great steven
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lunedì 25 luglio 2016
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un padre e un figlio che riscoprono l'amore.
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LE CHIAVI DI CASA (IT/FR/GERM, 2004) diretto da GIANNI AMELIO. Interpretato da KIM ROSSI STUART, ANDREA ROSSI, CHARLOTTE RAMPLING, ALLA FAEROVICH, PIERFRANCESCO FAVINO, MANUEL KATZY, MICHAEL WEISS, THORSTEN SCHWARZ
Gianni è un uomo ancora giovane che vive con la moglie che gli dà dato da poco un bambino, ma aveva già avuto un altro figlio, di nome Paolo e nato con un grave handicap psicomotorio, che ha sempre rifiutato di vedere. Quando però lo zio del ragazzino, Alberto, cognato acquisito di Gianni, lo contatta per obbligarlo ad instaurare un rapporto, Gianni non se la sente di tirarsi indietro. Sale dunque, insieme al figlio minorato, su un treno diretto in Germania, dove Paolo riceverà le cure necessarie per migliorare le sue capacità locomotorie.
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LE CHIAVI DI CASA (IT/FR/GERM, 2004) diretto da GIANNI AMELIO. Interpretato da KIM ROSSI STUART, ANDREA ROSSI, CHARLOTTE RAMPLING, ALLA FAEROVICH, PIERFRANCESCO FAVINO, MANUEL KATZY, MICHAEL WEISS, THORSTEN SCHWARZ
Gianni è un uomo ancora giovane che vive con la moglie che gli dà dato da poco un bambino, ma aveva già avuto un altro figlio, di nome Paolo e nato con un grave handicap psicomotorio, che ha sempre rifiutato di vedere. Quando però lo zio del ragazzino, Alberto, cognato acquisito di Gianni, lo contatta per obbligarlo ad instaurare un rapporto, Gianni non se la sente di tirarsi indietro. Sale dunque, insieme al figlio minorato, su un treno diretto in Germania, dove Paolo riceverà le cure necessarie per migliorare le sue capacità locomotorie. Nel paese tedesco, l’uomo fa la conoscenza di Nicole, una donna inglese poliglotta che vive una situazione analoga alla sua, avendo anch’ella una figlia diversamente abile. Le vicissitudini porteranno Gianni a sfidare le proprie convinzioni, ad ampliare il proprio bagaglio emotivo, a mettere in discussione i pilastri su cui aveva fondato i suoi pensieri, fino a trasformare l’ineliminabile ritrosia iniziale in un amore viscerale ed estremamente sincero per una creatura umana cui solo all’apparenza sembra che non le importi nulla di suo padre. Quando poi padre e figlio lasceranno clandestinamente e felicemente l’ospedale tedesco per recarsi in Norvegia, dove pare abitare una giovane molto carina che Paolo ha visto solo ritratta su una cartolina, l’amore paterno-filiale troverà la sua definitiva e completa maturazione. Non è un film che sfrutta la banalità del suo argomento, e già questo rappresenta un fondamentale punto a suo favore, perché il rischio di scivolare nella retorica è sempre presente e pressante, quando il tema in questione è, per sua natura, delicato e di difficile trattazione. Il merito va in particolar modo ad Amelio, che ha saputo fondare le basi della sua commovente e straziante storia a partire dal desiderio di porre domande senza fornire risposte: non a caso, i frequenti sbandamenti emotivi di Paolo non ricevono alcuna spiegazione, quando Gianni gliene richiede, e per di più è voluta la scelta di non far confessare all’introverso genitore il motivo per cui nasconde la sua paternità quando conosce Nicole (una C. Rampling, oltre che bravissima a non farsi doppiare, anche splendidamente inusuale in un ruolo da cui traspaiono contemporaneamente un’apertura sentimentale deliziosa e una chiusura introspettiva interessante). K. Rossi Stuart ci mette un impegno assolutamente lodevole nel tracciare il ritratto di un italiano medio, contrito dalle sofferenze famigliari, il cui dolore si acuisce ancora di più quando la conoscenza del figlio fino a quel momento rigettato gli fa scoprire un mondo a cui non era abituato e al quale si abitua solo col tempo e la fatica di dover rimettere insieme i tasselli di un mosaico terribilmente amaro, singhiozzante e faticoso da ricostruire. Proprio per sottolineare la crescita interiore dei due protagonisti, entrambi toccati nel profondo dalla vita ma ancora, a proprio modo, volenterosi di combattere e sperare, la