L’atmosfera cupa delle prime sequenze, girate in una villa antica e decadente, in cui si svolge la scena della temporanea pax mafiosa tra personaggi immersi nell’ombra, affacciata su un mare scuro ed ostile in una notte buia illuminata soltanto dalle fiaccole, simbolo di luce catacombale, e dai fuochi pirotecnici della festa religiosa, mentre si inneggia a Santa Rosalia, comunica icasticamente con immediatezza il senso di oppressione e la pesantezza della vita claustrofobica dei mafiosi, rappresentati metaforicamente come topi, come animali sotterranei e parassiti della vita urbana, che fuggono dinanzi alla giustizia, costretti alla clandestinità o nel caso di Buscetta, all’esilio, sebbene dorato, del Brasile. Le scene degli assassinii per il predominio nella commissione al vertice di cosa nostra, nella lotta tra la vecchia e la nuova mafia dei corleonesi, quella che sarà stragista ed ambiguamente compromessa con gli apparati deviati dello Stato, che si susseguono in modo incalzante, rievocando le cronache del tempo, ricordano lo stesso ritmo narrativo degli omicidi tra fazioni rivali, nello scontro tra la vecchia e la nuova camorra organizzata, del Camorrista di Tornatore. Ottima l’interpretazione di Favino, Lo Cascio e Ferracane, rispettivamente Buscetta, Contorno e Calò, anche se con risultati diversi. Si preferisce rappresentare l’uomo Buscetta nella sua forza vitale e animalesca mentre consuma rapporti sessuali con la moglie o con una prostituta nel carcere dell'Ucciardone, piuttosto che approfondire il personaggio dal punto di vista psicologico nelle sue relazioni familiari, eppure ebbe otto figli, o nel rapporto con Falcone, che è, invece, appena abbozzato e si riduce allo scambio di qualche battuta e all’offerta di un pacchetto di sigarette del giudice al pentito. Nonostante la rassomiglianza impressionante tra Favino e Buscetta, il personaggio non comunica niente di essenziale, nulla di più rispetto a quello che si può leggere in un articolo di giornale, resta appiattito e conforme alla copia dell’originale che le cronache ci hanno consegnato, mentre Lo Cascio, cui è riservato un ruolo minore, riesce a trasmettere qualcosa di profondo dell’animo del personaggio che interpreta, la pervicacia e la violenza attraverso lo sguardo, l’orgoglio della propria sicilianità con l’utilizzo sfrontato davanti alla corte, che lo sta interrogando come pentito, di un dialetto stretto ed incomprensibile, così come Ferracane rende efficacemente la mellifluità del criminale di alto livello che è stato a contatto con i colletti bianchi ed ha imparato il politichese. Se non fosse per qualche visione onirica, Andreotti che esce in mutande dall’atelier del sarto, o l’apparizione dei fantasmi dei figli evocati dai sensi di colpa, il film sarebbe cronaca pura. Bellocchio voleva forse rifare il Joe Valachi - I segreti di Cosa Nostra diTerence Young, ma, con tutto il rispetto, Favino non è paragonabile a Charles Bronson, e non si comprende, alla fine, se sia a causa dei limiti attoriali del protagonista, forse troppo buono per impersonare un boss di cosa nostra, o di una sceneggiatura cronachistica, prigioniera dei dialoghi stereotipati, ripresi dai giornali o dai libri scritti sull’argomento, che il film, più utile strumento didattico che opera d’arte, idoneo ad una proiezione nelle scuole per fornire i primi rudimenti sul fenomeno mafioso, rimane in superficie, sulla superficie di quel mare nero ed ostile, rappresentazione di una società civile che lambisce minacciosa la malavita nascondendo nelle sue profondità il malaffare.
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giannaccio
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domenica 26 maggio 2019
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cronache da non ignorare...
