Dopo i problemi di produzione che affliggevano questo 23° capitolo a cinquant'anni da "Licenza di uccidere", Skyfall vede finalmente la luce, la luce del suo rilascio nel circuito cinematografico, come la luce della resurrezione della saga. Sia ben chiaro che dandogli quattro stelle (anche se in pratica il mio voto sarebbe 3,5) non voglio fare il gioco della critica cinematografica, infatti gliele do, per motivi completamente contrari a quelli della nostra cara redattrice Marzia Gandolfi. Perchè vedete, la Gandolfi forse non si è accorta di guardare uno 007, forse pensava di guardare un buon Kurosawa, dove le parole valgono più dei fatti. Si parla tanto di cambiamenti, di nuovi orientamenti del personaggio, di una nuova caratterizzazione di James Bond, più malinconico e depresso di quanto sia mai stato. Però bisogna una buona volta mettere le cose in chiaro, io davanti a voi mi rivelo come appassionato della saga quale sono, e da appassionato ho visto tutti e 23 i film ufficiali più gli apocrifi (Casino Royale Climax, Casino Royale del '67, Mai dire mai) e lasciatemelo dire, questo Skyfall vuole essere proprio un vero e dichiarato ritorno alle origini, un ritorno al buon vecchio passato, infatti, dimenticata la sbandata alla Jason Bourne quale era "Quantum of solace", o anche il mediocre "La morte può attendere", 007 torna come era come se lo ricordano tutti. Infatti da subito si entra in un atmosfera Bondiana a 24K, in primis la canzone dei titoli di testa (di nuovo creati da Daniel Kleinman, attitvo nella saga dal 1995 eccetto in Quantum of solace) che ricorda palesemente la canzone dei titoli di testa di "007 Una cascata di diamanti" che si chiamava "Diamonds are forever", poi continuiamo con il tema musicale storico scritto da Monty Norman che finalmente possiamo riascoltare anche durante il film (negli ultimi capitoli lo si sentiva solo nei titoli di coda), poi passiamo al più bello, la reintegrazione tra i personaggi di Q, l'addetto alle approvigioni (tecnologia e gadget) qui interpretato da Ben Whishaw, oppure di Moneypenny, tutti personaggi che negli ultimi capitoli, che vanno di pari passo con l'introduzione di Daniel Craig come nuovo Bond, vennero a mancare, poi ovviamente la Aston Martin degli anni di Connery è un fiore all'occhiello ma che onestamente non fa la differenza. Generalmente del film se ne può parlare come di tanti altri film della saga, persino il cattivo, quà non tanto presente nel film (sopratutto come presenza effettiva) si attesta su personaggi che già abbiamo visto nel corso della saga, vista la somiglianza con lo 006 in cerca di vendetta di "Goldeneye", ma a cui ultimamente tendono ad affibiare obbiettivi meno catastrofici, rispetto ai vecchi cattivi. Poi ovviamente non bisogna scordare il nuovo arrivato in cabina di regia, Sam Mendes, ma che contrariamente a quello a cui si può pensare, no fa la differenza, mantenendo la messa in scena a livelli sempre dignitosi ma sicuramente a un livello di stile personale molto pacato, potrebbe essere stato diretto nuovamente da Martin Campbell, o di nuovo da Marc Forster che non farebbe differenza, i registi nella saga, hanno sempre avuto poca voce in capitolo, per quanto riguarda lo stile. Insomma, finalmente James Bond sta tornando sui suoi passi dopo l'ottimo Casino Royale e il capitolo di transizione Quantum of solace e finalmente, Daniel Craig ottiene la sua formale sequenza Gunbarrel (la sequenza in cui l'inquadratura è dal punto di vista di una canna di pistola) dopo quelle innovative e allo stesso tempo disprezzabili dei due capitoli precedenti. La Gandolfi dovrebbe imparare a non inventarsi i significati da due parole del film, infatti non basta dire che il personaggio risparte da zero con le emozioni solo perchè nel film sta sdraiato e abbracciato con una ragazza e contempla quel momento o perchè c'è un vecchio che racconta a M che Bond si rinchiuse in cantina per due giorni quando morirono i genitori. In questa saga è la pratica che conta non la teoria e la Gandolfi questo non lo ha imparato.
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