sceneggiatura lascia aperti vari silenzi che cadono tutti al momento opportuno e concentra le parole quel tanto che basta per lasciare allo spettatore il compito di riempire quei vuoti che in realtà non hanno alcunché di vuoto: semmai, la loro pienezza risiede proprio negli sguardi, nei toni di voce, nei movimenti anche minimi, nelle parole della vita quotidiana, nei desideri rimasti inappagati. Ottimo modo di raffigurare i paesaggi tetri, ombrosi e tranquilli della Germania tramite gli interni dei luoghi di cura: la plasticità della scenografia risalta all’occhio anche per la sua semplicità quasi stilizzata, e soprattutto per la rigorosa indifferenza ai problemi umani che mostra durante lo svolgimento degli eventi: l’ospedale, come anche la palestra, gli scompartimenti del treno e le panchine fuori nelle piazze, osservano il percorso di maturazione interiore dei due personaggi principali come spettatori incolori, incapaci di dare una spinta o creare un ostacolo, intenti solamente ad ospitare avvenimenti senza curarsi di come sono fatti, di come erano e di come diverranno. Il che accentua la drammaticità intimistica del film, confezionando in ultimo un prodotto appetibile ad una larga fetta di pubblico dal momento che l’acqua della vita gliela danno due attori dalla tensione drammatica infallibile (compreso il piccolo A. Rossi, una rivelazione insospettata), coadiuvati da contributi tecnici impeccabili (fra cui spicca la fotografia di Luca Bigazzi, meravigliosa nella sua luce ferma e offuscata) e da una colonna sonora che ricama, come un dito bagnato sulla pelle, l’evoluzione dei sentimenti e delle sensazioni interiori senza perdere di vista l’importanza del viaggio come mezzo di formazione, il quale costituisce pure lui un frammento di questa co-produzione italo-franco-tedesca che non va assolutamente perso e che va senz’altro analizzato nella sua disarmante veridicità. Le musiche comprendono anche un bellissimo brano del 1998 di Vasco Rossi: Quanti anni hai? In ogni caso, il regista si conferma un esaminatore attento e fin troppo metodico e scrupoloso nell’analisi delle debolezze umane, e nel dirlo mi riferisco sicuramente a problemi atavici ben più subdoli e pericolosi delle disabilità fisiche. Se Paolo non fosse come è, Gianni riuscirebbe ad amarlo con la stessa intensità e col medesimo fervore?
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iuriv
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sabato 9 agosto 2014
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realismo poco realistico
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Un padre incontra il figlio spastico solo quando questi ha quindici anni e lo porta in una clinica specializzata di Berlino che promette miracoli. Tra i due dovrà nascere un sentimento.
Amelio sceglie una storia piuttosto toccante e decide di spogliarla di tutto, presentando un film quadrato e dalla regia trasparente. La visone è caratterizzata, infatti, da una fotografia fredda, da inquadrature quasi mai fuori dai canoni e da una certa linearità di messa in scena.
Tale scelta è probabilmente giustificabile dall'intenzione del regista di mettere in campo tutta la crudezza della disabilità, non sottoponendola a filtri estetici che rischierebbero di renderla evanescente.
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Un padre incontra il figlio spastico solo quando questi ha quindici anni e lo porta in una clinica specializzata di Berlino che promette miracoli. Tra i due dovrà nascere un sentimento.
Amelio sceglie una storia piuttosto toccante e decide di spogliarla di tutto, presentando un film quadrato e dalla regia trasparente. La visone è caratterizzata, infatti, da una fotografia fredda, da inquadrature quasi mai fuori dai canoni e da una certa linearità di messa in scena.
Tale scelta è probabilmente giustificabile dall'intenzione del regista di mettere in campo tutta la crudezza della disabilità, non sottoponendola a filtri estetici che rischierebbero di renderla evanescente. Lo scopo del film non sembra infatti quelo di raccontare il mondo del giovane spastico, ma piuttosto quello di mettere in mostra il tentativo di papà Stuart nel relazionarsi con il ragazzo.
