enricodanelli
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lunedì 29 gennaio 2018
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chi semina vento raccoglie ... filmacci
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Al personaggio più insulso del film è lasciato l'onore di dire la frase che più rappresenta (o dovrebbe rappresentare) questo film: la diciannovenne Penelope nel bel mezzo di una cena con il suo attempato e disgustoso compagno per far colpo esclama "LA RABBIA GENERA SOLO ALTRA RABBIA". Il film infatti non è altro che una escalation di rabbia e livore secondo un climax innescato dalla irritante e irascibile protagonista e da qualche pazzo che la segue nelle sue "eroiche" imprese. La critica al "sistema" di questa signora (che ha grosse colpe, ma pochi sensi di colpa) non è per nulla documentata, è cieca, sorda e si basa su luoghi comuni e nel suo evolversi calpesta con certo sadismo altri individui altrettanto se non più indifesi, deboli e degni di compassione.
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Al personaggio più insulso del film è lasciato l'onore di dire la frase che più rappresenta (o dovrebbe rappresentare) questo film: la diciannovenne Penelope nel bel mezzo di una cena con il suo attempato e disgustoso compagno per far colpo esclama "LA RABBIA GENERA SOLO ALTRA RABBIA". Il film infatti non è altro che una escalation di rabbia e livore secondo un climax innescato dalla irritante e irascibile protagonista e da qualche pazzo che la segue nelle sue "eroiche" imprese. La critica al "sistema" di questa signora (che ha grosse colpe, ma pochi sensi di colpa) non è per nulla documentata, è cieca, sorda e si basa su luoghi comuni e nel suo evolversi calpesta con certo sadismo altri individui altrettanto se non più indifesi, deboli e degni di compassione. Si arriva infine al classico "farsi giustizia da se" dei film western, ma qui in un modo talmente sconclusionato che si cade nel ridicolo con la assurda scena di chiusura (perlatro molte altre scene sono ridicole in questo film pseudodrammatico). Se il film avesse voluto identificare questo disgustoso modus operandi della protagonista con la attuale presidenza americana di Trump probabilmente ce lo avrebbe fatto capire in altro modo prendendone chiaramente le distanze. E allora sarebbe stato encomiabile. Invece la scenografia gioca su bassi livelli e turpiloqui a profusione e fa dire l'unica frase che ha un senso nel film (LA RABBIA GENERA SOLO ALTRA RABBIA) al personaggio più stupido del film, come dire che non è la posizione del regista. Anni luce lontano da Mississipi Burning - le radici dell'odio (che fra l'altro vedeva la più convincente partecipazione della McDormand), questa storia lascia attoniti su quanto possa risultare sconclusionato certo film d'autore.
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[+] d'accordissimo
(di scrignomagico)
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deadman
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sabato 27 gennaio 2018
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noioso
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a vedere i commenti entusiasti mi chiedo che film ho visto o addirittura se mi sono addormentato sulla poltrona, veniamo al dunque, a una donna di un'antipatia stellare viene violentata e uccisa la figlia, la polizia brancola nel sonno e allora lei affitta tre cartelloni pubblicitari in una strada desolata e da lì comincia uno scontro con i poliziotti del paese denigrati come nullafacenti e si trasforma in una rambo in gonnella che sputtana la polizia, buca le unghie dei dentisti e prende a calci nelle parti basse i ragazzini del posto. film lento noioso solita storia di degrado familiare, che scade involontariemnte nel ridicolo, se questa è l'america beh stiamo raschiando il fondo del barile e lasciate in pace trump per favore o altre spiegazioni idiote
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udiego
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sabato 27 gennaio 2018
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tra dramma e commedia amara
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Dopo alcuni mesi senza un colpevole per l’omicidio con stupro della giovane figlia Angela, Mildred Hayes decide di spronare la polizia a svolgere diligentemente il proprio lavoro installando, lungo la strada che porta verso casa sua, tre manifesti con messaggi taglienti e diretti rivolti allo sceriffo di Ebbing, Bill Willouughby. La faccenda metterà in subbuglio l’intera comunità, provocando nelle persone le più variegate reazioni.
