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mercoledì 26 gennaio 2005
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spassionatamente
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Modesto, modestissimo biopic in perfetto stile hollywoodiano. Se Jamie Foxx aderisce alla parte con sconcertante precisione, interpretando addirittura numerosi brani, la forte impronta da blockbuster rende il film simile ad un album di figurine con didascalie. Taylor Hackford sacrifica ogni sfumatura e ogni approfondimento alla leggibilità delle sequenze ed alla rapidità del fraseggio narrativo, dimenticandosi completamente la dimensione dello scavo e della passione. Nessuno spazio è dato all'urgenza espressiva, al travaglio creativo: la statura artistica di Ray Charles è ridotta a mera formula commerciale e il suo strabordante talento oscurato dalle percentuali dei contratti. La vicenda biografica del personaggio è disegnata con esasperante pedanteria, ma le grandi scelte di vita dell'uomo sono trattate con imperdonabile sbrigatività e leggerezza: la decisione di passare all'eroina è presentata come un assurdo capriccio e la conversione alla causa antirazzista come un inspiegabile voltafaccia.
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Modesto, modestissimo biopic in perfetto stile hollywoodiano. Se Jamie Foxx aderisce alla parte con sconcertante precisione, interpretando addirittura numerosi brani, la forte impronta da blockbuster rende il film simile ad un album di figurine con didascalie. Taylor Hackford sacrifica ogni sfumatura e ogni approfondimento alla leggibilità delle sequenze ed alla rapidità del fraseggio narrativo, dimenticandosi completamente la dimensione dello scavo e della passione. Nessuno spazio è dato all'urgenza espressiva, al travaglio creativo: la statura artistica di Ray Charles è ridotta a mera formula commerciale e il suo strabordante talento oscurato dalle percentuali dei contratti. La vicenda biografica del personaggio è disegnata con esasperante pedanteria, ma le grandi scelte di vita dell'uomo sono trattate con imperdonabile sbrigatività e leggerezza: la decisione di passare all'eroina è presentata come un assurdo capriccio e la conversione alla causa antirazzista come un inspiegabile voltafaccia. Il fumettone di Hackford non risparmia neppure l'introspezione(?, precipitando irrimediabilmente nello psicologismo e nella caricatura: le frequenti allucinazioni liquide di Ray sono puro comico involontario e i flashback "saturati" sui suoi traumi infantili gridano vendetta. Restano le stratosferiche esecuzioni musicali di Ray "The Genius" Charles, troppo spesso interrotte da dialoghi mostruosamente inopportuni, e l'ennesima prova d'attore di stupefacente mimetismo. Ma di arte cinematografica, ahimè, neanche una lontana eco.
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mercoledì 26 gennaio 2005
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spassionatamente
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Modesto, modestissimo biopic in perfetto stile hollywoodiano. Se Jamie Foxx aderisce alla parte con sconcertante precisione, interpretando addirittura numerosi brani, la forte impronta da blockbuster rende il film simile ad un album di figurine con didascalie. Taylor Hackford sacrifica ogni sfumatura e ogni approfondimento alla leggibilità delle sequenze ed alla rapidità del fraseggio narrativo, dimenticandosi completamente la dimensione dello scavo e della passione. Nessuno spazio è dato all'urgenza espressiva, al travaglio creativo: la statura artistica di Ray Charles è ridotta a mera formula commerciale e il suo strabordante talento oscurato dalle percentuali dei contratti. La vicenda biografica del personaggio è disegnata con esasperante pedanteria, ma le grandi scelte di vita dell'uomo sono trattate con imperdonabile sbrigatività e leggerezza: la decisione di passare all'eroina è presentata come un assurdo capriccio e la conversione alla causa antirazzista come un inspiegabile voltafaccia.
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Modesto, modestissimo biopic in perfetto stile hollywoodiano. Se Jamie Foxx aderisce alla parte con sconcertante precisione, interpretando addirittura numerosi brani, la forte impronta da blockbuster rende il film simile ad un album di figurine con didascalie. Taylor Hackford sacrifica ogni sfumatura e ogni approfondimento alla leggibilità delle sequenze ed alla rapidità del fraseggio narrativo, dimenticandosi completamente la dimensione dello scavo e della passione. Nessuno spazio è dato all'urgenza espressiva, al travaglio creativo: la statura artistica di Ray Charles è ridotta a mera formula commerciale e il suo strabordante talento oscurato dalle percentuali dei contratti. La vicenda biografica del personaggio è disegnata con esasperante pedanteria, ma le grandi scelte di vita dell'uomo sono trattate con imperdonabile sbrigatività e leggerezza: la decisione di passare all'eroina è presentata come un assurdo capriccio e la conversione alla causa antirazzista come un inspiegabile voltafaccia. Il fumettone di Hackford non risparmia neppure l'introspezione(?) del personaggio, precipitando irrimediabilmente nello psicologismo e nella caricatura: le frequenti allucinazioni liquide di Ray sono puro comico involontario e i flashback "saturati" sui suoi traumi infantili gridano vendetta. Restano le stratosferiche esecuzioni musicali di Ray "The Genius" Charles, troppo spesso interrotte da dialoghi mostruosamente inopportuni, e l'ennesima prova d'attore di stupefacente mimetismo, ma di arte cinematografica, ahimè, neanche una lontana eco.
