Un padre incontra il figlio spastico solo quando questi ha quindici anni e lo porta in una clinica specializzata di Berlino che promette miracoli. Tra i due dovrà nascere un sentimento.
Amelio sceglie una storia piuttosto toccante e decide di spogliarla di tutto, presentando un film quadrato e dalla regia trasparente. La visone è caratterizzata, infatti, da una fotografia fredda, da inquadrature quasi mai fuori dai canoni e da una certa linearità di messa in scena.
Tale scelta è probabilmente giustificabile dall'intenzione del regista di mettere in campo tutta la crudezza della disabilità, non sottoponendola a filtri estetici che rischierebbero di renderla evanescente. Lo scopo del film non sembra infatti quelo di raccontare il mondo del giovane spastico, ma piuttosto quello di mettere in mostra il tentativo di papà Stuart nel relazionarsi con il ragazzo.
In questo gioco a togliere, Amelio evita anche digressioni, lasciando che siano i personaggi a raccontare antefatti e trame secondarie, non mostrando mai nulla e ottenendo un effetto didascalico.
Queste decisioni non sono sbagliate in quanto tali, ma devono fare i conti con quella che ne è la conseguenza più naturale: la mancanza di intrattenimento. Il film soffre di ritmi blandi e lunghe sequenze insistite, che sono utili a raccontare la storia, ma che coinvolgono forse troppo poco l'umanità dall'altra parte dello schermo. O almeno quella strandard che non è ipersensibile e non è disposta a commuoversi a ogni parola del giovane sfortunato.
Va detto che una parte importante in questo gioco la recita Stuart: l'ex Kimono D'Oro non è malaccio in generale, ma i gesti d'affetto verso il ragazzo, in cui se lo accarezza e se lo stropiccia, appaiono fin troppo caricati e in qualche situazione mi hanno messo addirittura a disagio.
Perchè nel gioco della crudezza, manca qualcosa in questo film. Quasi che ci si fosse preoccupati di non offendere nessuno, si nota (o almeno io l'ho notata) l'assenza di quel cinismo che è parte integrante della società e che emerge anche nel confronto con i disabili. Scegliendo di metterla giù così diretta, questa scelta leva quel realismo che (forse) il regista voleva donare alla pellicola e che si nota soprattutto nelle scene girate all'interno dell'ospedale.
C'è da dire che comunque il suo risultato lo porta a casa. Alla fine la storia fa breccia e riesce a conquistarsi la commozione di chi la guarda.
E vorrei anche vedere: un bambino malato e praticamente orfano.... potevano anche picchiarlo già che c'erano.
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