
In streaming su MYmovies ONE una lunga immersione nei giorni e nelle opere di Alan McGee, chimerico fondatore dell’altrettanta chimerica Creation Records, etichetta che ha spostato in avanti il mondo musicale inglese di metà-fine ’80 e ’90. GUARDA ORA IL FILM »
di Luigi Coluccio
Qual è la combinazione alchemica – come più e più volte ripetono sotto acidi, alcol o semplicemente sotto tutto i vari agenti del caos del film – di Creation Stories – L’uomo che scoprì gli Oasis?
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Bè, abbiamo il quasi omonimo libro che funge da memoir e documento, a cui è stato spuntato il rivelatore sottotitolo “Riots, Raves and Running a Label”; poi il suono di band a cui appartengono pezzi di cuore come Television Personalities, Jesus and Mary Chain e Slowdive; infine l’apporto-supporto di Danny Boyle alla produzione e Irvine Welsh alla sceneggiatura. Con tutti questi reattori e reagenti sembra quasi superfluo l’altro sottotitolo, “l’uomo che scoprì gli Oasis”. Eppure c’è anche quello.
Insomma, il catalogo di MYmovies ONE si arricchisce d’un colpo di tutto questo e ancora più: Creation Stories – L’uomo che scoprì gli Oasis è infatti una lunga immersione nei giorni e nelle opere di Alan McGee, chimerico fondatore dell’altrettanta chimerica Creation Records, produttore ed etichetta che hanno contribuito letteralmente a spostare in avanti il mondo musicale inglese di metà-fine ’80 e ’90, perorando la causa delle band indipendenti e contribuendo ad erigere il mito della Cool Britannia.
Nel frullatore di voci off e sequenze oniriche messo in piedi dal regista Nick Moran – il giocatore-poco-dostoevskiano di Lock & Stock – Pazzi scatenati –, ogni cosa viene ricostruita assieme con zelo e libertà, dall’incipit giovanile con McGee che annaspa nell’opprimente Glasgow al suo svezzamento nella Londra post-punk del decennio successivo, per poi accelerare puntando verso la nascita della Creation, i primi successi e i continui fallimenti, la cessione di parte dell’etichetta alla Sony, l’esposizione planetaria con il Britpop e il definitivo crepuscolo dei tempi che furono.
Certo, il film è una ri-narrazione di un mito che è già canone, e a detta di McGee la metà di quanto raccontato non è avvenuto in quel modo o non è successo affatto – significativa forma di contrappasso dantesco, visto che lo stesso McGee cedette proprio il 49% della sua fiera creatura indipendente al mainstream della Sony, venendo così accusato di aver svenduto la propria storia...
Ma questo da una parte è il tributo da pagare ai biopic, dall’altro, e soprattutto, è il tocco di Welsh, che fa precipitare il tutto nell’oramai famigerata serata al "King Tut’s Wah Wah Hut Club" di Glasgow, quando McGee, per aver perso un treno, si ritrova ad ascoltare gli ancora misconosciuti e madchesteriani Oasis.
Ma Welsh, la cui scrittura straborda tanto da venire quasi inseguita dallo sguardo di Moran ma allo stesso tempo perfettamente incarnata da Ewen Bremner che interpreta McGee, lo fa sempre a modo suo: sì, non importa che nella realtà non ci fosse di mezzo un treno – ma è importante per lo slang visivo-letterario di Welsh, in fine dei conti ha scritto Trainspotting, no? –, quanto quello che ha portato e che segue quel momento, cioè tutto il precipitato sociale della parabola della Creation, l’eterna scissione tra arte e commercio, la gioventù che sfiorisce nella vecchiaia.
È questo il B-side, la ghost-track di Creation Stories, quando si è passati da quelle sei settimane del ’91 in cui uscirono uno dopo l’altro "Screamadelica" dei Primal Scream, Loveless dei "My Bloody Valentine" e "Bandwagonesque" dei Teenage Fanclub, al varo della legge sul New Deal For Musicians che aiutava i giovani in difficoltà ad emergere coltivando la loro ragione di vita.
Perché, come cantano i The Creation, la band idolatrata così tanto da McGee da innalzargli il nome della sua etichetta, “I gotta hear it from your lips / Will I forget about the time?”.