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andrea magagnato
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domenica 23 gennaio 2005
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ottimo jamie foxx, mediocre il film
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Questo 2005 cinematografico sembra essersi aperto all’insegna delle biografie.
Tra il flop americano di Alexander, sbarcato in Europa in cerca di ricatto, e due dei più attesi film di quest’anno, The Aviator e Neverlan, si inserisce la leggenda di Ray Charles.
Portare la vita e la musica del celebre pianista cieco sul grande schermo è forse il lavoro più facile tra i quattro titoli citati potendo contare e puntare su un protagonista eccezionale e su una vita che ben si presta ad essere “messa in scena” e drammatizzata dall’occhio della cinepresa.
Si tratta di raccontare le imprese e i disagi di un non vedente nero della Florida che con le proprie forze, passioni, talenti e debolezze diventa una leggenda della musica.
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Questo 2005 cinematografico sembra essersi aperto all’insegna delle biografie.
Tra il flop americano di Alexander, sbarcato in Europa in cerca di ricatto, e due dei più attesi film di quest’anno, The Aviator e Neverlan, si inserisce la leggenda di Ray Charles.
Portare la vita e la musica del celebre pianista cieco sul grande schermo è forse il lavoro più facile tra i quattro titoli citati potendo contare e puntare su un protagonista eccezionale e su una vita che ben si presta ad essere “messa in scena” e drammatizzata dall’occhio della cinepresa.
Si tratta di raccontare le imprese e i disagi di un non vedente nero della Florida che con le proprie forze, passioni, talenti e debolezze diventa una leggenda della musica.
Manna dal cielo per un regista medio americano come Taylor Hackford!
Lo capiamo fin dalla prima sequenza che il film non intende prendere una strada diversa da quella della retorica e dello stereotipo piuttosto scialbo.
Ne abbiamo la conferma quando ci troviamo di fronte le “visioni” di Ray , figlie di un passato fatto di sensi di colpa che ci viene prontamente rivelato a suon di flashback…ne siamo disgustati in un finale sciocco e frettoloso.
Vita e musica della “sensazione cieca” (così verrà definito Ray Charles) non hanno tuttavia lo stesso risultato finale.
Se la prima abbiamo detto essere raccontata con totale mancanza di originalità, condita da stucchevoli parentesi, percorsa da dialoghi banalotti e da una facile morale la seconda è resa invece più che dignitosamente.
Il ritmo di Ray Charles pervade intere sequenze che si snodano tra jazz, blues, gospel, country, rock’n’roll. Ritmi che s’intrecciano, si fondono, si scambiano i colori e fungono da “collante” per il montaggio, soprattutto nella parte centrale.
La musica del talento, almeno quella, mantiene tutta la sua bellezza e non manca di essere supportata nel mezzo audiovisivo da una buona fotografia.
Che dire sul sorprendente Jamie Foxx? L’ex tassista di Collateral si trova davanti il ruolo della carriera e non sbaglia un colpo. Davvero impressionante il suo lavoro in quanto a caratterizzazione del personaggio tanto che ne siamo convinti: è Ray Charles.
Golden Globes già ritirato e Oscar telefonato.
Tirando le conclusioni la forza del film risiede nella combinazione tra la presenza scenica di Jamie Foxx e la musica di Ray Charles, tanto che chi cerca cinema rimarrà deluso, chi si accontenta di ritrovare la persona e i ritmi che ama, troverà nella finzione una certa soddisfazione.
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luvelio jusa
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mercoledì 19 gennaio 2005
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l'uomo che sfidò la vita per amare la musica
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Il regista Tylor Hackford (Ufficiale e Gentiluomo; L’Avvocato del Diavolo; L’Ultima Eclissi) ha interpretato Ray Charles Robinson, la sua storia, facendone un film che indaga non già nella musica, invero poco bisognosa di ulteriore pubblicità, ma nell’uomo. Ray è prima di tutto la storia di un uomo che faceva l’amore col piano e la guerra con la vita. Un giovane nero senza un futuro, senza padre, nato poverissimo nella Georgia degli anni ’30, gli anni della Depressione che unico pregio ebbe di far da “livella” per gli uomini; come davanti alla morte bianchi e negri erano finalmente, tragicamente, uguali. Per poco.
