La serie ha una forma molto seducente e un’idea iniziale formidabile, ma deve trovare il modo di arrivare a noi. Su Netflix.
di Gabriele Prosperi
Quando la minaccia di un conflitto globale si fa imminente, alcune famiglie ultraricche comprano anni di sicurezza nel Kimera Underground Park, un rifugio ipertecnologico progettato per resistere a ogni catastrofe. Mentre i ricchi ospiti e il personale in uniforme si misurano con gerarchie, sospetti e alleanze intermittenti, il racconto dissemina flashback e un colpo di scena che riorienta i rapporti di forza.
Dopo il suo grande successo internazionale, Álex Pina si cimenta in un nuovo filone, quello del bunker drama: mondi recintati e società miniaturizzate in cui la lotta di classe viene compressa in ambienti sterilizzati. Però di “nuovo”, in realtà, c’è davvero poco… e purtroppo, perché il primo episodio di Il rifugio atomico è davvero una bomba!
Tanto l’hype sulla nuova serie del creatore di La casa di carta, quanto le premesse di un primo episodio davvero interessante e sconvolgente, si rivelano presto disattese. La serie possiede una forma molto seducente e un’idea iniziale formidabile: chiudere il privilegio in una teca e osservare se implode o si riorganizza. Ma si vuol far troppo. Sebbene racconti solo un interno (il bunker), deve trovare un modo per arrivare a noi, qui, dove siamo – o dove sentiamo di essere: sul crinale di una Terza Guerra Mondiale.