Jean-Daniel Pollet: un altro cinema di se stesso, un cinema di forte tensione, lucido nel risarcire di forza espressiva la memoria, rigoroso nell'animare le cose, i volti, le istantanee, i paesaggi.
Nell'arco della sua vita di autore, Pollet, ha sempre cercato di comporre musicalmente la sua 'pittura di immagini', visioni più di una idea che di una realtà, di avvertirne le vibrazioni e i suoni. Silenziosa filosofia dell'immaginazione, pensiero dell'interiorità, dove la coscienza si fa energia materiale, sofferenza, delirio; discorso sulla contraddizione dove l'inconscio diviene il limite della soggettività, infranta dalla trasgressione, con l'esperienza del dubbio dell'esteriorità, dei simulacri, della moltiplicazione espansa di Sé.
Dentro le sue immagini sfilano figure, situazioni, spazi aperti, resti di civiltà antiche rivisitate nella memoria, ripescate dal fondo dell'oblio, in un lavorìo di montaggio, che richiama il percorso delle rêveries di Bachelard. Come nel suo film Pour mémoire, dove l'oblio si rapporta con la memoria e intrattiene gli stessi stimoli di un percorso nel tempo, tra vita e morte e che ci riporta al pensiero di Marc Augè, in particolare a Les formes de l'oubli. "Que nous vivions simultanément plusieurs récits, comment en douter? Nous savons bien que dans chacun de ces récits nous tenons un role différent et que nous n'y avons pas toujours le beau role'. Nella persistenza del tempo e nella simultaneità dei ricordi, alla ricerca di una dimensione di pensiero, l'oblio acquista una valenza metaforica "come forma di morte, che è vita di ricordi" e si impone in una visione complessa, nella molteplicità degli sguardi possibili.
Nel precedente Méditerranèe, altro suo film concettuale dove prevale il gusto della riflessione, l'immagine della statua egizia che ritorna più volte configura la presenza di un passato arrestato nel tempo, nei riti religiosi, nella 'figura poetica, che si fa persistenza della memoria, sostanza diegetica. La forza viva del ricordo, dell'immagine pensata, riattiva l'oblio, come espressione di una memoria collettiva, come mondo della affabulazione.
Il suo ultimo film - Ceux d en face - è come uno schermo del tempo, un racconto di immagini fotografiche, di avvenimenti, di guerre e di morte, che introducono dialetticamente dentro un non-luogo, in un eterno ritorno, premonizione filosofica sull'oggi. Forme che esprimono hegelianamente le conseguenze con altri concetti, in quanto idee della ragione. La fascinazione per l'evanescenza delle identità, la trasformazione psichica dei soggetti, nel fluire lento delle immagini richiamano involontariamente i versi di Pessoa "Tout M'échappe et s'évapore... Sans cesse je sens que j'ai été autre, que j'ai ressenti autre, que j'ai pense autre... Et c'est à moi-meme que j'assiste ... Qui est moi?"
Da Ritratti Autoritratti, Bulzoni Editore, Roma, 2006