L’economia mondiale si riprendeva ma ad Albany, dove venne alla luce col destino di lì a sette anni di non vederla mai più, le leggi restavano fortemente discriminanti; ma il razzismo per nulla blando del suo Stato, sembrava nemmeno sfiorarlo.
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Il regista Tylor Hackford (Ufficiale e Gentiluomo; L’Avvocato del Diavolo; L’Ultima Eclissi) ha interpretato Ray Charles Robinson, la sua storia, facendone un film che indaga non già nella musica, invero poco bisognosa di ulteriore pubblicità, ma nell’uomo. Ray è prima di tutto la storia di un uomo che faceva l’amore col piano e la guerra con la vita. Un giovane nero senza un futuro, senza padre, nato poverissimo nella Georgia degli anni ’30, gli anni della Depressione che unico pregio ebbe di far da “livella” per gli uomini; come davanti alla morte bianchi e negri erano finalmente, tragicamente, uguali. Per poco.
L’economia mondiale si riprendeva ma ad Albany, dove venne alla luce col destino di lì a sette anni di non vederla mai più, le leggi restavano fortemente discriminanti; ma il razzismo per nulla blando del suo Stato, sembrava nemmeno sfiorarlo. Il giovane Ray poteva prendere posto sul bus della scuola disponendosi nel lato per i diversi di pelle senza che ciò suscitasse rancori grazie al suo modo di leggere la vita diversamente. Così lo criticarono d’insensibilità alla causa dei diritti dei neri d’America ma dovettero porgere immense scuse quando Ray Charles diventò il primo artista a rifiutare esibizioni in club riservati soltanto ai neri; e quando la lotta ai ghetti dello spettacolo maturò i suoi frutti, la Georgia anni dopo averlo esiliato, dichiarò l’ormai classico “Georgia on My Mind” canzone ufficiale di stato.
Le sequenze giustappongono con equilibrio le performance spettacolari del cantante alle azioni altamente simboliche di un uomo che “è stato molto di più che un musicista del passato” afferma Hackford. “È stato protagonista di una rivoluzione culturale che in America non ha ancora esaurito i suoi effetti.”
Jamie Foxx si è esercitato a lungo nel ruolo difficile di Charles, camminando ore intere con gli occhi bendati, imparando le smorfie di quel sorriso inconfondibile che chiudeva ogni brano e apriva tumulti di mani plaudenti tra pubblici impazziti. La nomination c’è, e l’Oscar non è affatto remoto per questo giovane attore venuto alla ribalta con “Ogni maledetta domenica” di Oliver Stone e capace d’essere protagonista in tutti i sensi nel “Collateral” di Michael Mann, al fianco di un antagonista Tom Cruise.
Merito di Hackford è certamente non essere scivolato in una facile e imperdonabile caricatura; di aver saputo rendere con l’ausilio di flash back da horror movie i fantasmi della mente geniale ma prigioniera del buio e dei ricordi della terribile disgrazia toccata al fratellino di Ray. Di aver felicemente reso il valore della madre Aretha Robinson (Sharon Warren all’esordio sul grande schermo), personaggio chiave nella realtà come nel film della vita di Charles. È impossibile trattenere le lacrime di fronte Aretha che abbandona il pietismo e la commiserazione perché consapevole che questi più del buio, spegnerebbero in Ray la voglia di vivere; intralcerebbero per sempre la capacità d’imparare a viverla autonomamente. Ray che a 17 anni attraversa solo il Paese per presentarsi al mondo non lo avrebbe mai fatto senza l’amore coraggioso di Aretha e del quale Hackford non si dimentica mai. Quindi la trama s’infittisce di Amore, di amori, di Soul - di cui fu l’inventore -, di belle donne, e poi di eroina, carcere, diffamazione, disperazione. Di quella musica che tutti sappiamo e che sarà sempre la sua redenzione; del blues, del jazz, R&B, spiritual e rock and roll che per osmosi ipostatica diventano il genere unico e superlativo di Ray Charles. Censurato per aver sposato i canti gospel alla musica del diavolo come si diceva allora del blues e della musica afro americana in genere, Charles puntava ai cuori dei suoi ascoltatori rompendo i soliti target, diventando un severo imprenditore di se stesso e producendo musica d’autore al tempo stesso sofisticata e commerciale.
Come “Hit the Road Jack” insegna. Per dirne una.
Riccardo Corsetto
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