eugen
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sabato 15 aprile 2023
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get out is very good
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Ad onta di denifrazioni, anche"facili", Volendo, "Get Out"di Jordan Peele(autore totale, anche di soggetto e sceneggiatura,2017; all'epoca suo esordio registico, prima di"Us"e Nope", appare un film grottesco con precisi frferimenti culturali e sociali(quali la presunta totale accoglienza e il torale riconosciment degli afroamericani dopo la presidenza "doppia"di Obama, che peralrro per l'integrazione non aveva fatto moltissimo...), decisamebte ben realizzato(meglio del successivo"US", per inciso), dove il ruolo del fotografo afroamericnao invitato nella lussuosa casa dei gneitori dlela "novia"bainchissima con genirori ipercaucasici presunti"liberal", che itera l'inizio con il rapimento di un giovane afro da parte di un bianco, rappresenta in qualche modo l'inizio di una"horror comedy"con relativa trapiano cerebrale(parziale)e espianto-trapianto oculare .
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Ad onta di denifrazioni, anche"facili", Volendo, "Get Out"di Jordan Peele(autore totale, anche di soggetto e sceneggiatura,2017; all'epoca suo esordio registico, prima di"Us"e Nope", appare un film grottesco con precisi frferimenti culturali e sociali(quali la presunta totale accoglienza e il torale riconosciment degli afroamericani dopo la presidenza "doppia"di Obama, che peralrro per l'integrazione non aveva fatto moltissimo...), decisamebte ben realizzato(meglio del successivo"US", per inciso), dove il ruolo del fotografo afroamericnao invitato nella lussuosa casa dei gneitori dlela "novia"bainchissima con genirori ipercaucasici presunti"liberal", che itera l'inizio con il rapimento di un giovane afro da parte di un bianco, rappresenta in qualche modo l'inizio di una"horror comedy"con relativa trapiano cerebrale(parziale)e espianto-trapianto oculare . Decisamente il tentativo riesce, molto bnee, dovee l'elemento grottesco permane, ma nell'ultima parte la componente drammatica risulta giustamente piu'accentuata, coin un'ilntelligente relativizzazione della retorica appunto"liberal"e con lo scacco finale alla retorica di chi crede di essere"a'la page"con dichiarazioni "filo-afro"che ricordano piu'che altro "UNcle Tom'c Cabin"di Harriet Beecher,di meta' 1800... e non, invece, le lortte realmente anti.abolizioniste di Martin Luther King e Malcom X(certo, nella totale differenza..anzi opposzione dei metodi di lotta...) . Da anlizzare, in questa chiave, e¿il ruolo non tanto dei genitori della girlfriend(resa bene da Allison Williams ), che appare un'"utile idiota"perfetto strumento dei disegni familiari... IN un cast notevole, di ottimi(e inteprreti, , Daniel Kaluuya e'protagonista notevole, e Lil Real Howery, 'amico ."detective", lo "completa"in pieno. Eugen.
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alberto
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domenica 7 maggio 2017
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perfetto mix tra critica sociale e intrattenimento
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Un perfetto mix tra film impegnato e d'intrattenimento. Lo sceneggiatore e regista Jordan Peele realizza un ottimo thriller con qualche elemento orrorifico, offrendoci un incubo ad occhi aperti, una progressiva discesa nel baratro con colpi di scena e improvvisi cambi d'atmosfera. Lo spunto viene sicuramente da "Indovina chi viene a cena", il classico del 1967 di Stanley Kramer, dato che l'inizio vede il protagonista di colore domandarsi sulla reazione che avranno i genitori della sua ragazza bianca quando verrà presentato, mentre lei gli risponde che non sono razzisti.
