“ … hai detto diatriba legale ? guarda, sono stato chiaro: non assumo laureati !”
“ ma guardi che è stato un errore di gioventù del quale sono assolutamente consapevole”
colloquio di lavoro tra uno sfasciacarrozze e un ricercatore in antropologia disoccupato
In un mondo capovolto due giovani latinisti con pubblicazioni internazionali lavorerebbero come benzinai in un distributore gestito da un cingalese. Un riconosciuto chimico computazionale farebbe il lavapiatti in un ristorante cinese. Solo in un Paese grottesco e surreale un valente archeologo, da sempre precario, potrebbe finire ad asfaltare strade, o un macroeconomista, geniaccio ai tempi dell’università, non troverebbe uno straccio d’impiego decente finendo col passare le giornate giocando a poker con gli zingari.
Chiaramente tutto questo potrebbe succedere solo in un film o in un Paese capovolto … o forse no?
Tra le tante commedie uscite in questi anni sulla crisi economica e sul mondo del precariato la migliore in assoluto è sicuramente Smetto quando voglio, folgorante esordio del trentaduenne salernitano Sydney Sibilia. Già dai titoli di apertura si preannuncia come una storia esilarante, uno spaccato urticante e ferocemente ironico su quello che è diventato il nostro Paese. Al ricercatore precario in neurobiologia Pietro Zinni (il bravissimo Edoardo Leo), frustrato dalle difficoltà economiche e dalle umiliazioni del mondo accademico, dove baronato e raccomandazioni hanno cancellato ogni residuo di meritocrazia, viene in mente un’idea folle: creare una nuova droga sintetica purissima, quindi non ancora considera illegale, e mettersi a spacciarla nelle discoteche. Ma da solo non può farcela, ci vuole una vera e propria “banda”. Per questo riunisce sei vecchi compagni di studio, tutti valenti e brillanti laureati, ognuno una ex-promessa nella propria facoltà, tutti relegati dalle circostanze della vita a lavori manuali sottopagati o alla disoccupazione. Naturalmente i sette improvvisati spacciatori ne combineranno di tutti i colori. Risate scoppiettanti sono assicurate da un’esplosione di trovate geniali e situazioni adrenaliniche: goffe rapine alle farmacie con archibugi ottocenteschi, minacce e sequestri da parte dei veri malavitosi, stravaganti matrimoni “riparatori” nei campi nomadi dei sinti.
Smetto quando voglio è probabilmente la vera sorpresa di questa stagione. Il giovane cineasta Sydney Sibilia, al suo esordio e da autodidatta, ha realizzato un film praticamente “perfetto”, sotto molti punti di vista
davvero straordinario. Prima di tutto per la sceneggiatura, curata dal regista assieme a Valerio Attanasio e Andrea Garello. La scrittura del film è magnifica, ironica e corrosiva senza mai essere banale né volgare. Il film ha un ritmo incalzante, senza pause, con inquadrature autoriali e trovate registiche sorprendenti.
La fotografia di Vladan Radovic e la colonna sonora di Andrea Farri sono anch’esse “stupefacenti”. Colori marcati e vivaci con cromatismi fluorescenti e riprese in notturna altrettanto fumettistiche si sposano perfettamente con una colonna sonora fresca e vivace, a tratti martellante.
Ma la punta di diamante di Smetto quando voglio è l’interpretazione corale della “banda”. I sette attori protagonisti, tutti volti poco conosciuti, sono un corpo unico, affiatati ed equamente ben caratterizzati. Per la bravura dimostrata da tutti è difficile sceglierne qualcuno, per motivi di spazio cito Edoardo Leo (il neurobiologo capobanda), Valerio Aprea e Lorenzo Lavia (i benzinai latinisti che litigano insultandosi con imprecazioni dotte in latino). Due ruoli secondari ma ben inseriti nell’equilibro della storia sono quelli della fidanzata di Pietro (la sempre brava Valeria Solarino) e del temibile narcotrafficante Er Murena (un inedito Neri Marcorè).
Molti critici hanno paragonato l’esordio del regista salernitano a capolavori della commedia italiana come I soliti ignoti o La banda degli onesti, accostandolo addirittura ai maestri Monicelli, Germi e Risi. Le potenzialità ci sono tutte. Certamente dopo questo clamoroso successo Sydney Sibilia non avrà nessuna voglia di smetterla con i film, avendo dimostrato che con il talento e le idee giuste si può fare un cinema autoriale, innovativo e di successo anche senza i soliti attori campioni d’incassi e senza inseguire i modelli decotti della commedia commerciale e la melassa della comicità televisiva.
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