Un altro giro

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Alcol, Catarsi e Andropausa Valutazione 3 stelle su cinque

di Alessandro Spata


Feedback: 1173 | altri commenti e recensioni di Alessandro Spata
domenica 23 maggio 2021

 “A questo giro”, si potrebbe dire che il film di Vinterberg è semplicemente “bello e terribile” e potremmo finirla qui.
Tuttavia, potremmo aggiungere pure che tutto quello che poteva succedere è successo nella vita di questi quattro amici un po' curiosi e un po' depressi. Ed è successo perché potessero - apprendere la lezione per andare avanti nella vita -, forse. Non so se certi scampoli di filosofia orientale si attaglino al film in questione. Tuttavia, la morte per alto tasso alcolemico (un suicidio?) dell’amico Tommy (Thomas Bo Larsen) mi ricorda che in linea di principio  quando fai una scelta devi anche essere disposto a subirne le conseguenze. In sostanza, prendersi la responsabilità di quanto ci accade tendenzialmente è il modo migliore di ridurre la sofferenza derivante potenzialmente dall’esito delle nostre azioni e omissioni. Alla fine, lo accetto perché l’ho voluto io.
Devo ammettere che diversi scorci del film hanno sfidato la mia capacità di “comprensione” intesa qui come tolleranza, pazienza, apertura mentale. E questo perché a tratti il film sembra davvero un peana dedicato al culto del Dio Bacco.
Rabbia, compassione, ilarità si alternano puntualmente nella mente dello spettatore (la mia, almeno). E il film ti serve proprio tutto per maturare alla fine l’unica spiegazione possibile. Quella cui hai assistito è una parodia, una caricatura della società (non solo di quella danese) ipocrita in cui viviamo costantemente. Insomma, sarà pure sociologismo a buon mercato, ma fa tanto piacere sentirsi dire certe cose ogni tanto. Assistiamo, a volte divertiti, a volte sinceramente indispettiti, alla storia di quattro personaggi che più che delusi dalla vita sembrano preda di inesorabile "climaterio virile". Ma Mads Mikkelsen con l’andropausa proprio non lo vogliamo vedere (non ancora, almeno) È evidente con il  passare dei minuti che è il surreale, è il grottesco a prevalere nella narrazione. Perché chi davvero sano di mente e di corpo potrebbe mai pensare che l’alcol possa risolvere i problemi di autostima personale, le crisi coniugali, la sessualità della coppia, lo stress causato dai figli, la progressiva mancanza di entusiasmo sul lavoro e in famiglia, la crisi di mezza età, la malinconia dell'invecchiamento. E che sarà mai? Davvero si può pensare che l’alcol possa diventare un mezzo per recuperare l’ardore di una gioventù ormai evidentemente perduta? Potrebbe mai l’alcol permetterti di reagire all’apatia della routine quotidiana e farti recuperare l’importanza delle piccole cose  – come apprezzare i bacini con la tua amata al cospetto di un bel tramonto infuocato? -.
Ma davvero si può pensare che è meglio vivere un giorno da "alcolizzato" piuttosto che 100 da persona anonima e apatica? E 50 giorni da orsacchiotto no? Direbbe la buon anima di Troisi. Secondo me se un difetto ha il film è quello di indulgere a volte a una serie di luoghi comuni e di banalità esistenziali che  nemmeno il Woody Allen più scalcinato, persino, si sognerebbe di snocciolare. In questo senso non credo che sia un film  nemmeno “controcorrente”, ma per le elevate dosi di “surrealtà” ivi contenute si potrebbe definire del genere “moral splatterin quanto si serve di espedienti sinceramente orripilanti e raccapriccianti (come sottolineato più sopra) per fare strage di elementare buon senso e di basilare logica scientifica, ma al solo scopo di indurre una reazione nello spettatore, immagino.
Si dice poi da più parti che questo sia un film “catartico”. -  Ma in che senso? -. Io non credo che ambisca a tanto l’autore. Perché non credo che l’intenzione del regista fosse quella di aiutare a frenare o annullare l’insana passione per l’alcol nella vita quotidiana dello spettatore medio, garantendogli uno spazio apposito come la sala cinematografica o lo schermo del televisore al plasma di casa sua al limite dove sublimare le proprie passioni etiliche.
Guardare questo film non sarà come stappare una bottiglia, e senza conseguenze per il fegato. Dopo la visione del film e la "degustazione" del suo contenuto non comincerà alcun tipo di purificazione. Ma semmai più banalmente l’intento era quello di perorare attraverso i vissuti dei protagonisti il risveglio dello spirito vitale dell’individuo indebolito da una società castrante sotto molti aspetti, eventualmente. Forse il film sarà stato catartico per il regista medesimo che aveva bisogno di metabolizzare il lutto della figlia deceduta in un incidente o per i giurati dei vari festival che lo hanno abbondantemente premiato che avevano necessità di “esternare”qualche conflitto personale poco elaborato.
Quindi, non credo nemmeno che la visione del film indurrà storici astemi a svuotare gli scaffali degli alcolici dei supermercati, né convincerà gli accaniti bevitori a smettere di strafarsi di alcol. Questo è un film che non  mira a convincere qualcuno. Gli spettatori sbevazzatori e no che siano rimarranno fermi nelle proprie abitudini. Ovviamente, non si poteva nemmeno trattare la questione “Alcol” con la freddezza dell’entomologo. Anche se a tratti il film assume le sembianze di un “documentario” quando il regista si sforza di guardare alle vicende dei personaggi con adeguato distacco. Non “partecipa”, ma si limita a “descrivere” delle situazioni che non possono che accadere in quel modo. Quasi che non fosse necessaria neanche una sceneggiatura. Salvo poi in altre circostanze vedere l’irrinunciabile soggettività dell’autore maggiormente al servizio di una sua personale quanto discutibile per certi versi “visione sul tema”.

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