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Un perfetto mix tra film impegnato e d'intrattenimento. Lo sceneggiatore e regista Jordan Peele realizza un ottimo thriller con qualche elemento orrorifico, offrendoci un incubo ad occhi aperti, una progressiva discesa nel baratro con colpi di scena e improvvisi cambi d'atmosfera. Lo spunto viene sicuramente da "Indovina chi viene a cena", il classico del 1967 di Stanley Kramer, dato che l'inizio vede il protagonista di colore domandarsi sulla reazione che avranno i genitori della sua ragazza bianca quando verrà presentato, mentre lei gli risponde che non sono razzisti. Infatti gran parte della prima metà del film è tranquilla, piena di dialoghi interessanti, se non fosse per gli strani atteggiamenti dei domestici neri, con occhi sbarrati e sorriso a denti stretti palesemente finto. I guai cominceranno quando la madre praticherà sul povero protagonista un particolare tipo di ipnosi attraverso il rumore del cucchiaino contro la tazzina allo scopo di farlo smettere di fumare, ma che in realtà nasconde un segreto ben più complicato e inquientante.Tanta roba grazie alle tenebrose e tese musiche di Michael Abels, la paura che trasmettono allo spettatore gli attori e la ben costruita sceneggiatura, che non è fine a sé stessa, ma vuole toccare il sempre attuale tema del razzismo attraverso un dato di fatto: non ha motivo di esistere, non c'è un motivo per cui gli spaventosi obiettivi che si palesano alla fine abbiano come oggetto i neri, che purtroppo devono fare i conti con i pregiudizi, ed è emblematica la scena della festa, con ospiti tutti bianchi, tranne uno, e quando Chris lo vede lo chiama fratello, come se si sentisse meno minacciato dalla sua presenza. La svolta orrorifica fa davvero venire i brividi, soprattutto perché è verosimile, rende il motivo dell'uomo malato, disposto a fare cose orribili pur di soddisfare i suoi egoismi. Tuttavia a mio parere Peele vuole anche ironizzare sulle eccessive preoccupazioni che hanno i neri, girando così la frittata e presentando loro dei pregiudizi nei confronti dei bianchi, che magari non si pongono assolutamente problemi del genere. C'è dunque un significato ambivalente nella scrittura del film, che offre una parabola sul pregiudizio nel vero senso del termine, portando all'eccesso entrambe le fazioni, con lo scopo appunto satirico. Il protagonista, Daniel Kaluuya, interpreta ancora una volta un uomo vittima ma allo stesso tempo in grado di difendersi, dopo quello che è a mio parere l'episodio più bello della serie "Black Mirror", "15 milioni di celebrità. Da segnalare poi il simpatico Lil Rel Howery, nei panni dell'amico, che ha già capito i pericoli dietro l'angolo, tentando disperatamente di avvertire Chris. La pellicola, accanto a temi musicali come quello della magistrale scena iniziale, che rimane impresso, scoppi di violenza, scene di tensione palpabile e i rumori della tazzina, presenta anche aspetti comici, grazie all'amico e ad alcuni dialoghi. C'erano grandi aspettative, e devo dire che sono state soddisfatte, grazie all'onnipresente e malsana atmosfera di mistero e la capacità di non annoiare, che hanno permesso anche molte candidature agli MTV movie awards. Nelle scuole dovrebbero far vedere film come questo.
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[+] “avrei votato obama per la terza volta…”
(di antoniomontefalcone)
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gianleo67
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lunedì 22 maggio 2017
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potere nero...all'uomo bianco
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Invitato dalla sua ragazza bianca a trascorrere un weekend nella villa dei suoi per fare la loro conoscenza, il giovane Chris si accorge ben presto che la situazione non quadra affatto: i due domestici di colore sembrano automi catatonici, i suoceri sono due medici col pallino dell'ipnosi ed il cognato è un bullo fascistoide fissato con le arti marziali. Il party organizzato per celebrare il capostipite della famiglia poi, richiama in casa facoltosi ospiti ariani che mostrano verso il suo giovane e aitante corpo nero un'ammirazione alquanto sospetta. La realtà però è ancora più sconvolgente e terribile di quanto possa immaginare. Giocare con i luoghi comuni della cultura razziale americana e dell'horror paranoico in una versione riveduta e corretta di 'Indovina chio viene a cena', non era cosa ne' semplice ne' scontata; tanto più se la scrittura intende provocatoriamente rispettare tutti i paradigmi del genere, configurandosi come una boutade divertita che trova nell'originalità della messa in scena e nell'intelligenza dei suoi cambi di registro la chiave per un soggetto che credevamo di conoscere a menadito.
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Invitato dalla sua ragazza bianca a trascorrere un weekend nella villa dei suoi per fare la loro conoscenza, il giovane Chris si accorge ben presto che la situazione non quadra affatto: i due domestici di colore sembrano automi catatonici, i suoceri sono due medici col pallino dell'ipnosi ed il cognato è un bullo fascistoide fissato con le arti marziali. Il party organizzato per celebrare il capostipite della famiglia poi, richiama in casa facoltosi ospiti ariani che mostrano verso il suo giovane e aitante corpo nero un'ammirazione alquanto sospetta. La realtà però è ancora più sconvolgente e terribile di quanto possa immaginare. Giocare con i luoghi comuni della cultura razziale americana e dell'horror paranoico in una versione riveduta e corretta di 'Indovina chio viene a cena', non era cosa ne' semplice ne' scontata; tanto più se la scrittura intende provocatoriamente rispettare tutti i paradigmi del genere, configurandosi come una boutade divertita che trova nell'originalità