Spiace, ma non ci siamo proprio. Non bastano le buone intenzioni per fare un buon film, anche se sei uno dei registi più bravi del mondo.
Due ore e quaranta minuti per veicolare un messaggio che si può riassumere in: "fino a che punto vale la pena di difendere e diffondere la propria fede religiosa?" Perché stringi stringi è questo il succo del film.
Ma non sarebbe niente, se ci fosse alla base una storia un po' più corposa, variegata, dei personaggi costruiti meglio, almeno minimamente approfonditi, dialoghi e riflessioni leggermente più elevate di quattro nozioni del catechismo o del bignami teologico che ci viene propinato nel finale sul buddismo, uno straccio di descrizione dei rapporti sociali nel Giappone di allora, un accenno di analisi sulle fasce di popolazione che aderivano al cristianesimo.
Niente di tutto ciò in quasi tre ore di film. Dobbiamo invece ciucciarci per quasi tutto il tempo l'estenuante dilemma iniziale, i dubbi sulla fede del nostro eroe protagonista, intervallato, da una parte dalle torture e uccisioni di poveri giapponesi, per i quali fatichiamo a nutrire il minimo sindacale di empatia (non essendoci alcun approfondimento per nessuno di questi personaggi, più o meno allo stesso livello degli indiani nei western o dei vietcong), e dall'altra dal continuo ritorno del piccolo giuda alla ricerca dell'assoluzione, comportamento reiterato fino allo sfinimento, tanto da svilire la tragicità vera del personaggio e ridurlo a ridicola macchietta.
L'apparizione finale di Neeson, di cui per quasi due ore ci si era scordati che fosse presente nel cast del film, e la cui ricerca aveva dato inizio alla storia, non serve a risollevare le sorti di un'opera troppo debole e inutilmente lunga, impreziosita solo da qualche bella immagine naturale (suggestive soprattutto le scene con la nebbia), senza però particolari tocchi di regia come eravamo abituati ad apprezzare in altri film del regista.
Poco convincente anche la scelta dell'attore protagonista, che non riesce a coinvolgere a livello drammatico quanto servirebbe, ma probabilmente non è solo colpa sua. È tutto il film che non riesce mai a decollare, a coinvolgere emotivamente, nè sul piano religioso e spirituale.
Un'ultima considerazione che esula dal contesto del film: sono perfettamente cosciente che quanto ho scritto non sarà comprensibilmente condiviso da chi ha apprezzato questa pellicola. Ho letto quasi tutti gli altri commenti e recensioni presenti e posso capire le motivazioni che hanno portato a critiche positive, che rispetto anche se non condivido. Ma una cosa in particolare, che ho letto in parecchi commenti, mi ha lasciato perplesso: il riferimento alla spiritualità e alla ricerca del divino che sarebbe presente anche in tutti gli altri film di scorsese. Beh, questa mi sembra veramente una grossa boutade!
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maurizio d'anna
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martedì 17 gennaio 2017
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il silenzio suggerisce, non le parole...
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Mi dispiace, na temo sia sfuggito qualcosa di più profondo del "val la pena difendere la propria fede". Credo che dentro quel finale falsamente scontato ci sia tutto l'universo filosofico di Scorsese e della sua poetica. Sta a noi cercare di coglierlo nei silenzi tra le parole che non spiegano ma distraggono.
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martedì 17 gennaio 2017
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Quello che lei descrive è il contesto in cui è calato il film e concordo pienamente che come trama non sia un gran che, ma questo è usato solo come contorno, come pretesto per raccontare uno stato della natura umana, una stato d''animo di chi crede in Dio: il Silenzio. Il tema principale, a parer mio, è il silenzio di Dio nel momento del bisogno. Quando tutto è dolore Dio risponde con il silenzio e, per la prima volta tra i film che ho visto sull''argomento, non è la storia di un santo, ma di uomini deboli che si interrogano su un silenzio così assordante. Il contorno parla del Giappone, ma poteva benissimo essere una guerra, della morte di un parente caro, di una qualsiasi ingiustizia. Scorsese, a parer mio, vuole parlare di come si sente l''uomo "normale", non il santo, quando in momenti difficili ottiene come risposta solo il Silenzio.