Non si può che partire da un presupposto: “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” è veramente un bel film. Martin McDonagh, più famoso per essere un eccellente drammaturgo, ma anche autore dell’apprezzato “In Bruges”, realizza un’opera corale, completa e ben riuscita sotto tutti i punti di vista.
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Dopo alcuni mesi senza un colpevole per l’omicidio con stupro della giovane figlia Angela, Mildred Hayes decide di spronare la polizia a svolgere diligentemente il proprio lavoro installando, lungo la strada che porta verso casa sua, tre manifesti con messaggi taglienti e diretti rivolti allo sceriffo di Ebbing, Bill Willouughby. La faccenda metterà in subbuglio l’intera comunità, provocando nelle persone le più variegate reazioni.
Non si può che partire da un presupposto: “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” è veramente un bel film. Martin McDonagh, più famoso per essere un eccellente drammaturgo, ma anche autore dell’apprezzato “In Bruges”, realizza un’opera corale, completa e ben riuscita sotto tutti i punti di vista. Partiamo dalla sceneggiatura, curata dallo stesso regista, costruita in modo da rappresentare egregiamente le varie sfaccettature della vicenda. I personaggi sono variegati ed ognuno è caratterizzato dai propri tratti distintivi: da Mildred, donna tutta d’un pezzo ed estremamente spigolosa che vive nel dolore e nel senso di colpa per aver perso la figlia, a Bill, sceriffo amato da tutta la comunità di Ebbing, anche lui angosciato per non essere riuscito a consegnare alla giustizia un colpevole per la morte di Angela. Fino ad arrivare all’ufficiale Dixon, forse il personaggio meglio caratterizzato di tutti, che rappresenta in modo nemmeno troppo velato le problematiche sociali ancora attuali in certe zone degli Stati Uniti quando si parla di neri e gay. Ovviamente, affinchè lo script sia così efficace ed incisivo, non può che essere sorretto da tre attori in vero stato di grazia. E se per Frances McDormand non sono state mai messe in discussione le sue notevoli qualità, anche Woody Harrelson e Sam Rockwell dimostrano grandi capacità nell’interpretare i loro personaggi. Il regista britannico riesce con “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” a miscelare egregiamente la tragedia all’interno di una commedia amara, senza mai appesantire il tutto e senza mai far perdere completamente la speranza ai suoi protagonisti, anche nei momenti più bui. Il tutto è sorretto da un impianto cinematografico di spessore, da una colonna sonora, tipica per i luoghi in cui ci troviamo, che ha il merito di sdrammatizzare certe situazioni e da una fotografia pulita ed affascinante allo stesso tempo. Possiamo concludere consigliando a tutti di non perdersi questo piccolo capolavoro, che saprà sicuramente farvi piangere, ma allo stesso tempo anche strapparvi delle allegre risate, in un’atmosfera forse un po’ malinconica, ma assolutamente dolce e commovente.
Voto 4.5/5
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ralphscott
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sabato 27 gennaio 2018
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grande cinema
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Sono uscito dalla sala felice. Felice di esser stato spiazzato,sorpreso e lì a riflettere;reazionii che solo il grande cinema riesce a stimolare. Tre manifesti è un monito per quelli che vivono di certezze e tengono distanti i dubbi,ma anche per chi non sa o non vuole perdonare. Per più di mezzo film,i personaggi sono così strambi che è inevitabile rimaner perplessi. Tuttavia,probabilmente quella descritta è la vera America,lontana da quella di N.Y. e della California. Frances Mc Dormand da Oscar,ma notevole anche l'evoluzione del poliziotto tonto. E che dire del suo rapporto con la madre? Commovente. La ricerca del colpevole,alla fine dei conti,risulta del tutto marginale: lungo il suo narrare,il film seduce e prescinde dai generi.