della messa in scena e nell'intelligenza dei suoi cambi di registro la chiave per un soggetto che credevamo di conoscere a menadito. Se l'esordio del giovane Yuzna nella feroce satira all'edonismo dell'upper class americana in Society rappresentò una fortunata declinazione dello splatter anni '80, i corsi e ricorsi storici del cinema occidentale ci conducono dritti dritti all'opera prima del coloured director Jordan Peele che utilizza i codici del thriller psicologico del Terzo Millennio (The Wicker Man,The Visit) quale accattivante espediente per una messa alla berlina tanto dello strisciante e irriducibile razzismo della società americana, quanto dei meccanismi stessi del genere, oscillando tra l'angosciante orrore di un protagonista finito nel cul de sac di una follia metempsicotica ed i grotteschi risvolti di una detection parallela compiuta dall'improbabile agente del TSA amico di quest'ultimo (demiurgico alter ego del regista e vera coscienza dello spettatore più sgamato), che azzarda per mera deformazione professionale una teoria criminologica tanto incredibile quanto esattamente corrispondente al vero. Insomma tra le risibili angosce post 11 Settembre e la legittima suspicione di una diffidenza razziale dai risvolti imprevedibili (neri con la tosa color latte che non si trovano a proprio agio con troppi bianchi in giro e bianchi di discendenza teutonica che ambiscono a diventare neri: perchè più forti, longevi e...la cui scomparsa è presto archiviata dalla polizia), il film ci precipita ben presto in un incubo paranoide che strizza l'occhio al Romero de La notte dei morti viventi (anche se l'immaginario è quello di I Walked with a Zombie di J.Tourneur) ed alla trance escatologica di Under the Skin, alternado il ritmato montaggio al suono della filastrocca anticrucca Run Rabbit Run (scritta dal Reggy Armitage da cui prendono ironicamente il nome i parenti della ragazza) ad una ossessione onirica di mesmerismi all'ora del tè; dai siparietti semiseri col grassone che non sbaglia un colpo ai genuini spauracchi di una teoria di clichè e simbolismi (i sensi di colpa per la madre morta e l'alce-trofeo lasciata morire, fino al flash di un talento fotografico in grado di smascherare l'impostura e rivelare la verità) capaci di precipitarci nell'incubo claustrofobico di un delirio di onnipotenza che non si arrende all'inesorabile sentenza del tempo che corrompe i corpi e condanna le anime (Martyrs). Momenti topici: la scena dei tre poliziotti che si fanno grasse risate col racconto del beone LilRel Howery e quella del rapper Lakeith Stanfield che urla "Get Out!!!" affiorando appena dal suo profondo letargo di finto liberto. Le nuove frontiere dello schiavismo: non ci basta averli tutti per noi, adesso vogliamo essere esattamente come loro! Azzeccate le caratterizzazioni: dagli occhi strabuzzati di uno sgomento Daniel Kaluuya (15 Million Merits - Black Mirror) all'ambiguità stregonesca della ipnotista Catherine Keener (Being John Malkovich, Synecdoche, New York). Giochi di prestigio al botteghino per la Blumhouse che spende 1 e guadagna 40 a programmazione ancora in corso.
"Avere la pelle bianca è stato un vantaggio negli ultimi due secoli. Ma ora è diverso. Il nero fa tendenza!"
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andreagiostra
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mercoledì 24 maggio 2017
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dopo obama?
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La prima cosa che mi son chiesto allo scorrere dei titoli di coda, è che genere di film fosse quello che avevo appena finito di vedere. Commedia, Thriller, Horror, Drammatico, Grottesco, Noir, Sentimentale, Sociale, d’Autore … la risposta che mi sono dato è stata semplice e magari ovvia: tutti e nessuno! Forse Jordan Peele, che ha curato la sceneggiatura e la regia della sua opera prima, ha inventato un nuovo genere cinematografico al quale bisognerebbe al più presto dare un nome, considerato il successo di critica internazionale prima, e di pubblico adesso. Mirabilmente prodotto da Jason Blum, con la sua casa di produzione hollywoodiana Blumhouse Productions, insieme alla QC Entertainment.
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La prima cosa che mi son chiesto allo scorrere dei titoli di coda, è che genere di film fosse quello che avevo appena finito di vedere. Commedia, Thriller, Horror, Drammatico, Grottesco, Noir, Sentimentale, Sociale, d’Autore … la risposta che mi sono dato è stata semplice e magari ovvia: tutti e nessuno! Forse Jordan Peele, che ha curato la sceneggiatura e la regia della sua opera prima, ha inventato un nuovo genere cinematografico al quale bisognerebbe al più presto dare un nome, considerato il successo di critica internazionale prima, e di pubblico adesso. Mirabilmente prodotto da Jason Blum, con la sua casa di produzione hollywoodiana Blumhouse Productions, insieme alla QC Entertainment. Un produttore quarantenne e lungimirante che ha avuto il coraggio tipico degli statunitensi, di investire su un altro giovane e talentuosissimo artista, il trentenne Jordan Peele.
“Get out” è un film per il quale scrivere una recensione che possa intrigare il lettore risulta difficilissimo, proprio perché bisogna evitare in tutti i modi spiacevoli spoiler … che nell’anticipare la narrazione, potrebbero al contempo distruggere la genialità e l’intelligenza della sceneggiatura, supportata da un’eccellente regia e da un cast di attori, tra i quali brilla indiscutibilmente il protagonista Daniel Kaluuya, straordinariamente efficace nel saper trasmettere allo spettatore quel pathos e quel tremolio emozionale che il film riesce a sprigionare con gli imprevedibili e sorprendenti accadimenti narrativi.
Ma detto ciò, qualcosa possiamo scriverla senza compromettere la buona visione al lettore.
