lanco
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sabato 20 gennaio 2018
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film decisamente sopravalutato
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Comincia catturando il sentimento dello spettatore in favore della protagonista per quello che le è accaduto. La fiducia nello sviluppo della trama del film secondo un canone intelligente comincia ad infrangersi quasi subito con la comparsa di personaggi secondari che cercano di essere caratterizzati, ma che sono decisamente troppi e non danno alcun contributo risoltivo alla storia. Verso la metà del primo tempo si spera in una sterzata verso qualcosa di originale, ma dopo un po' ci si interroga del perchè il film debba aver avuto una recenzione così benevola. Alla fine la storia cade in piedi e il film finisce con lo spettatore che si interroga del motivo dello spreco di tanto tempo
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gustibus
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venerdì 19 gennaio 2018
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contro tutto e tutti!
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La visione a prima vista e'di un film degli anni '70..Mildred(F.Mc Dormand)vuole a tutti i costi sapere chi ha stuprato e violentato la figlia,nella provincialissima Ebby ,cittadina nel missoury.La polizia del luogo latita tremendamente,quasi nell'indifferenza della gente del posto,entra nelle case e nella vita famigliare dove non si vede nulla di bello,il capo polizia con un tumore e si uccide,un altro che sembra quello più umanamente difettoso(Sam Rockwell,il matto del "Miglio Verde"),sorprendera'verso la fine che con la mamma prenderà la decisione finale.Protagonisti i tre manifesti che la mamma fa appendere per urlare e denunciare alla polizia che non e'stato fatto niente.
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La visione a prima vista e'di un film degli anni '70..Mildred(F.Mc Dormand)vuole a tutti i costi sapere chi ha stuprato e violentato la figlia,nella provincialissima Ebby ,cittadina nel missoury.La polizia del luogo latita tremendamente,quasi nell'indifferenza della gente del posto,entra nelle case e nella vita famigliare dove non si vede nulla di bello,il capo polizia con un tumore e si uccide,un altro che sembra quello più umanamente difettoso(Sam Rockwell,il matto del "Miglio Verde"),sorprendera'verso la fine che con la mamma prenderà la decisione finale.Protagonisti i tre manifesti che la mamma fa appendere per urlare e denunciare alla polizia che non e'stato fatto niente.IL film nella sua narrazione e'un pugno nello stomaco contro l'indifferenza,il lassismo che se non hai il colpevole subito non si può fare niente.I media,la giornalista che fa il servizio viene apostrofata"bocchinara"e tante altre cose fuori luogo in un quadro "politicamente scorretto"ce'tutta l'etica di questo film.Bello e reale per la provincia americana,è forse uno schiaffo a noi italiani che abbiamo si anche noi alcune di queste "note nere"ma(dico io!)con un po' di melanconico ruffianismo e' difficile che avremo cosi'tante Ebby(paesi o cittadine cosi'!)Sicuramente da vedere! Ma non per i benpensanti!lo capirebbero?Film che prendera'quasi sicuramente l'oscar,tra soggetto e attori.Poi un po' esagerato il racconto lo e'!e la critica E'IMPAZZITA per le 5stelle.Un po' troppo ma il cinema e'bello per queste incongruenze.
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samanta
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venerdì 19 gennaio 2018
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la rabbia genera rabbia
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Il film è ambientato ai giorni nostri nel Missouri stato che aveva la schiavitù ma che allo scoppio della guerra civile scese di combattere nell'Unione contro i sudisti e che mantenne la schiavitù fino al al 1865 quando venne abolita da un emendamento costituzionale. La protagonista è Mildred (Frances McDormand) madre cinquantenne separata dal marito che vive con una ragazza di 19 anni e con due figli Robbie di circa 20 anni e Angela di 16 anni che viene stuprate e uccisa, il film inizia 7 mesi dopo la morte della ragazza con la madre che affigge 3 grandi manifesti su dei cartelloni con cui invita la polizia e lo sceriffo Willoughby (Woody Harrelson) a fare le indagini e non limitarsi a controllare i neri, ma la sua iniziativa non viene ben vista.
