter Keane, dall'innamorarsi, dallo sposarlo senza troppo pensieri in quel paradiso delle Hawaii, da iniziare una vita in cui sarà proprio l'arte a vederli vincenti, un'arte fatta quasi in catena di montaggio, però, lasciata alla gloria di chi meglio ci sa fare con il pubblico, con gli acquirenti, con i giornalisti.
Ma quanto pensiate possa durare questo equilibrio instabile che coinvolge anche l'amore, un matrimonio, oltre che gli affari e la passione per l'arte?
Big Eyes è niente più che un biopic classico anche perchè si avvale di due interpreti eccezionali, quella Amy Adams che -come se fosse ancora necessario- conferma nuovamente tutta la sua bravura, e quel Christoph Waltz ormai abbonato ai ruoli da stronzo, che con quella faccia da sberle e quel piglio un po' gigione, un po' tanto egoista, si cala alla perfezione nei panni del falsario Walter Keane.
Non manca poi una colonna sonora a doc, del fido Danny Elfman, che sottolinea a dovere ogni emozione, ogni cambiamento, tanto da non essere nemmeno così sentita, se non nel finale, affidato però alla voce di Lana del Rey che (dopo Mommy, dopo Il Grande Gatsby, dopo Maleficent) ad Hollywood sta così bene.
Che male c'è allora in un biopic classico, che rispetta regole, che rispetta la storia che racconta?
C'è che questo film biografico è firmato Tim Burton, e uno con un nome così, non lo avremmo mai pensato capace di tanta piattezza.
Già, piattezza, perchè nella storia di un'artista come la (o i) Keane manca l'emozione, mancano quegli sprazzi di genio che solo in rarissimi momenti (quello del supermercato) emergono per far parlare qualcos'altro che non siano le tante parole della sceneggiatura.
Da uno come Burton ci si aspettava qualcosa di diverso, è la sua condanna e la sua fortuna, perchè un regista che c'ha abituato a lasciarci a bocca aperta e con gli occhi sognanti, non può lasciare assopito il suo pubblico, o questo rimane deluso.
Big Eyes è una delusione. Quindi.
E' una visione stanca e didascalica, in cui nemmeno la voce narrante trova il suo spazio, in cui si finisce per amare, certo, le opere della Keane, il suo tocco, i sui grandi occhi.
Quelle di Burton, invece, molto, molto meno.
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laurence316
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mercoledì 12 luglio 2017
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"i quadri dipinti da donne vendono di meno"
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Ritorno sugli schermi di Burton dopo il discreto Dark Shadows, del 2012, Big Eyes è però un film tutt'altro che "burtoniano", e pertanto i fan (soprattutto del vecchio Burton e del suo stile dark e grottesco) potrebbero rimanere delusi. E' però un gran bel film biografico, alla maniera di Ed Wood, scritto, infatti, proprio dagli stessi sceneggiatori, Alexander e Karaszewski, basato sulla storia vera di Margaret Keane (la si vede all'inizio dei titoli di coda, in una foto con la protagonista Amy Adams), per più di dieci anni succube del marito, spesso violento, che si spaccia agli occhi dei media quale l'autore dei suoi dipinti, caratteristici per la presenza di bambini dai grandi occhi sproporzionati (i "big eyes", appunto).
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Ritorno sugli schermi di Burton dopo il discreto Dark Shadows, del 2012, Big Eyes è però un film tutt'altro che "burtoniano", e pertanto i fan (soprattutto del vecchio Burton e del suo stile dark e grottesco) potrebbero rimanere delusi. E' però un gran bel film biografico, alla maniera di Ed Wood, scritto, infatti, proprio dagli stessi sceneggiatori, Alexander e Karaszewski, basato sulla storia vera di Margaret Keane (la si vede all'inizio dei titoli di coda, in una foto con la protagonista Amy Adams), per più di dieci anni succube del marito, spesso violento, che si spaccia agli occhi dei media quale l'autore dei suoi dipinti, caratteristici per la presenza di bambini dai grandi occhi sproporzionati (i "big eyes", appunto).
E' un film profondamente femminista, diretto con solida maestria da Burton, con all'attivo due eccellenti interpretazioni da parte dei protagonisti: Adams e Waltz (l'Hans Landa di Bastardi senza gloria, già vincitore di due premi Oscar) e l'ottima sceneggiatura.
Ambientato a San Francisco prima e nel fantasioso paradiso delle Hawaii poi, Big Eyes è un film da vedere, che seppur lontano dagli standard del cinema burtoniano, dovrebbe incontrare il favore anche dei fan, a patto che non siano eccessivamente "puristi". Sorretto anche dalla buona colonna sonora (fra cui la canzone "Big Eyes", di Lana Del Rey, composta appositamente per il film), risulta essere un bio-pic diverso e originale, che critica nemmeno troppo velatamente il mondo dell'arte, il suo maschilismo (i quadri dipinti da donne vendono di meno) e la sua mercificazione, ma anche i critici e il pubblico.