Il titolo originale del film, “Get out”, è brillante ed in assoluta sintonia con i contenuti e, forse, con la morale del film … se una morale c’è stata nella mente di Jordan Peele che l’ha ideato, concepito, scritto e realizzato. La traduzione letterale del titolo ha diversi significati proprio perché la scelta è stata quella di non inserirlo in una frase compiuta, e potrebbe essere tradotto con: fuori, esci, vattene, scendi, togliti, levati, guarisci, introduciti, etc …. e solo nella forma intransitiva, scappa. Tutte queste accezioni probabilmente danno un elemento ermeneutico in più allo spettatore che vuole andare oltre le scene che si gusterà sul grande schermo. Ma non scriviamo altro in proposito.
I parallelismi che sono stati fatti da moltissimi critici cinematografici con successi del passato, sono assolutamente impropri, disarmanti e da mortificanti eruditi (nel senso di coloro che ripetono a pappagallo la conoscenza acquisita senza alcuna elaborazione intellettuale e culturale!). La sceneggiatura di “Get out” non ha proprio nulla da spartire con i vari: “Guess Who's Coming to Dinner” (1967) di Stanley Kramer; “Rosemary's Baby” (1968) di Roman Polanski; “The Wicker Man” (1973) di Robin Hardy; “12 Years a Slave” (2013) di Steve McQueen; “Loving” (2016) di Jeff Nichols; “Hidden Figures” (2017) di Theodore Melfi.
Qualcosa sulla storia forse possiamo scriverla: una giovane coppia multirazziale di universitari, decidono di passare un weekend nella magnifica villa dei genitori di lei, immersa in un magnifico bosco affollato di cerbiatti dell’America ricca e dopo Obama ancora velatamente razzista.
ANDREA GIOSTRA.
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no_data
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lunedì 29 maggio 2017
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la questione nera: un film dell'orrore
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Cosa direste ad un ragazzo di colore che viene accolto a pacche sulle spalle e chiamato “fratello” da un gruppo di bianchi maturi, agiati e benpensanti? Quello che pensa, Jordan Peele lo dice a chiare lettere “Get out!”. Scappa, a gambe levate.
Dopo una serie che minaccia di diventare infinita di film in cui alla discriminazione razziale si contrappone il faticoso riscatto dell’uomo nero attraverso la sofferenza (da “The help”, a “12 anni schiavo”, a “Il diritto di contare”), dopo film che si focalizzano sulla condizione della black people, estrapolandola dal resto del mondo (da ultimo l'Oscar 2017 “Moonlight”), finalmente un’opera che spariglia le carte e lancia un messaggio nuovo, allarmante e che rischia di essere terribilmente vero.
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Cosa direste ad un ragazzo di colore che viene accolto a pacche sulle spalle e chiamato “fratello” da un gruppo di bianchi maturi, agiati e benpensanti? Quello che pensa, Jordan Peele lo dice a chiare lettere “Get out!”. Scappa, a gambe levate.
Dopo una serie che minaccia di diventare infinita di film in cui alla discriminazione razziale si contrappone il faticoso riscatto dell’uomo nero attraverso la sofferenza (da “The help”, a “12 anni schiavo”, a “Il diritto di contare”), dopo film che si focalizzano sulla condizione della black people, estrapolandola dal resto del mondo (da ultimo l'Oscar 2017 “Moonlight”), finalmente un’opera che spariglia le carte e lancia un messaggio nuovo, allarmante e che rischia di essere terribilmente vero. Ci voleva un comico per buttare all’aria una serie di cliché divenuta, dopo il buonismo dell’era Obama, quasi insopportabile e che, ciò che è più grave, minaccia di trasformarsi in una prigione ancora più soffocante del razzismo.
Il regista parte, e forse non è un caso, dal film che 50 anni fu l’antesignano di ogni discorso sul tema razziale: “Indovina chi viene a cena”. C’è la ragazza dal volto pulito (Allison Williams), c’è il suo prestante boyfriend con la pelle nera nera (Daniel Kaluuya), c’è la presentazione ai genitori, professionisti benestanti (un neurochirurgo e una psichiatra, attenzione), isolati nella loro tenuta della Deep America.
Ma da qui Peele parte per la tangente e stravolge tutto. Dimenticate la burbera saggezza di Spencer Tracy e gli occhi gonfi di pianto di Katharine Hepburn. Non c’è dibattito tra idealismo e pragmatismo, non ci sono gli scontri generazionali, non c’è sentimento, né sentimentalismo. Questa è una storia dell’orrore.
Non per il genere prescelto per raccontarla, ma per il suo messaggio. Le guerre non si combattono più contrapponendosi, ma inglobando. E classificando. Tutti al loro posto ed ognuno con il suo ruolo, perché ognuno ha qualcosa da mettere a disposizione del potere. E se sei un nero cosa puoi offrire, agli occhi di un manipolo di vecchi conservatori chiusi nei loro beceri pregiudizi? La prestanza fisica, la potenza sessuale, il corpo, nulla più. Se ogni caratterizzazione implica differenza, quindi razzismo, qui siamo ad una ideologizzazione della razza degna di Mengele.