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Sono uscito dalla sala felice. Felice di esser stato spiazzato,sorpreso e lì a riflettere;reazionii che solo il grande cinema riesce a stimolare. Tre manifesti è un monito per quelli che vivono di certezze e tengono distanti i dubbi,ma anche per chi non sa o non vuole perdonare. Per più di mezzo film,i personaggi sono così strambi che è inevitabile rimaner perplessi. Tuttavia,probabilmente quella descritta è la vera America,lontana da quella di N.Y. e della California. Frances Mc Dormand da Oscar,ma notevole anche l'evoluzione del poliziotto tonto. E che dire del suo rapporto con la madre? Commovente. La ricerca del colpevole,alla fine dei conti,risulta del tutto marginale: lungo il suo narrare,il film seduce e prescinde dai generi.
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tonimais
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venerdì 26 gennaio 2018
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un volto
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In chimica l'aggettivo satura sta ad indicare una soluzione incapace di ricevere un altro elemento chimico poichè i suoi spazi intermolecolari sono " saturi ".Sembra complicato ed invece è semplice. Provate a sciogliere un pizzico di sale in un litro d'acqua, scomparirà senza lasciare tracce, residui ,sedimenti. Se la quantità di sale fosse superiore alla saturazione vedreste il sale depositarsi sul fondo del recipiente. Ecco , Tre manifesti a Ebbing è un film completo ma non eccessivo : nulla è stato lasciato al caso, gli ingredienti hanno tutti pari dignità e sono stati utilizzati con rara maestria : la colonna sonora scandisce drammaticamente lo svolgersi dell'azione, le sequenze non permettono allo spettatore di riprendere fiato, i colori dei manifesti sono stati scelti per essere complementari con quelli di una vegetazione sospesa, l'insolita quantità di parolacce ,per nulla gratuite, rappresentano il contraltare dell'elevatezza dei sentimenti ( se non ci fossero si correrebbe il rischio di cadere nel melenso ma ciò non accade ) , il più alto inno alla vita è la scena del suicidio dove la preoccupazione di vedere intristire la moglie prevale sull'egoismo di restare in vita, ogni scena, ogni frammento di scena fa sperare allo spettatore che il film non finisca,il finale è sorprendente, per nulla scontato e così lo sono i finali delle tante situazioni interne, sempre diversi, sempre non astrusamente costruiti.
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In chimica l'aggettivo satura sta ad indicare una soluzione incapace di ricevere un altro elemento chimico poichè i suoi spazi intermolecolari sono " saturi ".Sembra complicato ed invece è semplice. Provate a sciogliere un pizzico di sale in un litro d'acqua, scomparirà senza lasciare tracce, residui ,sedimenti. Se la quantità di sale fosse superiore alla saturazione vedreste il sale depositarsi sul fondo del recipiente. Ecco , Tre manifesti a Ebbing è un film completo ma non eccessivo : nulla è stato lasciato al caso, gli ingredienti hanno tutti pari dignità e sono stati utilizzati con rara maestria : la colonna sonora scandisce drammaticamente lo svolgersi dell'azione, le sequenze non permettono allo spettatore di riprendere fiato, i colori dei manifesti sono stati scelti per essere complementari con quelli di una vegetazione sospesa, l'insolita quantità di parolacce ,per nulla gratuite, rappresentano il contraltare dell'elevatezza dei sentimenti ( se non ci fossero si correrebbe il rischio di cadere nel melenso ma ciò non accade ) , il più alto inno alla vita è la scena del suicidio dove la preoccupazione di vedere intristire la moglie prevale sull'egoismo di restare in vita, ogni scena, ogni frammento di scena fa sperare allo spettatore che il film non finisca,il finale è sorprendente, per nulla scontato e così lo sono i finali delle tante situazioni interne, sempre diversi, sempre non astrusamente costruiti. Il personaggio di Mildred Hayes è poi il vero capolavoro : il suo volto , incorniciato da una bandana, come appunto si conviene ad un capolavoro , è il riassunto di tutta la storia : un volto segnato dal dolore,dove ogni ruga rappresenta l'insopportabile sofferenza di veder agonizzare la figlia mentre viene violentata o peggio di vederla violentare mentre agonizza , un volto capaca di esprimere collera ed un istante dopo la più umana compassione, un amore fraterno , la testimoniaza di una condizione umana che ci rende tutti simili .
