Abbiamo visto “ Somewhere “ regia di Sofia Carmina Coppola.
Sofia Coppola è al suo quarto film, i precedenti sono state tre opere di notevole maestria e intelligenza. Nel 1999 ha debuttato con “ Il giardino delle vergini suicide “, film meno conosciuto dal pubblico, un ritratto di famiglia fuori dal comune: cinque sorelle fra i quindici e i diciannove anni vivono la loro crescita tormentate da una madre integralista e sorda e un padre assente e senza personalità, rinchiuso nella costruzione di modellini. Il secondo film è stato “ Lost in Traslation “ storia e sviluppo fuori dai clichè, splendidamente scritto, diretto e interpretato e ha ottenuto l’oscar come migliore sceneggiatura. Nel 2006 dirige “ Marie Antoinette ” sulla regina della Rivoluzione Francese, ma dove tutto è leggero, giovanile e post moderno; con uno stile innovativo, fresco, pop. Per parte della critica i tre film, per le affinità tematiche, sono definiti come la trilogia della giovinezza inquieta. Va da ricordare che per una giovane donna ( oggi ha circa quarant’anni ) non deve essere stato facile trovare una sua strada fatta di originalità e intelligenza, avendo come padre Francis Ford Coppola, come madre Eleanor documentarista e scrittrice di un bel libro sulle disavventure sul set di Apocalypse Now, per non dimenticare un fratello Roman regista, una zia l’attrice Talia Shire ( ricordate: Adriana, urlato da Stallone in Rochy ? ), cugina di Nicolas Cage e Robert Carmine ( attore e leader dei Rooney ). Da alcuni anni oramai Sofia Coppola non è solo figlia o cugina o nipote di qualcuno, è una regista affermata, ha il suo pubblico affezionato ed è nello star sistem hollyvoodiano nel senso più pieno ed anche snob del termine.
Il suo quarto film è presente al Festival di Venezia, in gara, ed è uscito nelle sale in questi giorni. Col suo solito stile ci racconta di Johnny Marco, un divo di Hollywood che ha recitato anche con De Niro, Meryl Streep e Al Pacino. E’ bello, pieno di donne e con una vita apparentemente piena. Vive in una suite del leggendario Hotel Chateau Marmont, dove hanno vissuto Greta Garbo, Marylin Monroe, Alan Delon; dove ha trovato la morte John Belushi e Jim Morrison è finito in ospedale. Scorazza in giro sulla sua Ferrari nera quasi alla ricerca di un istinto di libertà che non sembra possederlo lucidamente e nella sua suite ci sono sempre feste, splendide ragazze in attesa e le solite pasticche. Johnny sembra a proprio agio in questa situazione di torpore, fra ballerine di lap dance di notte e conferenze stampa, interviste e lavori vari di giorno. Fino a quando la ex moglie con una telefonata gli lascia per alcuni giorni la figlia undicenne, Cleo ( Elle Fanning ). Questo avviene alla fine del primo tempo, troppo in ritardo perché questo sia la naturale storia. L’incontro con la figlia non è conflittuale o presago di piccoli screzi, anzi è sereno e spensierato, e lo stare assieme si svolge tra camere d’albergo con piscina a Milano, mangiate di gelato notturne, aerei e auto con autista, gare di videogiochi e il ritiro di un premio a Milano tra la Ventura nazionale e la Marini che canta e sgambetta ( questa italietta patetica raccontata da Sofia Coppola è sì triste e provinciale ma è troppo banale e superficiale ). Quando Johnny e sua figlia ritornano a Los Angeles devono dividersi, la bambina deve andare in un centro estivo e lui resta all’improvviso da solo, spinto a fare bilanci e riflessioni esistenziali, sulla sua posizione nel mondo e affrontare domande che prima o poi tutti dovrebbero porsi. E l’ennesima fuga in auto gli permette anche un sorriso finale liberatorio.
Una trama molto semplice, sulla futilità e fragilità di certe vite che viste da lontano sembrano splendide e appaganti e invece sono vuote e deprimenti ( io banalmente farei a cambio di corsa ). L’elemento narrativo che sconquassa ( ? ) questa vita è Cleo, che dovrebbe smuovere
la ‘ calma piatta ‘ del divo e portarlo a cercare “ il vero “ oltre il suo mondo “ di finzione “. Ma purtroppo non accade nulla di importante o di significativo, si segue il film senza interesse o curiosità, forse in attesa di un finale forte che mitigherebbe la fiacchezza e la poco originalità di molti passaggi. Insomma film non risolto, che gira a volte in maniera lenta e fastidiosa su se stesso. La cifra stilistica dei precedenti film della Coppola che era la sua forza, in questo sembrano mostrare tutti quei limiti derivati anche da contiguità esistenziale dell’autrice con il suo ambiente. Viene d’istinto da dire che fare un film alla Wenders o all’Antonioni senza avere l’età e lo spessore è rischioso e sbagliato.
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