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thedust67
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venerdì 2 gennaio 2015
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gli occhi di burton
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Torna sul grande schermo Tim Burton con Big Eyes un film biografico della pittrice Margaret Keane. Un film più che discreto con lati positivi e negativi, una regia ottima e una fotografia che solo Tim Burton poteva dare, però con una sceneggiatura che da l'idea di essere un pò trascurata e dei personaggi che sembrano riempire il film, solo in certe scene si vede la fantasia e il tocco del regista. Lo consiglio è un buon film per passare la serata, ma purtroppo dopo il flop di Alice in Wonderland speravo in qualcosina in più.
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(di pcologo)
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robimancuso97
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giovedì 15 gennaio 2015
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grandi occhi, piccole emozioni
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Senza dubbio una bella storia, ma con poco contenuto, con poca emozione e con poco sentimento. Si basa principalmente nello scontro verbale tra la protagonista Margaret Ulbrich, una bravissima pittrice, che per la sua condizione di donna degli anni '50, non riesce ad avere successo e un Water Keane,desideroso di avere successo, soldi e ammirazione a tutti i costi. Ma c'è un Tim Burton che non esprime in questo film quello che è solito dare al suo pubblico. Ottima interpretazione di Christoph Waltz, che interpreta benissimo il ruolo del pittore Keane. Una storia molto bella quella della pittrice Ulbrich e dei suoi occhi grandi, ma che non ti riesce a far stare incollato allo schermo.
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mericol
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martedì 27 gennaio 2015
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gli occhi di margareth ,la managerialità di walter
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Margareth se ne va in macchina con la figliola. Lascia il marito, in un’epoca in cui,siamo negli anni ’50, anche nella evoluta America non era abituale lasciare i mariti.
Margareth è una pittrice “di strada”.Monotematica, dipinge fanciulle dagli occhi grandi, con la premessa ideale che gli occhi esprimono l’anima più che ogni altra parte del corpo e le fanciulle più di tutti gli altri esseri umani. Su una piazza, ove si dipinge, incontra Walter, pittore anch’egli, ma di paesaggi. E’ amore tra i due. Walter esalta le capacità di Margareth, sino a quel punto ridotta a chiedere poco denaro per le sue opere, giusto per sopravvivere.
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Margareth se ne va in macchina con la figliola. Lascia il marito, in un’epoca in cui,siamo negli anni ’50, anche nella evoluta America non era abituale lasciare i mariti.
Margareth è una pittrice “di strada”.Monotematica, dipinge fanciulle dagli occhi grandi, con la premessa ideale che gli occhi esprimono l’anima più che ogni altra parte del corpo e le fanciulle più di tutti gli altri esseri umani. Su una piazza, ove si dipinge, incontra Walter, pittore anch’egli, ma di paesaggi. E’ amore tra i due. Walter esalta le capacità di Margareth, sino a quel punto ridotta a chiedere poco denaro per le sue opere, giusto per sopravvivere. Diventa suo marito e suo agente. Sino ad apparire lui l’autore dei quadri, che avranno un mercato: i quadri stessi, persino le locandine, le figurine che vi si ispirano. Tutti con il nome di Keane , il suo. Mentre Margarth continua a dipingere. Sta dietro le quinte, fa da comparsa. I cospicui profitti sono divisi equamente (si fa per dire!) tra i due. I lavori sono esaltati al di là del loro valore artistico effettivo, come giustamente osserva un critico del NYT. Walter è certamente un abile manager. Ma il talento non vale forse più del denaro, la personalità non ha più merito della capacità organizzativa? Finalmente Margareth ha la forza per reagire. E’ divisione, poi contrasto legale. In tribunale ,messo alla prova,Walter che si arrogava la paternità delle opere, risulta di fatto un truffatore. Non ha mai dipinto alcun quadro. Ha falsato la sua vita e quella degli altri..
Il film di Tim Burton afferma decisamente il valore della emancipazione femminile in una epoca in cui non era ancora possibile. Dimostra ancor più il potere falsificatore dei mezzi di comunicazione ,della pubblicità, che innalzano ad arte opere accettabili senza dubbio , ma in definitiva di modesto valore artistico, e soprattutto esasperatamente ripetitive. Comportamento, questo secondo, che si trascina sino alla nostra epoca, anzi decisamente ingigantendosi.
La conduzione del film è esemplare. All’inizio la voce fuori campo afferma, per conto del Regista ”la più strana storia che abbia mai raccontato”. In verità Tim Burton di storie strane ne ha raccontate tante. Tutte con grande maestria.