In questo gioco a togliere, Amelio evita anche digressioni, lasciando che siano i personaggi a raccontare antefatti e trame secondarie, non mostrando mai nulla e ottenendo un effetto didascalico.
Queste decisioni non sono sbagliate in quanto tali, ma devono fare i conti con quella che ne è la conseguenza più naturale: la mancanza di intrattenimento. Il film soffre di ritmi blandi e lunghe sequenze insistite, che sono utili a raccontare la storia, ma che coinvolgono forse troppo poco l'umanità dall'altra parte dello schermo. O almeno quella strandard che non è ipersensibile e non è disposta a commuoversi a ogni parola del giovane sfortunato.
Va detto che una parte importante in questo gioco la recita Stuart: l'ex Kimono D'Oro non è malaccio in generale, ma i gesti d'affetto verso il ragazzo, in cui se lo accarezza e se lo stropiccia, appaiono fin troppo caricati e in qualche situazione mi hanno messo addirittura a disagio.
Perchè nel gioco della crudezza, manca qualcosa in questo film. Quasi che ci si fosse preoccupati di non offendere nessuno, si nota (o almeno io l'ho notata) l'assenza di quel cinismo che è parte integrante della società e che emerge anche nel confronto con i disabili. Scegliendo di metterla giù così diretta, questa scelta leva quel realismo che (forse) il regista voleva donare alla pellicola e che si nota soprattutto nelle scene girate all'interno dell'ospedale.
C'è da dire che comunque il suo risultato lo porta a casa. Alla fine la storia fa breccia e riesce a conquistarsi la commozione di chi la guarda.
E vorrei anche vedere: un bambino malato e praticamente orfano.... potevano anche picchiarlo già che c'erano.
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gianluca78
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martedì 5 aprile 2011
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emozionante atto d'amore
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Un rapporto difficile tra padre e figlio,a volte critico ma intenso ed emozionante, che rende il film un atto d'amore di Gianni Amelio verso la vita e dona all'amore più puro il suo senso vero autentico.Ottima interpretazione di Kim Rossi Stuart e e di Charlotte Rampling.
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antonio l.
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domenica 5 luglio 2009
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film tedioso e senile
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Film brutto,tedioso e senile di Gianni Amelio.Strascicato nelle sequenze e nei dialoghi,tutti sussurrati e poco comprensibili.Un protagonista antipatico,un viaggio senza senso,un messaggio che non c'è.Fastidioso questo ragazzino che parla solo romanesco,di calcio e pretende e basta.Scartato all'Orso d'oro? La Germania ne esce di un grigiore unico,la terapista è gelida,la mamma della ragazzina conosciuta in ospedale,ha pensieri ambigui.Poco credibile Rossi Stuart come padre.Tutto sollecitudini e poi lascia il figlio da solo all'evento sportivo.Ma il nocciolo del film arriva quando proprio il padre si dimostra contrario all'affermazione della terapista e che invece è di una condivisibilità unica e cioè che “molto spesso il vero problema di certi bambini non è la malattia ma i genitori” : a voi l'Amelio pensiero.
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Film brutto,tedioso e senile di Gianni Amelio.Strascicato nelle sequenze e nei dialoghi,tutti sussurrati e poco comprensibili.Un protagonista antipatico,un viaggio senza senso,un messaggio che non c'è.Fastidioso questo ragazzino che parla solo romanesco,di calcio e pretende e basta.Scartato all'Orso d'oro? La Germania ne esce di un grigiore unico,la terapista è gelida,la mamma della ragazzina conosciuta in ospedale,ha pensieri ambigui.Poco credibile Rossi Stuart come padre.Tutto sollecitudini e poi lascia il figlio da solo all'evento sportivo.Ma il nocciolo del film arriva quando proprio il padre si dimostra contrario all'affermazione della terapista e che invece è di una condivisibilità unica e cioè che “molto spesso il vero problema di certi bambini non è la malattia ma i genitori” : a voi l'Amelio pensiero. Operazione pietà 0 - occasione sprecata per parlare di disabilità - 10.
