giulia de vivo
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mercoledì 5 ottobre 2022
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l’ho trovato offensivo
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Sono alle prese dirette con un problema del genere vissuto da una persona cara e non ci avrei capito nulla in questo film senza trama se non avessi letto una lunga spiegazione sulle intenzioni del produttore.
Non so se questo film abbia alcuna base scientifica e non so se esistano pazienti che vivono in un costante stato di delirio, che per definizione é un episodio transitorio.
Il paziente non é più in grado di produrre nuovi ricordi: questo sembrerebbe l'assunto. Ma di qui a fabbricare una realtà interamente basata su fatti 5 anni prima ce ne corre. Non possono essere definiti anche questi ricordi?
Il finale mi ha sconcertato e mi ha fatto riflettere sull’egoismo dei figli, che pur essendo stati curati e accuditi dai genitori, quando é il loro turno di occuparsene se ne disfano.
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cinephilo
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martedì 9 agosto 2022
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capolavoro
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Che film meraviglioso. Esordio incredibile di questo drammaturgo francese che sforna un film incredibile con attori diretti benissimo e una fotografia magnifica. Hopkins a livelli mai visti prima. Film claustrofobico che racconta un incubo, lo consiglio assolutamente.
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enzo70
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domenica 13 marzo 2022
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il dolce racconto del dramma dell''alzheimer
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Un film che mi ha colpito dritto al cuore, riaprendo ferite che mai si potranno rimarginare. Ho perso un fratello e mio padre, dopo qualche anno colpito dall’Alzheimer, si chiedeva dove fosse suo figlio. I particolari, la paura di essere derubato degli oggetti, per il protagonista del film, Antonhy, l’orologio, per mio padre il cannocchiale, dimostrano l’attenzione con cui il regista, Florian Zoller, ha affrontato il racconto di una malattia che ha mille sfumature: l’Alzheimer comporta paure, ossessioni, libertà espressive, ripetitività delle situazioni, un clima di perenne tensione che bisogna trovare la forza di smontare.
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Un film che mi ha colpito dritto al cuore, riaprendo ferite che mai si potranno rimarginare. Ho perso un fratello e mio padre, dopo qualche anno colpito dall’Alzheimer, si chiedeva dove fosse suo figlio. I particolari, la paura di essere derubato degli oggetti, per il protagonista del film, Antonhy, l’orologio, per mio padre il cannocchiale, dimostrano l’attenzione con cui il regista, Florian Zoller, ha affrontato il racconto di una malattia che ha mille sfumature: l’Alzheimer comporta paure, ossessioni, libertà espressive, ripetitività delle situazioni, un clima di perenne tensione che bisogna trovare la forza di smontare. E con un eccezionale Anthony Hopkins questo film rappresenta un momento importante per parlare di questa malattia e per raccontare la situazione che contraddistingue l’ultimo percorso di vita per molte persone e il travaglio dei familiari. Film delicato ed intelligente, giustamente premiato con due Oscar.
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felicity
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lunedì 31 gennaio 2022
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un dramma senza una storia
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The Father è un dramma in cui Anthony Hopkins e Olivia Colman impersonano una vera e propria situazione emotiva, per niente atipica. La storia è quella di Anthony, un uomo anziano probabilmente afflitto dal morbo di Alzheimer, che ne affronta i sintomi: smarrimento, confusione, sbalzi d’umore, deformazione della realtà; il tutto senza rendersi conto della malattia e del suo progredire, continuando a rifiutare l’aiuto continuo da parte della figlia, Anne, sempre più preoccupata e avvilita nel vedere il padre perdere lucidità. Nella ricerca di qualcuno che possa occuparsi di lui, i due affrontano – attraverso i rispettivi ruoli di padre e figlia, entrambi a proprio modo vittime di quella patologia atroce – l’avanzare della malattia e la perdita dell’identità, di ciò che lo rende quindi una persona.
