
Il film di Kuosmanen segna il tragitto di una storia d’amore atipica, spigolosa e non del tutto compiuta, affidando ai piccoli gesti dei suoi personaggi il compito di trasmettere un senso romantico struggente e appassionante. Dal 2 dicembre al cinema.
di Roberto Manassero
Scompartimento n.6 è la storia di un viaggio. Un viaggio in treno, che negli spazi immensi e sconfinati della Russia significa trascorrere giorni e giorni in una carrozza angusta, attraversando paesaggi piatti e nevosi, dormendo in cuccette dove la privacy è un’illusione, ogni tanto scendendo per una sosta di qualche ora, bevendo tè e mangiando cibarie vendute dalle immancabili provodnitsa, le severe addette ai vagoni che fanno da controllore, hostess e cuccettiste. Viaggiare in treno, in Russia, oltre che una modalità di trasporto molto amata dalla gente comune perché molto economica, è un’esperienza, un’avventura.
Nel film di Juho Kuosmanen, regista finlandese nato sotto l’egida del Festival di Cannes, che con questo suo secondo lungometraggio ha vinto il Gran Premio della Giuria dopo aver già conquistato nel 2016 il Certain regard con il precedente La vera storia di Olli Mäki, il percorso in treno da Mosca a Murmansk, negli anni ’90 di un paese non ancora uscito dall’era comunista, segna anche il tragitto di una storia d’amore atipica, spigolosa e non del tutto compiuta, e proprio per questo bellissima.
I due protagonista del film, passeggeri di una carrozza di seconda classe e possibili innamorati, sono la finlandese Laura, studentessa di russo che fugge da una relazione incerta con la sua insegnante, e lo scontroso Vadim: si incontrano per caso nello scompartimento che dà il titolo al film e inizialmente si scambiano sguardi ostili e corrucciati. Lei è depressa per essere stata abbandonata dall’amante, lui ubriaco; lei sta andando a Murmansk, città vicina al polo artico, per visitare un sito archeologico, lui per lavorare nelle miniere della zona. Non potrebbero essere più diversi, eppure, un po’ alla volta, passati sia la sbornia di Vadim sia lo spaesamento di Laura (che conosce il russo ma non le abitudini dei russi), nello spazio ridotto della cuccetta, tra i tavolini del vagone ristorante, nei corridoi della carrozza e poi fuori dal treno, in una città innevata e nella casa di un’anziana, qualcosa accade.
Kuosmanen, che ha adattato con Andris Feldmanis e Livia Ulman l’omonimo romanzo della scrittrice finlandese Rosa Liksom (in Italia edito da Iperborea), racconta per piccoli particolari, per accenni e non detti, affidando ai gesti dei personaggi, ai loro sguardi, alle loro mezze parole, il compito di trasmettere un senso romantico struggente e appassionante.
La ricostruzione storica del film è perfetta, malinconica e mai nostalgica: nel film si vedono walkman, telefoni a gettoni, il samovar con le bevande bollenti, gli ambienti trasandati eppure seducenti di ciò che allora rimaneva (e probabilmente ancora oggi rimane, nella Russia più profonda) dell’Urss. Quello di Scompartimento n.6 è un mondo scomparso e rétro che fa da sfondo all’intensa relazione fra Laura e Vadim (lei è l’attrice finlandese Seidi Haarla, lui l’astro nascente del cinema russo, Yuriy Borisov, a Cannes visto anche in Petrov’s Flu e a Venezia in Captain Volkonogov).
Niente nel film è sottolineato, tutto è suggerito: la progressiva vicinanza fra i due sconosciuti; la relazione indefinita fra Vadim e la signora dalla quale si reca con Laura (con il ragazzo un po’ sbruffone che prima di tornare sul treno trova il tempo di tagliare la legna alla donna che forse l’ha cresciuto…); la visita al sito archeologico di Murmansk, in cui la forza impetuosa della natura silenzia, ma non cancella, il legame fra i due innamorati; il biglietto che a un certo punto lei si trova fra le mani…
La relazione fra Laura e Vadim è come il percorso del treno attraverso la Russia: una traccia nella sterminata vastità del paesaggio; un segnale di vitalità, di amore e di tenerezza, in un mondo senza identità, sospeso tra la fine di un impero e l’inizio di un futuro incerto. Nel corso del film i due restano forse sconosciuti l’uno all’altro, eppure riescono a trovare momenti d’intesa che segnano a fondo le rispettive vite e danno a noi spettatori la più bella delle storie: quella di un amore non consumato che vive, e può vivere, solo nel cinema.