L'esperimento di Ang Lee è audace ma di difficile fruizione, strabilia visivamente ma trascura fin troppo la componente narrativa. Recensione di Emanuele Sacchi, legge Roberta Azzarone.
di A cura della redazione
Henry Brogan è il miglior sicario in circolazione e lavora per il servizio segreto americano. Dopo l'ultimo incarico, decide di smettere i panni del killer governativo. Ma i suoi superiori gli mettono alle costole degli agenti, fino a ricorrere al migliore, straordinariamente simile nelle fattezze proprio a Henry Brogan.
Negli ultimi anni Ang Lee sta sperimentando un'indagine sui limiti del visibile che si accompagna all'evoluzione tecnologica: in questo film coniuga tridimensionalità, High Frame Rate e computer grafica. Nelle corrette condizioni di visione il risultato è strabiliante, ma è il film, a servizio dell'esperimento, a passare in secondo piano.
Ogni immagine diviene iperrealista e i movimenti di macchina si fanno di una fluidità inquietante. È la fine del cinema o una nuova frontiera a cui dovremo abituarci?
In occasione dell'uscita al cinema di Gemini Man, in sala dal 10 ottobre, Roberta Azzarone interpreta la recensione di Emanuele Sacchi.