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Rassegna stampa di Robert Wise

Robert Wise è un attore statunitense, regista, produttore, montatore, è nato il 10 settembre 1914 a Winchester, Indiana (USA) ed è morto il 14 settembre 2005 all'età di 91 anni a Los Angeles, California (USA).

EMANUELA MARTINI
Film TV

West side story: 10 oscar. Tutti insieme appassionatamente 5 oscar. Non voglio morire: nomination per la regia e oscar alla protagonista Susan Hayward. Lassù qualcuno mi ama: 2 Oscar (fotografia e scenografia). 8 nomination, compreso Steve McQueen, per Quelli della San Pablo. Per chi lo ricorda soprattutto dagli anni ‘6o in avanti, questo era Robert Wise: un regista di grande mestiere, capace di passare con naturalezza da un genere all’altro, bellico, fantascienza, storico, romantico, e soprattutto di maneggiare quell’oggetto delicato che era diventato allora il musical, trasportandolo nervosamente tra i ghetti e le bande di New York (in coregia con il coreografo Jerome Robbins, che aveva già diretto West Side Story a Broadway) o, al contrario, nei pastelli delle montagne svizzere, dove il miele della storia dei Trapp si stempera nel nero della montata nazista (a parte la grandezza di Julie Andrews, Tutti insieme appassionatamente andrebbe rivalutato per la parte conclusiva della fuga della famiglia e, in particolare, per il numero So Long, Farewell). Ma Robert Wise (non a caso molto apprezzato da Martin Scorsese e John Landis) era di più di un regista per tutte le stagioni, dalla tecnica impeccabile. Nato il 10 settembre del 1914 nell’Indiana, assunto giovanissimo alla Rko, divenne montatore e lavorò, tra gli altri, con Gregory La Cava (La ragazza della quinta strada), Dorothy Arzner (Dance, Girl, Dance) e Orson Welles, per Quarto potere e, ahimé, L’orgoglio degli Amberson, che tagliò di 43 minuti ed edulcorò nel finale, per ordine del produttore Howard Hughes, mentre Welles era in Messico a girare It’s All True. La sua occasione arrivò due anni dopo, nel 1944, quando il producer Val Lewton gli affidò la regia di Il giardino delle streghe, una sorta di sequel di Il bacio della pantera, tolta a Gunther von Fritsch. Nacque così, non un horror, ma una favola malata e malefica, costruita sulle deformazioni dell’immaginazione infantile, dove tutto è suggerito e sta in bilico tra realtà e fantasia. Subito dopo La iena, ambientato a Edimburgo, sul caso del dottor Knox e dei ladri di cadaveri Burke e Hare, con Boris Karloff e Bela Lugosi in sottotono e perciò più inquietanti, confermò “l’eredità” lasciata a Wise da Lewton: la paura sta acquattata più nelle zone oscure dello schermo, addirittura oltre i limiti dell’inquadratura, nei suoni percepiti fuori campo, negli occhi e nella mente di chi “non vede”, nel “non mostrare”. Il noir (il perverso Perfido inganno, quello morboso ambientato nel West, Sangue sulla luna, il disperato, isterico Strategia di una rapina), la fantascienza (Ultimatum alla Terra, caposaldo della fantascienza antimaccartista, Andromeda, esemplare di quella sociologica), il dramma intinto nelle zone oscure del disadattamento sociale (Non voglio morire, i pugilistici Stasera ho vinto anch’io e Lassù qualcuno mi ama) furono i suoi generi. Il bianco e nero fu il suo “colore”. E al bianco e nero tornò, tra un musical e l’altro, con il suo capolavoro: The Haunting (Gli invasati), storpiato e pasticciato nello stupido remake di De Bont del 1999. Cinque personaggi in una casa: porte, scale, quadri, pareti, oggetti, distorti e in continua evoluzione, e soprattutto rumori, bisbigli e boati, respiri e singhiozzi. La casa vive, afferra, nasconde, inghiotte nel suo incubo invisibile. Ancora oggi, uno dei film più angoscianti della storia del cinema, dove non si vede nulla di “innaturale”, dove tutto può essere il frutto di una psicologia malata. A parte la sua affidabilità, il suo mestiere, il suo piglio sicuro nel sociale, fu il suo cuore nero a fare di Robert Wise un autore.

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