Uno dei tantissimi brani d’epoca (di diverse epoche) che compongono la colonna musicale che, letteralmente, tesse il delirio immaginario e morale di Casinò di Scorsese è Ocean’s Eleven, ovvero "gli undici di Ocean", undici tipi molto ‘cool’che nel 1970 misero a punto un colpo leggendario nei cinque maggiori casinò di Las Vegas. In un film naturalmente, che in originale si chiamava appunto Ocean’s Eleven e in italiano Colpo grosso, diretto da Lewis Milestone, un regista che ha dato il meglio nei film di guerra per un colpo costruito come un’esercitazione militare. Gli undici, infatti, sono ex-commilitoni che ciondolano nel sottobosco di Las Vegas e decidono di sistemarsi per sempre. A guidarli è Danny Ocean: Frank Sinatra, maglioncino di cashemire, quell’aria un pòstraffottente e un pòindifesa irresistibile per le donne, un passato un pòtormentoso e nessuna prospettiva per il futuro. Braccio destro: l’immancabile Dean Martin e, subito di fianco a lui, Sammy Davis Junior, Peter Lawford, Richard Conte, Henry Silva, Joey Bishop. Tutto il leggendario clan, riunito in un film che ci consegna la fotografia di un’opera in bilico tra i Kennedy e la crisi dell’identità americana esplosa con la seconda metà degli anni Sessanta e, soprattutto, la quintessenza dell’immagine cinematografica di Frank Sinatra. Erano (sembra) impegolati con la malavita, erano ricchissimi (i casinò che rapinano in Colpo grosso erano di loro proprietà ), attaccabrighe, donnaioli, spesso scostanti con la stampa. Eppure, tutti insieme, gli attori, cantanti, comedian del clan di Sinatra hanno rappresentato un fenomeno quasi unico di divismo di gruppo, adorati dalle fan di tutte le età e dal pubblico giovane dei college (che ne imitava abiti, gesti e accenti), capaci di costruire e tenere in piedi un film, uno spettacolo musicale, uno show televisivo con la rilassata familiarità del loro lavoro d’equipe.
Il più divo di tutti (e probabilmente il più bravo è certamente il più ricco) era Frank Sinatra, Voce mitica prestata al cinema negli anni Quaranta, che, a differenza di quello che è accaduto alla maggioranza delle altre star musicali, era riuscita a costruirsi una solida, autonoma fama cinematografica, e non solo in generi leggeri. Già soprannominato The Voice dalle schiere dei suoi ammiratori, negli anni Quaranta (anni d’oro per il musical) era approdato al cinema, soprattutto come ‘secondò di Gene Kelly. Più esile, più arguto, meno atletico, Sinatra era un po’ il "ragazzo della porta accanto", il compagno di avventure in città (Due marinai e una ragazza di Sidney, Un giorno a New York di Donon) o di scommesse sportive (Facciamo il tifo insieme di Berkley), sui Kelly soffiava sempre la protagonista, ma che poi finiva per innamorarsi dell’amica buffa, meno glamorous ma più spiritosa. La sua carriera d’attore avrebbe potuto proseguire così per tutti gli anni Cinquanta e poi chissà che direzioni avrebbe preso più tardi, con il declino della commedia musicale. Ma nel 1952 un’improvvisa emorragia alle corde vocali lo fa cadere in disgrazia con le maggiori compagnie discografiche; e Sinatra, con grande coraggio e intelligenza, "ricomincia dal cinema". Accettando il compenso ridicolo di 8.000 dollari, riesce a ottenere la parte di maggio, il soldatino destinato al sacrificio, in Da qui all'eternità di Zinnemann e vinse l’Oscar come migliore attore non protagonista. La sua carriera drammatica è assicurata: un’altra candidatura all’Oscar per il jazzista drogato di L’uomo dal braccio d’oro di Preminger, e poi il cantante alcolizzato di Il jolly è impazzito di Vider, il sicario di Gangsters in agguato di Allen, il cowboy che deve imparare a vincere la vigliaccheria in Johnny Concho di McGuire, il perdigiorno idealista di Un uomo da vendere di Capra, lo scrittore in crisi, randagio e insofferente di Qualcuno verrà, lo splendido mele di Minnelli dove, in coppia con Dean Martin, preannuncia le atmosfere dei successivi, più leggeri, film del clan. Alternando drammi e commedie come Il fidanzato di tutte di Walters, Bulli e pupe di Mankiewicz, Alta società di Walters, Sinatra costruisce un’immagine perfettamente calibrata, tra nonchalance ironica e insofferenza, timidezza e ruvidità, solitudine e seduzione. Seducente con le donne come con i compagni di avventure (i soliti del clan in Tre contro tutti o I quattro del Texas o il pugno di disperati evasi da un campo di concentramento nazista in Il colonnello von Ryan. E dire che all'inizio della carriera, così magro e stranito, nessuno avrebbe scommesso sul suo fascino cinematografico. Invece, ha funzionato, anche se fu principalmente legato all’ottimismo mascalzone dell’età kennediana. E Sinatra (che è stato anche un abilissimo amministratore di se stesso) con la fine degli anni Sessanta ha sempre più diradato le apparizioni cinematografiche, concentrandosi soprattutto sull’inimitabile Voce.
Da Il Sole 24 Ore, 17 maggio 1998