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alessandro_bevilacqua
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giovedì 1 gennaio 2015
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occhi grandi, grande film
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E dopo averci stupito con abbondanti e stucchevoli effetti speciali ed averci ingozzato di estetiche e faccine di Jhonny Deep arriva finalmente BIG EYES. Il film spiazza per il netto cambio di registro e meraviglia per la resa profonda dei personaggi (ottimi interpreti). Burton ci consegna una storia vera, nuda e cruda, con le sue gioie e disperazioni personali senza mai cadere nella retorica. Fotografie e musiche piacevolmente in linea con questa storia, rendono questa storia a lieto fine una vera e propria riflessione sul rispetto degli altri e della propria identitá.
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alessandro surza
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venerdì 2 gennaio 2015
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quei bambini con gli occhi grandi...
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Una storia vera attrae il pubblico quasi quanto un cartone animato della Disney attrae i bambini (e non solo, aggiungerei). Metti poi che il film in questione sia diretto da nientemeno che Mister Tim Burton e con protagonisti Christoph Waltz ed Amy Adams, il successo è assicurato.
Fine anni '50, la pittrice Margaret lascia il marito e se ne va di casa con la figlioletta, incontrando poi il signor Keane, un uomo con la passione della pittura, che si accorge del talento della moglie nel dipingere quadri di persone e bambini con gli occhi grandi, e comincia a venderli spacciandoli per suoi con un notevole successo, finché lei non decide di ribellarsi.
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Una storia vera attrae il pubblico quasi quanto un cartone animato della Disney attrae i bambini (e non solo, aggiungerei). Metti poi che il film in questione sia diretto da nientemeno che Mister Tim Burton e con protagonisti Christoph Waltz ed Amy Adams, il successo è assicurato.
Fine anni '50, la pittrice Margaret lascia il marito e se ne va di casa con la figlioletta, incontrando poi il signor Keane, un uomo con la passione della pittura, che si accorge del talento della moglie nel dipingere quadri di persone e bambini con gli occhi grandi, e comincia a venderli spacciandoli per suoi con un notevole successo, finché lei non decide di ribellarsi.
Un film a mio parere assolutamente riuscito, molto diverso dallo stile burtoniano ma che riesce a catturare comunque, grazie soprattutto alla particolaritá della storia e all'interpretazione dei due attori protagonisti, entrambi nominati al Golden Globe.
Quindi sì, se ne avete l'occasione andate assolutamente a vederlo, come minimo perché scoprirete un'arte diversa da quella che siamo abituati a vedere e ben poco conosciuta in Italia.
Promosso a pieni voti, bravo Tim!
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mattomarinaio
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lunedì 12 gennaio 2015
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sotto sotto c'è burton
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Ogni vero artista sviluppa un proprio stile grazie ad esperienze di vita ed emozioni soggettive che permettono di maturare una visione personalizzata di ciò che ci circonda. Tentare di fare qualcosa di diverso, significa allontanarsi dai nostri sentimenti e mentire a noi stessi.
Così come Margareth Ulbrich tenta di inventare un nuovo stile pittorico dopo essere stata costretta a mettere la sua arte a servizio delle mire lucrative del marito Walter Keane, Tim Burton decide di raccontare la sua storia in modo classico, quasi accademico, mantenendo le sue enormi capacità narrative ma abbandonando tutte le caratteristiche del suo cinema visionario che lo hanno reso unico.
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Ogni vero artista sviluppa un proprio stile grazie ad esperienze di vita ed emozioni soggettive che permettono di maturare una visione personalizzata di ciò che ci circonda. Tentare di fare qualcosa di diverso, significa allontanarsi dai nostri sentimenti e mentire a noi stessi.
Così come Margareth Ulbrich tenta di inventare un nuovo stile pittorico dopo essere stata costretta a mettere la sua arte a servizio delle mire lucrative del marito Walter Keane, Tim Burton decide di raccontare la sua storia in modo classico, quasi accademico, mantenendo le sue enormi capacità narrative ma abbandonando tutte le caratteristiche del suo cinema visionario che lo hanno reso unico. Il risultato appare un po’ freddo, impersonale, e decisamente “normale”, almeno per tutto il primo tempo, fino a quando il suo progetto comincia a sgretolarsi, esattamente come quello di Keane, fallendo in uno scivolone rivelatore che lo smaschera in modo definitivo.
Burton infatti si riconferma un grande direttore degli attori, rendendo bravissima la protagonista Amy Adams (pezzo di legno in “Man of Steel”) e magistrale il saltimbanco Christoph Waltz (fuoriclasse in “Bastardi senza gloria”), ma il personaggio di Walter Keane stona (volutamente) con il realismo degli altri protagonisti. Più passano i minuti, più la sua caratterizzazione diventa naif, fino alla divertentissima performance finale dove Burton dimentica i buoni propositi e cede ai suoi istinti, sviscerando un personaggio altamente grottesco in una situazione al limite del demenziale, in pieno stile burtoniano.
Big Eyes è una storia di menzogne che portano a frustrazioni e ulteriori menzogne. Un racconto sul significato della parola arte e sulle diverse capacità e sensibilità degli esseri umani. Un quadro dove sotto il primo strato possiamo trovare molto più Burton di quanto appare in superficie.
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