Come detto, Jordan Peele sceglie l’horror, e lo fa appropriatamente, ma il genere è uno strumento, non il fine. Lo tratta quindi in maniera volutamente convenzionale, riferendosi a precedenti riconoscibili (il regista ha dichiarato di essersi ispirato a “La notte dei morti viventi”) ed utilizzando espedienti tecnici standard per creare la suspense. Nel collazionare ed assemblare citazioni e nel trattare il genere con irriverente distacco si ravvede quasi uno spirito tarantiniano; lo si riconosce senz’altro nel convulso finale.
Quindi se andate a vedere “Scappa – Get out”, col solo proposito di saltare un po’ sulla poltrona, sentendo l’adrenalina schizzare, probabilmente rimarrete delusi: nulla di nuovo sotto il sole. La scelta di un genere narrativo così caratterizzante in questo senso costituisce un limite del lavoro di Peele: la ricerca del brivido, in particolare da parte degli appassionati, distoglie dal messaggio.
Ma se cercate altro, se cercate cinema, nella sceneggiatura ci sono tocchi di vera genialità: la metafora del cervo, che ricorre all’inizio, centralmente, nello straniante discorso del papà della sposa, e nel finale, sempre con una precisa simbologia; il ruolo dell’amico, appositamente tenuto estraneo alla vicenda, che, come una Cassandra, profetizza la lucida realtà dei fatti ad una mente, quella del protagonista, che pare ottenebrata da una misteriosa nebbia; i discorsi dei vecchi barbogi, che dipingono il quadro allucinante che si nasconde dietro il politically correct. E il finale, che lascia prefigurare le possibili, terribili conseguenze di questo stato di cose.
Non c’era bisogno di rinnovare l’horror e Jordan Peele non lo fa. C’era bisogno di dire qualcosa di diverso, spiazzante, orrorifico sul razzismo, c’era un allarme da lanciare alla gente nera e Jordan Peele questo lo urla: Scappa!!!
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tmpsvita
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lunedì 5 giugno 2017
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capolavoro mancato
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Non potevo che avere altissime aspettative verso questo horror, per vari motivi: sia per via delle numerossissime recensioni entusiaste (americane e non), sia per il risultato straordinario al box Office ottenuto grazie al passa parola più che positivo, sia per il trailer meraviglioso che mi aveva attirato presentandomi un horror degno di tale genere.
Ma questo "Get Out" è davvero il gran capolavoro di cui tutti hanno parlato e parleranno (forse all'Oscar)?
Beh mi duole dire di no. Con questo non voglio dire che sia un brutto film, anzi è anche piuttosto buono, soprattutto per quanto riguarda la regia molto precisa, chiara e incredibilmente funzionale e ciò mi ha davvero stupito (visto e considerato che si tratta di un regista esordiente).
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Non potevo che avere altissime aspettative verso questo horror, per vari motivi: sia per via delle numerossissime recensioni entusiaste (americane e non), sia per il risultato straordinario al box Office ottenuto grazie al passa parola più che positivo, sia per il trailer meraviglioso che mi aveva attirato presentandomi un horror degno di tale genere.
Ma questo "Get Out" è davvero il gran capolavoro di cui tutti hanno parlato e parleranno (forse all'Oscar)?
Beh mi duole dire di no. Con questo non voglio dire che sia un brutto film, anzi è anche piuttosto buono, soprattutto per quanto riguarda la regia molto precisa, chiara e incredibilmente funzionale e ciò mi ha davvero stupito (visto e considerato che si tratta di un regista esordiente).
Anche le interpretazioni, soprattutto quella del protagonista, sono molto credibili e naturali (nonostante di naturale non ci sia niente nel contesto), aiutate molto da una sceneggiatura piena di dialoghi pungenti e contestualizzati in modo più che adeguato.
Fantastici anche gli effetti sonori e il sonoro in generale.
Ed il tutto è stato incorniciato da una splendida colonna sonora che però cerca di rendere il film l'horror che non è, proprio per questo molte volte l'ho trovata in contrasto con le scene che stava accompagnando; anche la fotografia l'ho trovata un po' fuori luogo, soprattutto durante le scene di luce nelle quali (forse volutamente) tutto è troppo acceso e ciò non crea la giusta atmosfera horror che, invece, la colonna sonora cerca in tutto e per tutto di creare; infatti a parer mio qui ci troviamo di fronte ad un thriller psicologico più che ad un horror ansiogeno ( ovvero come faceva trasparire il trailer) e questo mi ha un pochino demoralizzato.
Nonostante ciò, che si nota fin da i primi minuti, per la prima ora il film è davvero geniale soprattutto per come riesce a trattare il a tema razziale su cui si basa veramente (troppo) tutto il film; questa prima ora mi aveva coinvolto moltissimo mi ero completamente immedesimato nei due protagonisti, facendomi quasi gridare al capolavoro.