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Condivido l'opinione di Carloalberto sull' impronta prettamente didascalica impressa al film da Marco Bellocchio. Ritengo che comunque una certa aderenza alle cronache del periodo debba essere necessaria: quanti di noi conoscono i meccanismi legati della criminalità organizzata gestita da Buscetta e dai Corleonesi all'epoca? Magistrale l'interpretazione di Favino, il cui accento siciliano forse è discutibile?... Datemi riscontro. Ancor più efficace, a mio avviso, Lo Cascio, con la sua interpretazione grintosa di sempre ( indimenticabile Peppino Impastato de ' I cento passi ') e quel dialetto siciliano stretto, segno ulteriore dello strenuo attaccamento alle origini del personaggio interpretato.
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Condivido l'opinione di Carloalberto sull' impronta prettamente didascalica impressa al film da Marco Bellocchio. Ritengo che comunque una certa aderenza alle cronache del periodo debba essere necessaria: quanti di noi conoscono i meccanismi legati della criminalità organizzata gestita da Buscetta e dai Corleonesi all'epoca? Magistrale l'interpretazione di Favino, il cui accento siciliano forse è discutibile?... Datemi riscontro. Ancor più efficace, a mio avviso, Lo Cascio, con la sua interpretazione grintosa di sempre ( indimenticabile Peppino Impastato de ' I cento passi ') e quel dialetto siciliano stretto, segno ulteriore dello strenuo attaccamento alle origini del personaggio interpretato. Complessivamente, un film molto consigliato.
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hulk1
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giovedì 5 marzo 2020
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la scuola
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C'era una volta il cinema italiano, talmente vitale, feroce , agguerrito, altissimo e ignobile, che ci si permetteva di stroncare i Rosi,i Petri,i Damiani 'Se sanno tutto riguardo trame sottotrame, di mafia , politica, malaffare perchè non si recano nei tribunali e denunciano', Il prof. Bertetto. Oppure il tanto odiato poliziottesco rimosso per anni dalla critica ufficiale, in particolare quella de sinistra, come brutto, sporco e fascista. Oggi è tutto finito, o meglio sopravvivono le gomorre, le suburre, rigorosamente televisive, scontate, con sceneggiature dilettantesche, personaggi macchietta che la tirano per le lunghe, nelle quali si dovrebbero trovare le spiegazioni di trame, sottotrame, malaffare , ma non si trova nulla che non abbia il sapore del trito e ritrito e ci mancherebbe altro .
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C'era una volta il cinema italiano, talmente vitale, feroce , agguerrito, altissimo e ignobile, che ci si permetteva di stroncare i Rosi,i Petri,i Damiani 'Se sanno tutto riguardo trame sottotrame, di mafia , politica, malaffare perchè non si recano nei tribunali e denunciano', Il prof. Bertetto. Oppure il tanto odiato poliziottesco rimosso per anni dalla critica ufficiale, in particolare quella de sinistra, come brutto, sporco e fascista. Oggi è tutto finito, o meglio sopravvivono le gomorre, le suburre, rigorosamente televisive, scontate, con sceneggiature dilettantesche, personaggi macchietta che la tirano per le lunghe, nelle quali si dovrebbero trovare le spiegazioni di trame, sottotrame, malaffare , ma non si trova nulla che non abbia il sapore del trito e ritrito e ci mancherebbe altro . Anche i Rosi, I Damiani, I Lizzani con i loro cristi fermati ad Eboli, i Fonatamara, gli uomini e no erano televisivi, didascalici, buoni per le scuole o il dopolavoro, erano opere girate per la televisione. Anche nel film di Bellocchio, una lunga carriera tra il genio e l'inutile aleggia l'aria stantia del televisivo, didascalico, telefonato, con lo spiegone altrimenti il pubblico non capisce. Questo ormai è quello che passa il convento, non parliamo di attori o attrici, ricordare i Volontè, La Cardinale......stop
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gbavila
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venerdì 10 aprile 2020
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saper guardare oltre
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Non si scrive a caso la vicenda di un mafioso se non per far vedere oltre. Mettere in luce la potenza di una forza del male a favore del bene che ci sprona a saper vedere utilmente i diversi punti di vista che spesso percorrono la stessa strada e addirittura più benefica. Giuliano Bavla
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