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Un film molto bello che sta a metà strada tra il dramma (reale) e il tono umoristico, a tratti sarcastico. Non è sempre facile mantenere questo equilibrio, spesso si rischia facilmente di scadere nella farsa, ma qui per fortuna non accade. Si ride anche spesso, ma sono risate un po' amare, che attenuano (pur senza edulcorarla) una realtà sempre più tragica che si consuma ai confini di questa Europa, divisa, disunita da troppe differenze politiche, economiche e sociali. Bruxelles è troppo lontana da questa piccola, grigia e misera comunità bulgara, vicina al mare e alla Turchia, da cui travasa a stento un'umanità martoriata da guerre, carestie e disagi di ogni tipo.
Il film mette in fila, uno dopo l'altro, tutto il repertorio tipico del villaggio di frontiera, ormai semi deserto (l'unica scuola ha appena chiuso per mancanza di giovani), abitato da poche persone chiuse, ignoranti, razziste non tanto per questioni ideologiche, ma per paura del diverso ("paura" è infatti il titolo del film), di quello che non si conosce. Paure fomentate, con grande colpevolezza, anche dai media, alla ricerca sempre del lato criminoso delle vicende migratorie, esemplare al riguardo la delusione della cronista nell'intervistare il capo delle guardie (forse il personaggio più "incredibile" nel film, una specie di Obelix, condito con una buona dose di goliardia, ma che alla fine è l'unico con i piedi per terra e dotato di pragmatico realismo).
Molto efficace l'uso del bianconero, soprattutto nel descrivere un ambiente fatto di miseria, paesaggi per lo più aridi, orribili complessi edilizi mai terminati e abbandonati (su cui la mdp indugia più volte con suggestive riprese dall'alto). Anche il mare, ripreso nella sua vastità così grigia e piatta, sembra diventare un opaco prolungamento del paesaggio circostante. E questa aridità ambientale sembra riflettersi sul pensiero delle persone, così povero e limitato, dominato tanto dalla paura dello sconosciuto e del colore della sua pelle, quanto da un ridicolo e macchiettistico nazionalismo, composto da vecchi inni e canzonette patriottiche.
In mezzo a questo grigiore, emergono con forza le immagini dei due protagonisti, con alcune inquadrature di grande forza emotiva, come quando sono seduti sulla panchina di fronte al mare, o uno di fronte all'altra incorniciati dalla finestra all'interno della casa. Fotogrammi che avrebbero meritato un rilievo temporale anche maggiore, per quanto mi riguarda. Ecco, se volessi trovare un difetto ad ogni costo (ma invece potrebbe trattarsi proprio di un pregio) avrei voluto assistere a molte altre scene tra loro due, data l'incredibile alchimia creata dalla loro incomunicabilità linguistica, una trovata veramente originale e divertente.
Niente da dire sul cast, tutti perfettamente in parte, una menzione speciale va comunque alla protagonista, una figura femminile bellissima, un viso espressivo, sempre un po' rabbuiato e dal piglio aggressivo, che però non ti stanchi mai di guardare nei primi piani e che si inonda di luce ogni volta che sorride.
Il finale, poi, è una piccola poesia a conclusione di un'opera costruita con grande tatto e sensibilità.
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