Purtroppo, però, tutta questa originalità a tratti davvero geniale, verso la fine va scemando con delle scene e dei colpi di scena piuttosto banali nonchè anche con varie soluzioni un po' forzate (come quella della metà del cervello per intenderci) che, alla fine, fanno si che il film si trasformi , snaturalizzandolo, in qualcosa di molto più canonico e prevedibile
Infatti se al film si toglie tutto il discorso sul razzismo non rimane altro che un film che parla di persone senza scrupoli che sognano una specie di immortalità, questo è un tema già visto e che poteva essere affrontato meglio.
Peccato perché aveva tutte le potenzialità per diventare un grandissimo film.
VOTO: 7/10
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maramaldo
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martedì 6 giugno 2017
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tiger woods,
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anche lui citato in Get Out. M'è venuto in mente quando ho letto ch'era stato pizzicato ebbro alla guida. Tanto è valso per fare ricerche. Rampollo di una dinastia mulatta per parte di padre; la madre, un intreccio thai, cinese e olandese. Tempo fa, ricordate, il grande golfista fu coinvolto in tafferugli in cui le dette e le prese. Da chi? Moglie e suocera, manesche scandinave.
Non è passata inosservata, invece - anzi, ha scatenato una ridda di supposizioni - la menzione del nobel della pace, il vincitore morale del terzo e, probabilmente, di un quarto mandato presidenziale. Genitore, un promettente giovanotto keniota. Genitrice, di Wichita, Texas.
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anche lui citato in Get Out. M'è venuto in mente quando ho letto ch'era stato pizzicato ebbro alla guida. Tanto è valso per fare ricerche. Rampollo di una dinastia mulatta per parte di padre; la madre, un intreccio thai, cinese e olandese. Tempo fa, ricordate, il grande golfista fu coinvolto in tafferugli in cui le dette e le prese. Da chi? Moglie e suocera, manesche scandinave.
Non è passata inosservata, invece - anzi, ha scatenato una ridda di supposizioni - la menzione del nobel della pace, il vincitore morale del terzo e, probabilmente, di un quarto mandato presidenziale. Genitore, un promettente giovanotto keniota. Genitrice, di Wichita, Texas. Bianca come la madre dell'esordiente regista.
Jordan Peele, afroamericano nato e cresciuto a New York; sposato (in unorthodox way, ha fatto sapere) ad un'attrice/scrittrice di babbo italiano e mamma ebrea. In un'intervista ha dichiarato che ha scritto il soggetto del film prima ancora di conoscere la futura moglie. Perchè non credergli? Ciò conferma che l'opera prima reca echi lontani, fa trapelare pensieri rimuginati da tempo. Riproporre lo schema narrativo di Indovina Chi Viene a Cena può apparire una trovata (e per certi versi lo è) funzionale a creare un'atmosfera che, però, allo spettatore odierno appare distante quasi quanto quella di Via col Vento. Infatti, non dice tutto. E' all'inizio che bisogna sospettare il messaggio. Come un'ouverture prima del melodramma, indipendente dalla trama, ti fa sentire il tema dominante. La Paura. E' ciò che prova il ragazzotto nero che si aggira in the heat of the night nell'inquietante quiete di un quartiere perbene. Nulla di buono può arrivargli dall'addentrarsi in territorio di bianchi. Che altro gli si può gridare? Get out! Tientene fuori!
Fermarsi a questo warning sarebbe riduttivo. Vi è qualcos'altro di più profondo, di più sofferto. Non un omaggio ma, certo, un atto di amore verso la negritudine. E' messo in luce dall'interpretazione di Daniel Kaluuya, prossima black icona se non lo è già. Vi rimangono dentro i lucciconi in quegli occhi innocenti e spauriti di un figlio d'Africa primigenio e incontaminato. Attore padrone del personaggio, trasuda intelligenza e ironia ma anche rassegnazione e tristezza. Commuove quando, pur in pericolo, indugia e si china affranto sulla sciagurata Rose morente, sempre innamorato.
Comico per mestiere e vocazione, indole beffarda, nell'esercitarsi a demonizzare (schernire) i campagnoli retrivi dell'Alabama, Peele non indulge a moralismi e lo spettatore, che da decenni sa della faccenda, gliene è grato. Ha voluto confezionare una godibile simulazione di horror, a tinte pastello, dove si sente l'umorista e ogni tanto la tentazione di buttarla in parodia.
Badate, non si tratta di un film semplice. Contiene allusioni e simbolismi, casualmente anche attigui alla nostra attualità, non tutti decifrabili. Richiederebbe, come suol dirsi, una seconda lettura, più accurata.
