carloalberto
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sabato 1 maggio 2021
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stereotipato noir lento e noioso
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Julia Hart è la sceneggiatrice e la regista di questa noiosissima pellicola, che, tuttavia, risulta a tratti involontariamente spassosa per i dialoghi che spesso ricordano le battute paradossali e senza senso degli sketch comici di Ale e Franz, quando interpretano i due gangster che si incontrano sul palco mimando il tono ed il linguaggio tipici di certi noir degli anni ’70.
Il film indeciso se essere un dramma psicologico sulla maternità negata, che, però, trova il suo riscatto nell’adozione da parte della protagonista di un neonato abbandonato dalla madre o un action movie, basato sullo schema classico e abusato della donna in fuga dal suo passato e sulle peripezie che deve affrontare per sottrarsi ai suoi persecutori, alla fine non è né l’uno, né l’altro, bensì un polpettone che mescola generi diversi, attingendo perfino allo stereotipo dell’eroina che da bambola si trasforma, in questo caso in modo troppo repentino ed improbabile, in una novella Nikita.
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Julia Hart è la sceneggiatrice e la regista di questa noiosissima pellicola, che, tuttavia, risulta a tratti involontariamente spassosa per i dialoghi che spesso ricordano le battute paradossali e senza senso degli sketch comici di Ale e Franz, quando interpretano i due gangster che si incontrano sul palco mimando il tono ed il linguaggio tipici di certi noir degli anni ’70.
Il film indeciso se essere un dramma psicologico sulla maternità negata, che, però, trova il suo riscatto nell’adozione da parte della protagonista di un neonato abbandonato dalla madre o un action movie, basato sullo schema classico e abusato della donna in fuga dal suo passato e sulle peripezie che deve affrontare per sottrarsi ai suoi persecutori, alla fine non è né l’uno, né l’altro, bensì un polpettone che mescola generi diversi, attingendo perfino allo stereotipo dell’eroina che da bambola si trasforma, in questo caso in modo troppo repentino ed improbabile, in una novella Nikita.
A parte le molteplici incongruenze della trama ed il dilungarsi inspiegabile di alcune sequenze, che inducono allo sbadiglio per la lentezza spasmodica dell’azione che sembra girata al moviolone, si salva il cast e qualche rarissima scena in cui fa capolino un po’ di suspense, per scomparire, purtroppo immediatamente, fagocitata o dal comportamento illogico dei personaggi, al limite del ridicolo, o dalla noia dei dialoghi artificiosi e stucchevoli che sembrano scritti maldestramente da un dilettante appassionato di film noir.
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felicity
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lunedì 15 novembre 2021
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un noir sul riscatto esistenziale
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I'm Your Woman è un noir firmato da Julia Hart sulla femminilità e il riscatto esistenziale.
La sequenza di apertura offerta dalla Hart è quella di una donna in realtà sull’orlo del crollo, dedita a bere il suo cocktail in una raffinata veste viola. Lo sviluppo progressivo di I’m Your Woman mostra il decadimento di questo ritratto opulento. Dall’arrivo del piccolo Harry, alle continue fughe, l’immagine iniziale di Jean viene sapientemente destrutturata e ricostruita. Fino al momento della scossa esistenziale che la obbliga ad autodeterminarsi, Jean era solo un’appendice, il possesso di qualcun altro. Lo stato iniziale era quello di un’etero-identificazione – espressa già nel titolo – che necessita della presenza dell’altro per assumere valore, proprio come avveniva in quel quadro di Jacqueline Kennedy offerto da Pablo Larraín in Jackie (2016).
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I'm Your Woman è un noir firmato da Julia Hart sulla femminilità e il riscatto esistenziale.
La sequenza di apertura offerta dalla Hart è quella di una donna in realtà sull’orlo del crollo, dedita a bere il suo cocktail in una raffinata veste viola. Lo sviluppo progressivo di I’m Your Woman mostra il decadimento di questo ritratto opulento. Dall’arrivo del piccolo Harry, alle continue fughe, l’immagine iniziale di Jean viene sapientemente destrutturata e ricostruita. Fino al momento della scossa esistenziale che la obbliga ad autodeterminarsi, Jean era solo un’appendice, il possesso di qualcun altro. Lo stato iniziale era quello di un’etero-identificazione – espressa già nel titolo – che necessita della presenza dell’altro per assumere valore, proprio come avveniva in quel quadro di Jacqueline Kennedy offerto da Pablo Larraín in Jackie (2016). La protagonista, dunque, deve uscire fuori dal suo stato di minorità per autonomizzarsi. Una condizione rappresentata nella sequenza di chiusura, in cui si coglie lo sguardo solido di una femminilità determinata.
I’m Your Woman è la storia di una condizione, nota e rimpastata più volte. Tuttavia, lo stile di regia della Hart, lavora con cura sulle modalità espressive di questa narrazione. Lo fa con cautela, ma dosando sapientemente i giusti ingredienti. Dalla fotografia quasi seppiata di Bryce Fortner, alle musiche di Aska Matsumiya condite con le interpretazioni di Aretha Franklin di “Natural Woman” e “The Weight”, il lavoro della Hart sa elevarsi in modo raffinato. Se c’è un altro importante protagonista da non sottovalutare, quello è proprio il piccolo Harry. Il neonato è rappresentazione piena dell’ingenuità pura, di un’esistenza ancora non corrotta e inconsapevole. Il riscatto alla vita di Jean inizia proprio da questo, da un atto che rievoca l’etica della cura. Così, I’m Your Woman è uno scorcio cinematografico che mostra insieme il dramma della consapevolezza e l’innocenza dell’incoscienza.
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