Anno | 2022 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia, Gran Bretagna, Germania |
Durata | 68 minuti |
Regia di | Gabriele Licchelli, Francesco Lorusso, Andrea Settembrini |
MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 5 ottobre 2023
I registi incontrano i migranti della cosiddetta "rotta balcanica" in un viaggio verso la speranza. In Italia al Box Office Go, Friend, Go ha incassato 265 .
CONSIGLIATO SÌ
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Ogni anno migliaia di persone in fuga dai Paesi del Medio Oriente tentano di raggiungere l'Europa occidentale, percorrendo la cosiddetta rotta balcanica. Grecia, Serbia, Bosnia e Trieste sono alcune delle tappe attraversate da migranti che sognano un futuro migliore. Spesso vengono respinti brutalmente dalla polizia di frontiera e allora ricominciano daccapo quel viaggio della speranza. Tra difficoltà, sofferenza, condivisione, le tante storie individuali compongono un mosaico di umanità sospesa lungo confini geografici ed esistenziali.
Osservando le tappe del difficile viaggio e ricorrendo anche al found footage (girato dai protagonisti con i loro smartphone), il documentario cala lo spettatore nella drammatica condizione dei migranti.
Il fenomeno migratorio è certamente uno dei grandi temi dei nostri tempi, e di conseguenza anche tra quelli più raccontati al cinema oggi (basti pensare ai recentissimi Io capitano di Matteo Garrone e The Green Border di Agnieszka Holland, entrambi presentati all'ultimo Festival di Venezia). In questo filone si inserisce il documentario di Gabriele Licchelli, Francesco Lorusso, Andrea Settembrini, mettendo insieme frammenti di storie, vite diverse eppure legate da un filo comune. Dal porto di Patrasso sulla costa greca alle foreste di Sid in Serbia, dalle fabbriche abbandonate e riconvertite in campi profughi nel cantone bosniaco di Una Sana fino alla città di Trieste, vista come punto di arrivo e poi di ripartenza verso gli altri paesi europei, il racconto procede per immagini fortemente suggestive e attraverso le testimonianze di persone disposte o costrette (spesso le due cose coincidono) a convivere con la fatica e gli stenti pur di inseguire una meta che si rivela molto difficile da raggiungere. Sono alcuni di quei migranti a definire quel viaggio come "game", un gioco con tanti livelli da superare, e a ciascuno dei quali corrisponde un paesaggio, uno sfondo, un'ambientazione con i suoi ostacoli e le sue barriere, da aggirare ricorrendo a trucchi ed espedienti (come infilarsi e nascondersi dentro i camion trasportati su una nave). E quando si perde non riuscendo a oltrepassare il confine, non resta che tentare un'altra partita. Anche se, a differenza di un videogame, i segni della missione fallita restano, e a volte sono ben visibili sui corpi.
L'intento del docufilm non è quello di inquadrare il fenomeno della migrazione in una prospettiva geopolitica, ma di immergere lo spettatore nella condizione dei protagonisti e di restituire il loro sguardo, anche in soggettiva attraverso il found footage, inserendo le riprese realizzate con i loro smartphone. E non è un caso che proprio l'uso degli smartphone sia molto importante nella quotidianità di quelle persone, trattandosi dell'unico strumento a loro disposizione, in mezzo alla natura o a scenari urbani degradati; l'unica finestra sul mondo per aggiornarsi e soprattutto per tenere a mente sempre da dove sono scappate e perché. Una spinta in più ad andare avanti (come recita il titolo), da custodire nel bagaglio di ragioni, interrogativi e speranze che ognuno di loro porta con sé.