Comunque, alla fine della favola, ad un Chris nostrano verrebbe da dire:" Asciuga quella lacrima, fratello. Non è così abietta la tua condizione. Nel mondo ci sono altre abominevoli schiavitù che di moderno hanno solo le dimensioni immani e le scarse speranze di riscatto. Sulla fattispecie trattata da Get Out non drammatizzerei. Non saresti d'accordo a collocare tra le iniquità da combattere il fatto di impiegare a scopo di gratificazione individui sani e vigorosi sia pur appartenenti a categorie in difficoltà: Esercizio antico, giovevole a tutti, in fondo non è altro che una pratica ludica: non a caso è in voga il termine boy toy. Son altri gli ingredienti che fanno ribollire il melting pot. Da noi, accenna appena a sobbollire. Grazie ad un appeasement operato da quelle anime belle tra le quali, è vero, si annidano quegli astuti vampiri voraci da cui Peele ti ha messo in guardia. Evitali se puoi e frequenta soltanto chi sente l'impulso di mostrare una certa apertura."
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bizantino73
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mercoledì 16 agosto 2017
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peccato che me lo sia perso prima
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Brillante, spregiudicato, politicamente scorretto,horror comico e un pizzico trash. E' indubbiamente il più bel film dell'annata 16/17 e a quelli che offende l'intelligenza non se la prendano perchè l'intelligenza non ce l'hanno.L'ho visto pochi giorni fa in un recupero estivo a Udine, e peccato che le retrospettive estive siano ormai rare.Ma quando il meglio che propone la normale programmazione è USS Indianapolis, Transformers e via elencando, si ha il diritto di essere perlomeno scettici sulle altre offerte. Questo film era da vedere e rivedere e salutare con calore l'arrivo di un nuovo regista di spessore e originalità.
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valterchiappa
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martedì 17 ottobre 2017
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l'ultimo volto del razzismo
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Cosa direste ad un ragazzo di colore che viene accolto a pacche sulle spalle e chiamato “fratello” da un gruppo di bianchi maturi, agiati e benpensanti? Quello che pensa, Jordan Peele glielo dice a chiare lettere “Get out!”.
Scappa, a gambe levate.
Dopo una serie che minaccia di diventare infinita di film in cui alla discriminazione razziale si contrappone il faticoso riscatto dell’uomo nero attraverso la sofferenza (da “The help”, a “12 anni schiavo”, a “Selma”, a “Il diritto di contare”), dopo film che si focalizzano sulla condizione della black people, estrapolandola dal resto del mondo (da ultimo il premio Oscar 2017 “Moonlight”), finalmente un’opera che spariglia le carte e lancia un messaggio nuovo, allarmante e che rischia di essere terribilmente vero.
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Cosa direste ad un ragazzo di colore che viene accolto a pacche sulle spalle e chiamato “fratello” da un gruppo di bianchi maturi, agiati e benpensanti? Quello che pensa, Jordan Peele glielo dice a chiare lettere “Get out!”.
Scappa, a gambe levate.
Dopo una serie che minaccia di diventare infinita di film in cui alla discriminazione razziale si contrappone il faticoso riscatto dell’uomo nero attraverso la sofferenza (da “The help”, a “12 anni schiavo”, a “Selma”, a “Il diritto di contare”), dopo film che si focalizzano sulla condizione della black people, estrapolandola dal resto del mondo (da ultimo il premio Oscar 2017 “Moonlight”), finalmente un’opera che spariglia le carte e lancia un messaggio nuovo, allarmante e che rischia di essere terribilmente vero. Ci voleva un comico per buttare all’aria una serie di cliché divenuta, dopo il buonismo dell’era Obama, quasi insopportabile e che, ciò che è più grave, minaccia di trasformarsi in una prigione ancora più soffocante del razzismo.
Il regista parte, e forse non è un caso, dal film che 50 anni fu l’antesignano di ogni discorso sul tema razziale: “Indovina chi viene a cena”. C’è la ragazza dal volto pulito (Allison Williams), c’è il suo prestante boyfriend con la pelle nera nera (Daniel Kaluuya), c’è la presentazione ai genitori, professionisti benestanti (un neurochirurgo e una psichiatra, attenzione), isolati nella loro tenuta della Deep America.
Ma da qui Peele parte per la tangente e stravolge tutto. Dimenticate la burbera saggezza di Spencer Tracy e gli occhi gonfi di pianto di Katharine Hepburn. Non c’è dibattito tra idealismo e pragmatismo, non ci sono gli scontri generazionali, non c’è sentimento, né sentimentalismo. Questa è una storia dell’orrore.
Non per il genere prescelto per raccontarla, ma per il suo messaggio. Le guerre non si combattono più contrapponendosi, ma inglobando. E classificando. Tutti al loro posto ed ognuno con il suo ruolo, perché ognuno ha qualcosa da mettere a disposizione del potere. E se sei un nero cosa puoi offrire, agli occhi di un manipolo di vecchi conservatori chiusi nei loro beceri pregiudizi? La prestanza fisica, la potenza sessuale, il corpo, nulla più. Se ogni caratterizzazione implica differenza, quindi razzismo, qui siamo ad una ideologizzazione della razza degna di Mengele.