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stefano84
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martedì 27 gennaio 2009
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quello che si dice un film socialmente impegnato
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Il film "le chiavi di casa" dà l'impressione ad un primo sguardo di essere il classico film strappalacrime che tange luoghi comuni come quello della soffrenza dei disabili e di chi,ancor piu', ha il compito di doversi dedicare alla loro cura.Ma il film necessita di una dovuta riflessione per comprendere come esso possa essere interpretato come un realistico documentario incentrato sulla condizione in cui si trovano coloro che devono affrontare una situazione difficile come quella narrata nel film.Rimanendo nell'ambito della critica del film si puo' dire che questo narra bene negli strettissimi tempi cinematografici (che per Gianni Amelio sembrano essere sempre molto stretti a vedere anhe la durata dei suoi precedenti film)la vicenda di Paolo e Gianni.
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Il film "le chiavi di casa" dà l'impressione ad un primo sguardo di essere il classico film strappalacrime che tange luoghi comuni come quello della soffrenza dei disabili e di chi,ancor piu', ha il compito di doversi dedicare alla loro cura.Ma il film necessita di una dovuta riflessione per comprendere come esso possa essere interpretato come un realistico documentario incentrato sulla condizione in cui si trovano coloro che devono affrontare una situazione difficile come quella narrata nel film.Rimanendo nell'ambito della critica del film si puo' dire che questo narra bene negli strettissimi tempi cinematografici (che per Gianni Amelio sembrano essere sempre molto stretti a vedere anhe la durata dei suoi precedenti film)la vicenda di Paolo e Gianni.Mai troppo esasperata è l'introspezione dei personaggi, che mostrano le insicurezze che ad una attenta analisi possono definirsi in maniera cruda "normali" di fronte a situzaioni del genere.Gianni Amelio è riuscito anche a far capire a noi gente comune come è strano il mondo dei ragazzi come Paolo sempre al confine tra la lucidità e il buio della ragione (attraverso le parole della Rampling che cerca di spiegare a Gianni-Kim rossi..che l'unico perchè razionale al fatto che Paolo sia scappato è la malattia che lo affligge)che forse è anche la cosa che piu' spaventa e che è piu' difficile da accettare(ci fa capire quanto sia doloroso accettare cio' che non si riesce a comprendere).Infine si puo' dire un buon film che cerca di aprire una breccia in un mondo dove,spesso, gli emarginati non sono solo i disabili ma anche coloro che gli stanno al fianco.
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paride86
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domenica 28 dicembre 2008
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lucidamente commovente
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"Le chiavi di casa" sta a metà tra un film e un documentario per il sociale, muovendosi su binari non sempre credibili. Non sono plausibili, per esempio, il prologo e le motivazioni che spingono Gianni, dopo tanti anni, ad intraprendere un viaggio così difficile con il figlio, oppure l'affetto improvviso che matura per il ragazzo. Eppure la storia è toccante ed emotivamente coinvolgente e il film ha il pregio di non scadere nel drammone lacrimoso, ma anzi, rimane lucido e a volte anche amaro (lo sfogo della Rampling, per esempio). Buone le prove degli attori, sempre credibili.
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marvelman
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sabato 11 ottobre 2008
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bellissimo film !!!
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Altro che rain man : Questo è superiore !!!
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giusy
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venerdì 19 settembre 2008
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amore senza censure
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un film sull'importanza dell'essere genitori e sull'amore incondizionato
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maliccia
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sabato 30 agosto 2008
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emozionante fino all'irritazione
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Chi conosce i fil di Amelio si aspetta sempre qualcosa di profondo e talvolta disturbante. Il suo cinema non é mai scontato o banale. Le chiavi di casa é fatto bene con un interprete vero e non un attore truccato o atteggiato, molto bravo Adrea. La Rampling mi é piaciuto molto, come sempre, Rossi Stuar si conferma un grande interprete del nostro cinema e Favino lascia il segno. Molte scene mi hanno commosso e molte mi hanno irritata..ma il cinema a mio avvisso deve produrre emozioni e i film di Amelio questo fanno.
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s@r@ "95"
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giovedì 28 febbraio 2008
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un film che mi ha fatto riflettere
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Ho visto questo film a scuola perchè era la parte finale di un concorso, e inizialmente non pensavo fosse interessante e avrei preferito chiacchierare con le mie amiche, ma poi è scattato qualcosa dentro di me che mi ha reso molto partecipe alla storia. é stato un film molto utile per capire la vita e tutto ciò che ci riserva. Forse un pò troppo "asciutte" le parti recitate ma per il resto un buon film. Complimenti
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