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The Father è un dramma in cui Anthony Hopkins e Olivia Colman impersonano una vera e propria situazione emotiva, per niente atipica. La storia è quella di Anthony, un uomo anziano probabilmente afflitto dal morbo di Alzheimer, che ne affronta i sintomi: smarrimento, confusione, sbalzi d’umore, deformazione della realtà; il tutto senza rendersi conto della malattia e del suo progredire, continuando a rifiutare l’aiuto continuo da parte della figlia, Anne, sempre più preoccupata e avvilita nel vedere il padre perdere lucidità. Nella ricerca di qualcuno che possa occuparsi di lui, i due affrontano – attraverso i rispettivi ruoli di padre e figlia, entrambi a proprio modo vittime di quella patologia atroce – l’avanzare della malattia e la perdita dell’identità, di ciò che lo rende quindi una persona. L’ansia della figlia cresce quando comunica al padre che, per consolidare una nuova relazione, sta per trasferirsi in un’altra città.
Un dramma sobrio, per nulla mellifluo, che mette in risalto una realtà quotidiana pregna di dolore. È risaputo che, tendenzialmente, quando si ha una determinata malattia i “portatori” smettono di essere visti come persone e diventano malati. É importante superare lo stigma e iniziare a guardare oltre, riconoscere l’individualità della persona, che sebbene colpita dalla malattia non è per questo “scomparsa”. Anthony è ancora una persona, e uno che sta subendo la peggiore delle ingiustizie: perdere la propria memoria significa perdere la propria identità, quindi esistere smettendo di essere. E non è da meno chi deve stare a guardare, come Anne, costretta a piangere la perdita del padre anche se lui è ancora vivo.
C’è un puzzle da ricostruire, attraverso le suggestioni di un luogo, di un appartamento ove si è vissuta una vita, in attesa di quei pochi ricordi che il cervello riesce ancora a tenere in vita. Non a caso la scenografia ricopre un ruolo da protagonista: la storia si muove ipoteticamente in diversi spazi ma in realtà ne vive solo uno, l’appartamento, che sopravvive nei ricordi di Anthony; una sola location come punto di riferimento dove poter trovare se stessi, e al massimo sbirciare all’esterno dalla solita finestra sulla strada per verificare che sia tutto al posto giusto, un appartamento che fa da contenitore per le confusioni e i sentimenti dei suoi abitanti. L’ambiente ricorda l’aridità rimasta dopo una vita vissuta espressa dall’Amour di Haneke, in cui la casa esiste, respira, conosce ogni segreto. L’esterno è tutto in ordine, ben posizionato, quasi in attesa; ma dentro c’è uno caos che mette tutto in disordine.
The Father non è il primo film a trattare di Alzheimer o demenza senile, ma si distingue nel modo in cui la racconta: attraverso lo sguardo di chi ne è vittima, mostrando ciò che vede, sente, vive. Due interpreti maestri dell’emotività controllata portano addosso il peso di una storia, o forse non storia; un esperimento che parte dal teatro e passa per il cinema, ma che soprattutto vuole essere un’esperienza multimediale di narrazione in cui vengono manipolati luogo, tempo e spazio per arrivare a un fine. Siamo lontani dall’effetto de Il sesto senso o di Fight Club: non si cerca di “imbrogliare” lo spettatore attraverso la distorsione della realtà, ma di renderlo partecipe a questa forma di verità che esiste, che accade. Come Fincher ha dato al pubblico gli stessi occhi e orecchie di Edward Norton, facendolo entrare nella sua mente psicotica, Zeller fa lo stesso senza necessità del colpo di scena finale; il pubblico, messo in una condizione di sovrapercezione, qui è consapevole da subito del problema che affligge i personaggi. Ed é importante che lo sappia. Un gioco che spinge a chiedersi chi sia realmente il protagonista: gli attori o gli spettatori?