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lucio
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venerdì 26 gennaio 2018
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umanità dolente
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Questioni razziali irrisolte negli Stati Uniti d'America. Uomini bianchi contro uomini neri. La globalizzazione selvaggia che ha impoverito le classi medie ed ha ridotto ai minimi termini la convivenza civile. In tale ambito va osservato il caparbio tentatativo di una madre che tenta di avere giustizia per la figlia violentata e uccisa. Nel Terzo millennio apparivano risolte tante problematiche sociali. Invece sta accadendo l'esatto contrario. Si riacutizzano, a livello mondiale, ferite che avrebbero dovuto essere guarite per sempre. Ombre minacciose tentano di oscurare anche le conquiste legate ai diritti civili. Uomini e donne sembrano tornare indietro nel tempo. Il grande pregio del film è quello di non santificare nessuno.
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Questioni razziali irrisolte negli Stati Uniti d'America. Uomini bianchi contro uomini neri. La globalizzazione selvaggia che ha impoverito le classi medie ed ha ridotto ai minimi termini la convivenza civile. In tale ambito va osservato il caparbio tentatativo di una madre che tenta di avere giustizia per la figlia violentata e uccisa. Nel Terzo millennio apparivano risolte tante problematiche sociali. Invece sta accadendo l'esatto contrario. Si riacutizzano, a livello mondiale, ferite che avrebbero dovuto essere guarite per sempre. Ombre minacciose tentano di oscurare anche le conquiste legate ai diritti civili. Uomini e donne sembrano tornare indietro nel tempo. Il grande pregio del film è quello di non santificare nessuno. Vittime e carnefici cambiano di ruolo con estrema facilità, a seconda delle convenienze individuali. Bella la sequenza finale in cui la mamma e l'ex poliziotto si guardano per capire se davvero hanno intenzione di farsi giustizia da soli. Come a voler significare che all'umanità dolente e rancorosa è concessa, nonostante tutto, una possibilità di riscatto.
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fabiofeli
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mercoledì 24 gennaio 2018
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sui manifesti si può scrivere c****?
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Mildred Hayes (Frances McDormand) fa affiggere tre manifesti da Red Welby (C.L. Jones) in una strada secondaria alle porte di Ebbing, un paese del Missouri; sa che verranno notati ugualmente perché sono un atto di accusa nei confronti dello sceriffo della cittadina, Bill Willoughby (Woody Harrelson), che dopo diversi mesi non ha fatto nessun progresso nell’indagine per trovare il colpevole della morte della figlia stuprata ed uccisa. La reazione degli abitanti di Ebbing è di riprovazione per Mildred, accusata da più concittadini di non avere riguardi per Bill malato terminale. L’aiutante dello sceriffo, James Dixon (Sam Rockwell), cerca di convincere con toni bruschi e minacciosi Welby a rimuovere i manifesti, ma incontra un deciso diniego.