Come detto, Jordan Peele sceglie l’horror, e lo fa appropriatamente, ma il genere è uno strumento, non il fine. Lo tratta quindi in maniera volutamente convenzionale, riferendosi a dei precedenti riconoscibili (il regista ha dichiarato di essersi ispirato a “La notte dei morti viventi”) ed utilizzando espedienti tecnici standard per creare la suspense. Nel collazionare ed assemblare citazioni e nel trattare il genere con irriverente distacco si ravvede quasi uno spirito tarantiniano; lo si riconosce senz’altro nel convulso finale (usiamo appositamente un aggettivo generico).
Quindi se andate a vedere “Scappa – Get out”, col solo proposito di saltare un po’ sulla poltrona, sentendo l’adrenalina schizzare, probabilmente rimarrete delusi: da questo punto di vista non c’è nulla di nuovo sotto il sole. La scelta di un genere narrativo così caratterizzante in questo senso costituisce un limite del lavoro di Peele: la ricerca del brivido, in particolare da parte degli appassionati, distoglie dal messaggio.
Ma se cercate altro, se cercate cinema, nella sceneggiatura ci sono tocchi di vera genialità: la metafora del cervo, che ricorre all’inizio, centralmente, nello straniante discorso del papà della sposa, e nel finale, sempre con una precisa simbologia; il ruolo dell’amico, appositamente tenuto estraneo alla vicenda, che, come una Cassandra, profetizza la lucida realtà dei fatti ad una mente, quella del protagonista, che pare ottenebrata da una misteriosa nebbia; i discorsi dei vecchi barbogi, che dipingono il quadro allucinante che si nasconde dietro il politically correct. E il finale, che lascia prefigurare le possibili, terribili conseguenze di questo stato di cose.
Non c’era bisogno di rinnovare l’horror e Jordan Peele non lo fa. C’era bisogno di dire qualcosa di diverso, spiazzante, orrorifico sul razzismo, c’era un allarme da lanciare alla gente nera e Jordan Peele questo lo urla: Scappa!!!
Voto: 7-
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fabiotramell
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lunedì 19 marzo 2018
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dal paradiso all'inferno
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E' una rarità vedere alle nomination degli Academy Awards una pellicola horror, e i meriti ci sono senzaltro per originalità. Il film è molto scorrevole perchè fa aumentare la suspance dello spettatore pian piano che i minuti avanzano, come ogni buon thriller che si rispetti.
Attenzione a quello che scrivo ora [SPOILER] Qui il protagonista assieme allo spettatore del film, conosce una nuova realtà, quella che dovrebbe essere la sua nuova famiglia. Lui è un fotografo di colore fidanzato con una bellissima ragazza bianca molto ricca di famiglia, dopo un po che la relazione va avanti, lei decide di presentarlo ai suoi genitori nella loro lussuosa tenuta. Durante il viaggio in macchina, lui chiede con non poco imbarazzo se lei aveva avvertito i suoi genitori che il fidanzato di sua figlia era un ragazzo di colore.
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E' una rarità vedere alle nomination degli Academy Awards una pellicola horror, e i meriti ci sono senzaltro per originalità. Il film è molto scorrevole perchè fa aumentare la suspance dello spettatore pian piano che i minuti avanzano, come ogni buon thriller che si rispetti.
Attenzione a quello che scrivo ora [SPOILER] Qui il protagonista assieme allo spettatore del film, conosce una nuova realtà, quella che dovrebbe essere la sua nuova famiglia. Lui è un fotografo di colore fidanzato con una bellissima ragazza bianca molto ricca di famiglia, dopo un po che la relazione va avanti, lei decide di presentarlo ai suoi genitori nella loro lussuosa tenuta. Durante il viaggio in macchina, lui chiede con non poco imbarazzo se lei aveva avvertito i suoi genitori che il fidanzato di sua figlia era un ragazzo di colore.. La sua fidanzata risponde tranquillamente di no, dicendo che i suoi genitori sono persone molto aperte e non avuto problemi anzi.. Arrivati alla tenuta, si presenta ai genitori della ragazza che lo accolgono con caloroso entusiasmo, tanto che lui oltre a esserne particolarmente felice mostra un lieve imbarazzo per l'esagerazione. Il padre gli mostra la casa e durante il giro, nota che la servitù è formata tutta da persone di colore che lo guardano con sguardo arcigno, cosa che gli aumenta il disagio. Quello che peggiora le cose in un momento abbastanza delicato, è l'arrivo del fratello della sua ragazza, che si rivela un tipo molto aggressivo e durante la cena dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, tenta di sfidarlo più volte con discorsi che si dice che la razza nera sia più forte di quella bianca, e ancora peggio viene a sapere che in quel weekend ci sarebbe stato un party famigliare con tutti i parenti della ragazza. Durante la notte e al party succederanno molte cose che trasformeranno quello che doveva essere un radioso fine settimana, ad un vero e proprio incubo, e la sua unica ancora di salvezza è legata al suo amico che da casa continua a consigliarli di andarsene (il ruolo del suo amico è importante perchè spacca il clima horror con della parti comiche restando sempre nel clima di tensione)comunque, l'unica azione di salvezza per il nostro amico fotografo è "GET OUT" e di corsa anche!
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