Ricordi, volti e luoghi si mescolano nella mente dell’anziano protagonista così come agli occhi del pubblico. In questo caso non c’è l’analisi della malattia o lo svilimento per la perdita che questa comporta, ma c’è la rappresentazione di un perenne stato confusionale che rende tutti partecipi della crudeltà intrinseca di una malattia che è cosi reale. Un declino interiore che ristagna nella perdita d’identità, che portata avanti nella consapevolezza crea una risposta di non accettazione, e lo si percepisce non solo dalle reazioni ma anche dai volti. Ma Anthony, seppur infrenabile, può soltanto limitarsi a seguire quel che succede – la narrazione – nel suo svolgersi univoco e senza controllo, nel dolore nostalgico per la perdita di mondi e tempi perduti.
Nel film la realtà vera prende forma attraverso il (non) racconto frammentato di Anthony, ciò che ricorda e che vede come dei flashback cinematografici, ricreando in un certo senso – sempre nel connubio memoria-cinema – il montaggio della sua esistenza.
La memoria rappresenta il meccanismo attraverso cui l’uomo costruisce una narrazione del sé, e il film il contenitore che imprime le immagini di questa memoria, come ricordi che prendono vita in proiezione. Sia nel film che nella memoria le sensazioni passate possono riaffiorare dal nulla; le memorie sono proiettate nella mente come in una sala. Nel film come nei ricordi il tempo non è lineare, ed entrambi fungono come mezzo per viaggiare tra passato e presente.
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xerox
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lunedì 11 ottobre 2021
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capolavoro perchè....
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... questo film divide in due la platea cinematografica. Da una parte chi ha conosciuto il dr. Alzheimer di persona, tramite un famigliare o un amico, e chi no. Solo chi ha visto di persona la TERRIBILITA' di questa malattia può capire il film.
Assolutamente inutile e banale parlare della grandezza di Hopkins. Da sottolineare invece la strepitosa interpretazione di Olivia Colman: semplicemente perfetta! Grandissima attrice! E naturalmente si finisce di vedere il film nella speranza di non diventare NOI come il personaggio di Hopkins!
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alberto
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giovedì 9 settembre 2021
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la realtà vista da una mente anziana
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Interessante come è strutturato il film perchè porta lo spettatore nella mente dell'anziano Anthony (si chiama così anche nel film), facendo in modo che stia dalla sua parte pensando "ma sì, ha ragione Anthony... era così, ho visto anch'io...". In realtà i fatti sono ben diversi, vengono presentati in modo confuso. Le persone cambiano ruolo, i fatti e gli ambienti vengono mescolati, il tempo viene distorto, quindi alla fine non si distingue la realtà dall'immaginazione facendo sentire lo stesso spettatore non in grado di capire in modo concreto che cosa sia vero e cosa non lo sia.
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Interessante come è strutturato il film perchè porta lo spettatore nella mente dell'anziano Anthony (si chiama così anche nel film), facendo in modo che stia dalla sua parte pensando "ma sì, ha ragione Anthony... era così, ho visto anch'io...". In realtà i fatti sono ben diversi, vengono presentati in modo confuso. Le persone cambiano ruolo, i fatti e gli ambienti vengono mescolati, il tempo viene distorto, quindi alla fine non si distingue la realtà dall'immaginazione facendo sentire lo stesso spettatore non in grado di capire in modo concreto che cosa sia vero e cosa non lo sia. Geniale da questo punto di vista. Il film si concentra più sull'aspetto psicologico e mentale, più che fisico, non sono infatti presenti scene in cui ci sono problemi dal punto di vista fisico (essendo incentrato su persona anziana potevano esserci benissimo cadute, sfuriate forti, invece no), il che rende il film fluido mantenendo per lo spettatore la concentrazione necessaria a seguire il film.
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gustibus
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mercoledì 4 agosto 2021
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nessun pugno nello stomaco!