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Mildred Hayes (Frances McDormand) fa affiggere tre manifesti da Red Welby (C.L. Jones) in una strada secondaria alle porte di Ebbing, un paese del Missouri; sa che verranno notati ugualmente perché sono un atto di accusa nei confronti dello sceriffo della cittadina, Bill Willoughby (Woody Harrelson), che dopo diversi mesi non ha fatto nessun progresso nell’indagine per trovare il colpevole della morte della figlia stuprata ed uccisa. La reazione degli abitanti di Ebbing è di riprovazione per Mildred, accusata da più concittadini di non avere riguardi per Bill malato terminale. L’aiutante dello sceriffo, James Dixon (Sam Rockwell), cerca di convincere con toni bruschi e minacciosi Welby a rimuovere i manifesti, ma incontra un deciso diniego. Mildred stessa viene minacciata nella sua bottega. Lo sceriffo si reca da Mildred, per convincerla a far togliere i manifesti, ma lei rifiuta. Bill le scrive una lettera, che lascia assieme ad altre due lettere per la moglie e le sue figlie, prima di suicidarsi. Monta ancora di più la rabbia del paese verso Mildred, ritenuta responsabile del gesto dello sceriffo. Qualcuno brucia i cartelloni pubblicati da Mildred e Dixon malmena Welby gettandolo dalla finestra del primo piano dell’ufficio, proprio di fronte alla centrale di polizia …
In questo film la violenza è una “normale” espressione di quel profondo sud degli USA, che sembra ancorato ad alcuni “valori” della conquista del West: il razzismo, l’idea dell’uno contro tutti per farsi giustizia-vendetta da soli, il machismo omofobo che nasconde insicurezza e infantilismo, la convinzione che il male proviene sempre da “fuori” della propria comunità. E’ la provincia che non ragiona e che disprezza il modo di vivere e di pensare degli abitanti delle metropoli, e che ha una forte responsabilità nell’aver consegnato il paese al “genio” di The Donald. Ma anche la provincia può riscattarsi, imparando dagli errori commessi e ritrovando la propria umanità. Il fanfarone razzista Dixon riceve due dure lezioni - la prima da Mildred decisa ad un atto criminoso per avere giustizia, e la seconda da Welby che non rifiuta un atto di umanità verso di lui, nonostante tutto –, ed è disposto ad essere picchiato ed umiliato da chi sospetta responsabile dell’omicidio della figlia di Mildred, per poterne provare la colpevolezza. Mildred stessa non è più sicura di volersi vendicare ai danni di una persona spregevole come quella che ha ucciso sua figlia.
L’ottima sceneggiatura, articolata ed incalzante come un giallo, premiata al recente Festival di Venezia, è piena di un humour nero degno dei film dei fratelli Coen, ma anche di squarci di umanità come è per i personaggi delle storie di Ken Loach; la recitazione dei principali protagonisti è eccellente e credibile. Tutti buoni motivi per consigliare la visione di questo bel film.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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mosegiulio
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mercoledì 24 gennaio 2018
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bill hai un gran •••••
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"Bill hai un gran " Questa è la frase chiave del film. I poliziotti ce l'hanno lungo anche quando ce l'hanno piccolo e son tutti brava gente in fondo..anche se ogni tanto ammazzano qualcuno di botte. Non tutti i negri sono alcolizati e non tutte le negre sono tossiche...qualcuno di loro può essere anche una brava persona e finire a fare il poliziotto Il nano? Il figlio? La moglie di Bill? Storie insulse buttate lì solo per arricchire il film di "nulla". Il dolore di una madre che trova riscatto nel farsi giustizia da sè. Il film più populista e di destra degli ultimi tempi. (Mi son sentito preso in giro quando è venuto fuori che il donatore dei cinquemila dollari non fosse il nano bensì lo sceriffo.
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"Bill hai un gran " Questa è la frase chiave del film. I poliziotti ce l'hanno lungo anche quando ce l'hanno piccolo e son tutti brava gente in fondo..anche se ogni tanto ammazzano qualcuno di botte. Non tutti i negri sono alcolizati e non tutte le negre sono tossiche...qualcuno di loro può essere anche una brava persona e finire a fare il poliziotto Il nano? Il figlio? La moglie di Bill? Storie insulse buttate lì solo per arricchire il film di "nulla". Il dolore di una madre che trova riscatto nel farsi giustizia da sè. Il film più populista e di destra degli ultimi tempi. (Mi son sentito preso in giro quando è venuto fuori che il donatore dei cinquemila dollari non fosse il nano bensì lo sceriffo.)
