Sorrentino sembra riprendere in questo film il filo del discorso di The Three of Life, soprattutto nell'uso magistrale dei molteplici livelli linguistici del mezzo cinematografico, facendolo srotolare a Sean Penn che plana dal quel paradiso in questo purgatorio.
Una scatola accattivante piena di "cose" belle e inutili che fanno da contorno al vuoto interiore di chi ci vive dentro (broker, giovani rampanti, presunti Don Giovanni e commessi), ciascuno in attesa di Cheyenne che con la sua ingenua spontaneità li sveglia e li riporta alla realtà, nel bene e nel male.
Purtroppo sembra che nessuno riesca a svegliare lui, non la amatissima moglie, non la piccola amica che funge da figlia, non la morte del padre che comunque ha il merito di spingerlo fuori dal suo dorato isolamento.
Solo così, con il pretesto di rintracciare l'aguzzino del padre ebreo, riesce ad uscire dalla sua condizione di vecchio bambino e a riguadagnare un'identità che non sia più quella della rock star.
Perchè ci si dovrebbe interessare alla sorte di questo privilegiato, annoiato e depresso?
Perchè è la rappresentazione della nostra quotidianità, vite piene di cose inutili e vuote di contenuti, non ci fermiamo mai a capire cosa ci ha disturbato e perchè!
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