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Sono pronto agli attacchi..ma che volete..dico sempre quello che la mia mente percepisce,il mio cuore sente.Quando vedo un film dai5anni(Via col vento)ad ora(68)..non guardo i premi la vostra pregevole recensione.Visto ieri in streaming..a parte la mostruosa recitazione di A.Hopkins questo "The father"non mi ha emozionato per niente.Quando vedo tre stanze,una finestra in 90minuti,vado in tilt!Per quanto riguarda la recitazione,non era cinema,era teatro!appunto tratto da una pièce del regista Florian Zeller e si vede!..Il tema?..qui si parla di demenza senile o Alzheimer non si capisce bene..in fondo temi simili sono stati affrontati in molti altre visioni.Quello che mi ha frastornato che vedendo le foglie ,la storia era su una fine senza aver dato sussulti e mi chiedevo "ma davvero e'finito cosi'?"Con un soggetto cosi'banale(e non vi sta parlando un giovanotto!)la visione non mi ha trasmesso nulla.
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Sono pronto agli attacchi..ma che volete..dico sempre quello che la mia mente percepisce,il mio cuore sente.Quando vedo un film dai5anni(Via col vento)ad ora(68)..non guardo i premi la vostra pregevole recensione.Visto ieri in streaming..a parte la mostruosa recitazione di A.Hopkins questo "The father"non mi ha emozionato per niente.Quando vedo tre stanze,una finestra in 90minuti,vado in tilt!Per quanto riguarda la recitazione,non era cinema,era teatro!appunto tratto da una pièce del regista Florian Zeller e si vede!..Il tema?..qui si parla di demenza senile o Alzheimer non si capisce bene..in fondo temi simili sono stati affrontati in molti altre visioni.Quello che mi ha frastornato che vedendo le foglie ,la storia era su una fine senza aver dato sussulti e mi chiedevo "ma davvero e'finito cosi'?"Con un soggetto cosi'banale(e non vi sta parlando un giovanotto!)la visione non mi ha trasmesso nulla..niente di niente e 15mila film li avro'visti.Poi i premi tutto il rispetto del mondo.Vale l'oscar al miglior attore..anche se dice nel film che e'del 1937..quindi recita come 84enne..e il grande attore e'molto vicino all'eta'..da qui la sua bravura.Allora potrei dire bravo anche al grande Clint Eastwood per "The Mule"che ha quasi 90anni anche lui.Ora attaccatemi ma non ritiro una parola della mia recensione..la trama..a parte la malattia non saprei descriverla..ecco la mia delusione.Spero di non raggiungere i quasi 200si e i 200no di Nomadland.Non sono sadico,vorrei tanto parlare bene di questi film pluripremiati..mi dispiace deludere.
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ralphscott
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domenica 25 luglio 2021
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quasi insostenibile.
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Non mi interessa, in questo caso, giudicare la qualità dell'opera, ma evidenziare che la messa in scena, per quanto verosimile, risulta notevolmente greve. L'ho visto in compagnia di una persona che ha perso il coniuge causa Alzheimer: sono riuscita a stento a seguirlo io, mi ha detto, giusto perchè ho vissuto il problema in prima persona. Pesantissimo, nonostante l'istrione Hopkins.
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no_data
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giovedì 22 luglio 2021
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tema interessante, ma…
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Bellissimo film, ottima interpretazione.
Concordo però con Maugam: il finale non è così dorato per la grande maggioranza degli anziani costretti a spostarsi in una casa di riposo. Ho la recente esperienza di mio padre, ospite gli ultimi tre mesi della sua vita in un residence per anziani e stroncato da una improvvisa polmonite. Entrato lucido ed autosufficiente, versava 3.000€ al mese ma magari avesse trovato una infermiera come quella del film, che lo abbracciava e consolava. Nel finale del film il regista ci rivela di appartenere ad un mondo, privilegiato, del tutto sconosciuto alla maggior parte di noi.
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