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michelecamero
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martedì 23 gennaio 2018
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tra teatro e film western
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Film tosto, duro, difficile da commentare, con una impostazione in fondo teatrale anche se non riconoscibile immediatamente. E’ ambientato nell’America non newyorkese che per molti è l’America più vera, più autentica quella dove forse non è mai finita l’era del West, dove si respirano ancora atmosfere da film western, dove sembrerebbe che l’eguaglianza dei neri sia ancora da venire considerato che la stessa Polizia continua a vessarli, dove il confine tra ciò che è esercizio della legge ed abuso si connota di interpretazioni ancora troppo personali dettate dalla propria cultura o dalla propria incultura.
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Film tosto, duro, difficile da commentare, con una impostazione in fondo teatrale anche se non riconoscibile immediatamente. E’ ambientato nell’America non newyorkese che per molti è l’America più vera, più autentica quella dove forse non è mai finita l’era del West, dove si respirano ancora atmosfere da film western, dove sembrerebbe che l’eguaglianza dei neri sia ancora da venire considerato che la stessa Polizia continua a vessarli, dove il confine tra ciò che è esercizio della legge ed abuso si connota di interpretazioni ancora troppo personali dettate dalla propria cultura o dalla propria incultura. Luoghi ancora marcati da bellissimi paesaggi naturali e selvaggi dove i centri abitati non appaiono città ma continuano ad essere più simili ai villaggi che nascevano alla buona sulla strada della conquista del West e dove spesso si vive in campagna in case grandi a ridosso delle foreste e delle montagne. Una civiltà rurale e primitiva negli aspetti e nella sociologia. In questi ambienti si svolge la storia di una madre che dopo sette mesi dallo stupro e dall’omicidio della figlia, si inventa un bizzarro quanto originale ed efficace (almeno per le conseguenze che produrrà) modo per richiamare l’attenzione degli investigatori locali che a suo giudizio non si starebbero occupando del caso. E qui, in questo film che in fondo è una tragedia che spesso si serve dei linguaggi della commedia riuscendovi molto bene, si scatenano tante di quelle situazioni che scuotono l’apparente tranquillità sonnolenta della vita. Così sullo schermo appare di tutto dalle minacce alle incomprensibili violenze gratuite, alle violenze psicologiche (il suicidio dello sceriffo) alla grossolanità di alcuni personaggi, al senso di colpa di una madre che sembrerebbe voler dire alla figlia, da morta, quanto l’amasse da viva nonostante nei loro rabbiosi scambi verbali si dessero reciprocamente della “Troia”. La storia scorre quasi senza speranza e lo spettatore capisce subito che non è trovare lo stupratore assassino l’obiettivo vero del regista quanto portare sulla scena un variegato zoo umano che si avviluppa intorno alla storia la quale pare procedere senza spiragli, a meno che finalmente non ci si fermi a riflettere ed a cambiare registro. Lo si potrà fare se qualcuno ci richiamerà ad un messaggio umano, oserei dire umanista che può manifestarsi in una lettera postuma, un contro scherzo beffardo, un’aranciata donata al posto della restituzione della cattiveria ricevuta, l’offerta di una collaborazione impensabile solo poche ore prime. Di più non mi va di dire. Spero solo di aver fatto venir voglia a chi vorrà leggere queste riga di andare a vedere questo film perché lo merita.
michelecamero
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marib
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lunedì 22 gennaio 2018
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sopravvalutato
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Intento meritevole, esecuzione mediocre. Una terra di mezza insipida in bilico tra il finto grottesco ed il tentativo di portare umanità ed empatia in un branco di zoticoni. Esageratalmente ‘urlato’. Troppo facile così! Non merita l’Oscar.
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