Mai come in questo caso mi è risultato molto difficile iniziare a scrivere. Compito piacevole derivato da autodeterminazione, certo, ma che può diventare delicato quando cerchi di non esser troppo duro per non ledere le varie sensibilità.
Amando il Cinema e la fantascienza ho seguito tutta la saga dei Transformers, partita col botto del primo straordinario capitolo, non solo per i fans dei giocattoli Hasbro. Grande colpo d’ occhio, musica pomposa e attori belli, vedi la Fox, e bravi, come il talentuoso La Beouf o il mitico Turturro nel ruolo del capo del settore 7G.
I primi due sequel hanno avuto pari risonanza in quanto da un lato fedeli alle aspettative, dall’ altro perché strategicamente dissimili, soprattutto quando (nel terzo episodio) si è riscritta in parte la Storia dello sbarco sulla Luna, oltre che per gli innesti di star affermate come Patrick Dempsey e per il pathos raggiunto in alcune sequenze mozzafiato.
Cosa restava da proporre ancora, dunque? Transformers: Age of Extinction (USA, 2014), quarto della serie, parte con la rivisitazione dell’ estinzione dei dinosauri avvenuta 65 milioni di anni fa non per la caduta del leggendario asteroide ma per mano dei ‘creatori’ dei robot alieni, con l’ ausilio di strane super bombe pietrificanti.
Nel presente, una ricercatrice scopre un fossile metallico di dinosauro, un inventore squattrinato del Texas (Wahlberg) compra un vecchio camion e una squadra fuori controllo della CIA, capeggiata dal fanatico Attinger, dà la caccia ai Decepticon in maniera legale, oltre che agli Autobot in modo illecito. Attinger guida il fidato killer Savoy, interpretato dal bravo Titus Welliver, e la sua squadra della morte in tutto il mondo per ‘riprenderci il nostro pianeta’, ma i reali intenti sono ben altri. Pochi minuti e capisci che il vero villain della puntata non è però il bravo caratterista Kelsey Grammer, ma un altro robot (un suo ‘asset’) che vaga da millenni per lo Spazio a bordo di un’ enorme astronave a caccia di taglie: Lockdown. Una volta che quest’ ultimo scopre il nascondiglio di Optimus Prime (il camion), parte l’ immancabile e ridondante zuppa di adrenalina di casa Bay a base di esplosioni, auto super lussuose sparate come proiettili, detriti che cascano da ogni dove e innocenti morti a palate. Dopo circa 45 minuti di film, dopo la settantesima detonazione e la trentesima pubblicità occulta, realizzi di non attendere altro che il film finisca in fretta. Il tempo allora si ferma e non ti resta che pensare ai fatti tuoi, tranne rari sussulti provocati dalle sequenze ambientate ad Hong Kong tra i casermoni popolari (molto meglio della già vista Chicago) o eccezion fatta per la presenza del sublime Stanley Tucci nella parte del miliardario Joshua, capo della KSI, corporation che sta ricreando i Transformers made in USA (poi made in Cina), con l’ utilizzo del ‘transformio’, minerale ricavato illecitamente proprio dalla fusione degli alieni fuggiaschi catturati da Attinger, Savoy e Lockdown. Tale azienda riuscirà nella riproduzione con relativo upgrade a partire da Galvatron, reincarnazione di Megatron.
Non sto a dirvi la conclusione, facilmente immaginabile, in un convulso e concitato finale nel quale fanno il loro esordio i Dinobot, alias dinosauri robotici chiamati ‘barbari’.
Eppur qualcosa si salva, perché chi vi scrive cerca il bello ovunque e allora non posso dimenticare le citazioni cinematografiche presenti nella prima parte della pellicola, che è anche la più guardabile, quando in un Cinema abbandonato con proiettori d’ epoca si intravede la locandina polverosa di un famoso western o nel sentir omaggiare Wim Wenders ed il suo ‘Paris, Texas’ durante la caccia al Prime che si nascondeva nella medesima cittadina. Piacevole e brillante l’ unico dialogo apprezzabile dell’ opera, quello che vede il baffuto assistente del presidente degli USA schernito e raggirato da Attinger e il suo vice con discorsi pseudo - patriottici. Tuttavia le cose da salvare finiscono qui e non posso esimermi dal criticare il casting, troppo orientato su facce inespressive, vedi la Peltz e Reynor, ma anche per la scelta ricaduta su Wahlberg, che avrà anche fatto cose buone in passato, ma non ha mai raggiunto livelli accettabili.
Insomma le 2 stelle sono per rispetto alla saga e per la grande mole di energia profusa dalla Industrial Light & Magic ma il troppo storpia e stavolta Michael Bay ha davvero sforato e non è stato neanche ben coadiuvato dal sonoro, spesso invasivo e, come detto, dai dialoghi di Ehren Kruger, francamente ridicoli.
Pazienza, sarà per la prossima, tanto per il quinto capitolo è solo questione di tempo.
Voto: 5 e mezzo.
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