Le chiavi di casa

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Un film di Gianni Amelio. Con Kim Rossi Stuart, Charlotte Rampling, Alla Faerovich, Pierfrancesco Favino, Manuel Katzy, Michael Weiss (II), Ingrid Appenroth, Dimitri Süsin, Thorsten Schwarz, Eric Neumann, Dirk Zippa, Barbara Koster-Chari, Anita Bardeleben, Ralf Schlesener, Andrea Rossi Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 105 min. - Italia, Francia, Germania 2004. - 01 Distribution uscita venerdì 10 settembre 2004. MYMONETRO Le chiavi di casa * * 1/2 - - valutazione media: 2,69 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un padre e un figlio che riscoprono l'amore. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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lunedì 25 luglio 2016

LE CHIAVI DI CASA (IT/FR/GERM, 2004) diretto da GIANNI AMELIO. Interpretato da KIM ROSSI STUART, ANDREA ROSSI, CHARLOTTE RAMPLING, ALLA FAEROVICH, PIERFRANCESCO FAVINO, MANUEL KATZY, MICHAEL WEISS, THORSTEN SCHWARZ
Gianni è un uomo ancora giovane che vive con la moglie che gli dà dato da poco un bambino, ma aveva già avuto un altro figlio, di nome Paolo e nato con un grave handicap psicomotorio, che ha sempre rifiutato di vedere. Quando però lo zio del ragazzino, Alberto, cognato acquisito di Gianni, lo contatta per obbligarlo ad instaurare un rapporto, Gianni non se la sente di tirarsi indietro. Sale dunque, insieme al figlio minorato, su un treno diretto in Germania, dove Paolo riceverà le cure necessarie per migliorare le sue capacità locomotorie. Nel paese tedesco, l’uomo fa la conoscenza di Nicole, una donna inglese poliglotta che vive una situazione analoga alla sua, avendo anch’ella una figlia diversamente abile. Le vicissitudini porteranno Gianni a sfidare le proprie convinzioni, ad ampliare il proprio bagaglio emotivo, a mettere in discussione i pilastri su cui aveva fondato i suoi pensieri, fino a trasformare l’ineliminabile ritrosia iniziale in un amore viscerale ed estremamente sincero per una creatura umana cui solo all’apparenza sembra che non le importi nulla di suo padre. Quando poi padre e figlio lasceranno clandestinamente e felicemente l’ospedale tedesco per recarsi in Norvegia, dove pare abitare una giovane molto carina che Paolo ha visto solo ritratta su una cartolina, l’amore paterno-filiale troverà la sua definitiva e completa maturazione. Non è un film che sfrutta la banalità del suo argomento, e già questo rappresenta un fondamentale punto a suo favore, perché il rischio di scivolare nella retorica è sempre presente e pressante, quando il tema in questione è, per sua natura, delicato e di difficile trattazione. Il merito va in particolar modo ad Amelio, che ha saputo fondare le basi della sua commovente e straziante storia a partire dal desiderio di porre domande senza fornire risposte: non a caso, i frequenti sbandamenti emotivi di Paolo non ricevono alcuna spiegazione, quando Gianni gliene richiede, e per di più è voluta la scelta di non far confessare all’introverso genitore il motivo per cui nasconde la sua paternità quando conosce Nicole (una C. Rampling, oltre che bravissima a non farsi doppiare, anche splendidamente inusuale in un ruolo da cui traspaiono contemporaneamente un’apertura sentimentale deliziosa e una chiusura introspettiva interessante). K. Rossi Stuart ci mette un impegno assolutamente lodevole nel tracciare il ritratto di un italiano medio, contrito dalle sofferenze famigliari, il cui dolore si acuisce ancora di più quando la conoscenza del figlio fino a quel momento rigettato gli fa scoprire un mondo a cui non era abituato e al quale si abitua solo col tempo e la fatica di dover rimettere insieme i tasselli di un mosaico terribilmente amaro, singhiozzante e faticoso da ricostruire. Proprio per sottolineare la crescita interiore dei due protagonisti, entrambi toccati nel profondo dalla vita ma ancora, a proprio modo, volenterosi di combattere e sperare, la sceneggiatura lascia aperti vari silenzi che cadono tutti al momento opportuno e concentra le parole quel tanto che basta per lasciare allo spettatore il compito di riempire quei vuoti che in realtà non hanno alcunché di vuoto: semmai, la loro pienezza risiede proprio negli sguardi, nei toni di voce, nei movimenti anche minimi, nelle parole della vita quotidiana, nei desideri rimasti inappagati. Ottimo modo di raffigurare i paesaggi tetri, ombrosi e tranquilli della Germania tramite gli interni dei luoghi di cura: la plasticità della scenografia risalta all’occhio anche per la sua semplicità quasi stilizzata, e soprattutto per la rigorosa indifferenza ai problemi umani che mostra durante lo svolgimento degli eventi: l’ospedale, come anche la palestra, gli scompartimenti del treno e le panchine fuori nelle piazze, osservano il percorso di maturazione interiore dei due personaggi principali come spettatori incolori, incapaci di dare una spinta o creare un ostacolo, intenti solamente ad ospitare avvenimenti senza curarsi di come sono fatti, di come erano e di come diverranno. Il che accentua la drammaticità intimistica del film, confezionando in ultimo un prodotto appetibile ad una larga fetta di pubblico dal momento che l’acqua della vita gliela danno due attori dalla tensione drammatica infallibile (compreso il piccolo A. Rossi, una rivelazione insospettata), coadiuvati da contributi tecnici impeccabili (fra cui spicca la fotografia di Luca Bigazzi, meravigliosa nella sua luce ferma e offuscata) e da una colonna sonora che ricama, come un dito bagnato sulla pelle, l’evoluzione dei sentimenti e delle sensazioni interiori senza perdere di vista l’importanza del viaggio come mezzo di formazione, il quale costituisce pure lui un frammento di questa co-produzione italo-franco-tedesca che non va assolutamente perso e che va senz’altro analizzato nella sua disarmante veridicità. Le musiche comprendono anche un bellissimo brano del 1998 di Vasco Rossi: Quanti anni hai? In ogni caso, il regista si conferma un esaminatore attento e fin troppo metodico e scrupoloso nell’analisi delle debolezze umane, e nel dirlo mi riferisco sicuramente a problemi atavici ben più subdoli e pericolosi delle disabilità fisiche. Se Paolo non fosse come è, Gianni riuscirebbe ad amarlo con la stessa intensità e col medesimo fervore?

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