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fabry08
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domenica 22 gennaio 2017
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condivido pienamente!!!!
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Ottimo commento condivido pienamente tutto.
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sabato 28 gennaio 2017
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Il commento di Jack Beauregarde merita di essere discusso, perché coglie acutamente alcuni nodi centrali del film, ma la valutazione che egli dà dovrebbe essere cambiata di segno: a mio parere, ciò che egli considera difetti sono i principali pregi del film. Il succo del film può anche essere considerato – come lui dice – “fino a che punto vale la pena di difendere e diffondere la propria fede religiosa?”. Ma questo è un tema gigantesco, che vale bene un film di quasi tre ore! A condizione, ovviamente, di considerare la diffusione di una fede che vuole essere universale un problema interessante. Jack dice poi che il film è superficiale: manca di approfondimento sui personaggi, sui contenuti religiosi cristiani e buddisti, sui rapporti sociali nel Giappone feudale, sulla condizione dei giapponesi divenuti cristiani.
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Il commento di Jack Beauregarde merita di essere discusso, perché coglie acutamente alcuni nodi centrali del film, ma la valutazione che egli dà dovrebbe essere cambiata di segno: a mio parere, ciò che egli considera difetti sono i principali pregi del film. Il succo del film può anche essere considerato – come lui dice – “fino a che punto vale la pena di difendere e diffondere la propria fede religiosa?”. Ma questo è un tema gigantesco, che vale bene un film di quasi tre ore! A condizione, ovviamente, di considerare la diffusione di una fede che vuole essere universale un problema interessante. Jack dice poi che il film è superficiale: manca di approfondimento sui personaggi, sui contenuti religiosi cristiani e buddisti, sui rapporti sociali nel Giappone feudale, sulla condizione dei giapponesi divenuti cristiani. A me pare, invece, che il film conduca la storia e i personaggi da una iniziale situazione nebulosa a una chiarezza sempre maggiore, sotto tutti gli aspetti richiesti. Per lo spettatore che non si stanca troppo presto, la narrazione mette esattamente nella prospettiva del padre Rodriguez, che entra in un mondo sconosciuto - sia quello dei kristan che quello dei loro nemici – e lentamente e con fatica impara a conoscerlo. C’è poi del vero quando Beauregarde dice che il piccolo Giuda è una ridicola macchietta, ma dispiace che non si accorga che proprio questo personaggio è l’invenzione artisticamente più alta del film. Il ridicolo Kichijiro, con il suo avvilente ripetitivo ritorno al tradimento e alla richiesta di perdono, è lo specchio comico in cui si rflette la vicenda tragica dei “preti perduti”. Rodriguez continua (con disgusto, ma lo fa) ad assolvere lo spregevole Kichijiro, e solo per questo, quando anche lui tradisce la fede, potrà continuare a tenere addosso la croce di legno donatagli dal martire. La comparsa finale del padre Ferreira (Neeson), attesa per tutto il film (anche se Jack Beauregarde dice che ormai se ne era scordato), è decisiva per tutto il senso del racconto, e non poteva che arrivare a quel punto. E’ qui che si pone nel modo più chiaro e drammatico il paradosso che regge tutta la storia: la fede in un Uomo-Dio che predica ed esige l’amore può lasciare morire degli innocenti? Ma cosa resta di questa fede e di questo amore se, in nome dell’amore, si ripudia la fede e la si demolisce nel cuore di chi era disposto a morire per la fede? Resta infine da dire che la pellicola di Scorsese, raccontando una vicenda antica, parla di questioni del nostro tempo: la relatività dei diversi punti di vista culturali e la possibilità di una predicazione universale; il ribaltamento delle responsabilità, per cui il carnefice accusa la vittima di essere colpevole della morte di altri perseguitati; l’asimmetria tra chi vede la religione dal punto di vista della ragion di Stato e chi vede gli Stati dal punto di vista della fede. Ce n’è abbastanza per parlare di un grande film, con la sola perplessità sulla ostentazione esagerata di efferatezze, non necessaria in quella quantità.
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