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Il film è ambientato ai giorni nostri nel Missouri stato che aveva la schiavitù ma che allo scoppio della guerra civile scese di combattere nell'Unione contro i sudisti e che mantenne la schiavitù fino al al 1865 quando venne abolita da un emendamento costituzionale. La protagonista è Mildred (Frances McDormand) madre cinquantenne separata dal marito che vive con una ragazza di 19 anni e con due figli Robbie di circa 20 anni e Angela di 16 anni che viene stuprate e uccisa, il film inizia 7 mesi dopo la morte della ragazza con la madre che affigge 3 grandi manifesti su dei cartelloni con cui invita la polizia e lo sceriffo Willoughby (Woody Harrelson) a fare le indagini e non limitarsi a controllare i neri, ma la sua iniziativa non viene ben vista. In realtà lo sceriffo che è stimato dalla comunità ed è nella fase terminale di un tumore ha fattto quello che era nei suoi poteri per trovare il colpevole, il suo suicidio però modificherà la situazione nel senso che a causa dele lettere dal lui lasciate cambierà, anche se di poco, la vita dei protagonisti tra cui il poliziotto Dixon violento ed irresponsabile che viene cacciato dalla polizia dal nuovo sceriffo (di colore). Non sto a dilungarmi nella trama ma il film mi ha destato notevoli perplessità innanzitutto i personaggi: Mildred è una donna piena di livore e di rabbia che si sente in parte colpevole della morte perché quando fu uccisa la figlia le negò l'auto perché voleva andare al bar a ubriacarsi e disse che non le importava se veniva stuprata, piena di odio incendia la stazione di polizia proprio dopo che è venuto il nuovo sceriffo che ha cercato di mettere ordine nella polizia e riattivando le indagini su Angela. Dixon il poliziotto è una caricatura penosa, dipinto con un quoziente di intelligenza di un bambino di 6 anni violento e irresponsabile che legge in ufficio i fumetti, i poliziotti appaiono dei nulla facienti lo stesso sceriffo Willoughby pur avendo del buon senso non si capisce perché abbia ridotto in questo modo la polizia. Il contorno è di una comunità (bianca) che in base alla dittatura del politically correct viene dipinta piena di pregiudizi, di un livello culturale prossimo allo zero e che passa il tempo lavorando poco e bevendo birra. Il film è lento non salvato dall'interpretazione buona di Frances McDormand e di Woody Harrelson, è francamente noioso tant'é che sembra allo spettatore più lungo dell'ora e 45 minuti effettivi, infarcito di un turpiloquio imbarrazzante con frequenza impressionante come intercalare viene detto c***o e ogni altra parolaccia, con scambi di insulti tra madre e figli di "puttana" e "troia". suscitando le risatine di alcuni spettatori, sarebbe questa la verve comica del film?
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roberto
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giovedì 18 gennaio 2018
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una voce fuori dal coro
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Scusate, ma tra tanti elogi forse una voce fuori dal coro non guasta. A me il film non è piaciuto, non per l'assunto in sè, molto originale, nè per la buona recitazione degli attori, tra tutti la madre, ma per le incongruenze, o meglio le forzature che il regista ha voluto dare per rendere più drammatica la sua storia. Ma vi pare possibile, anche nell' America più profonda, più razzista, più... più... più..., che un poliziotto sfondi a manganellate una porta, scaraventi dalla finestra un giovane. colpisca una sua collega prima di uscire, e colpisca ancora il giovane a terra ? E vi sembre credibile che la protagonista incendi l'ufficio della polizia senza subire alcuna conseguenza, con il nuovo ispettore di colore che si accontenta della sua versione dei fatti e la lascia libera ? E vi è piaciuta la scena familiare, nei modi e nei termini, in cui sono ritratti madre, figlio e figlia un attimo prima che quest'ultima lasciasse (per sempre) la casa ? E che dire del padre, completamente avulso dal contesto e raffigurato come il prototipo del perfetto imbecille, secondo la morale corrente ? Per non parlare del rapporto tra il poliziotto e la madre.
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Scusate, ma tra tanti elogi forse una voce fuori dal coro non guasta. A me il film non è piaciuto, non per l'assunto in sè, molto originale, nè per la buona recitazione degli attori, tra tutti la madre, ma per le incongruenze, o meglio le forzature che il regista ha voluto dare per rendere più drammatica la sua storia. Ma vi pare possibile, anche nell' America più profonda, più razzista, più... più... più..., che un poliziotto sfondi a manganellate una porta, scaraventi dalla finestra un giovane. colpisca una sua collega prima di uscire, e colpisca ancora il giovane a terra ? E vi sembre credibile che la protagonista incendi l'ufficio della polizia senza subire alcuna conseguenza, con il nuovo ispettore di colore che si accontenta della sua versione dei fatti e la lascia libera ? E vi è piaciuta la scena familiare, nei modi e nei termini, in cui sono ritratti madre, figlio e figlia un attimo prima che quest'ultima lasciasse (per sempre) la casa ? E che dire del padre, completamente avulso dal contesto e raffigurato come il prototipo del perfetto imbecille, secondo la morale corrente ? Per non parlare del rapporto tra il poliziotto e la madre....... Suvvia, un buono spunto gettato via in nome del "politicamente corretto" !
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lucascarcello
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giovedì 18 gennaio 2018
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il potere delle parole nell'oblio della verità
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La ribellione necessaria al cambiamento della morale, la ferocia necessaria alla memoria di un segno indelebile, il sense of humour necessario a non cedere al dolore e ai rimpianti. In questa nuova e sconvolgente storia, fuoriuscita dalla straordinaria penna del commediografo e sceneggiatore britannico Martin McDonagh, ci sono tutti gli ingredienti “necessari” a confezionare un’opera cinematografica che arrivi a toccare l’anima di ogni spettatore. Lo spettatore che vuole l’azione e l’adrenalina di un poliziesco - lo spettatore che desidera la quiete di una commedia scanzonata - lo spettatore che brama la profondità di un dramma familiare in cui immedesimarsi - e lo spettatore che esige una morale sociale da legare agli avvenimenti dei nostri tempi.
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La ribellione necessaria al cambiamento della morale, la ferocia necessaria alla memoria di un segno indelebile, il sense of humour necessario a non cedere al dolore e ai rimpianti. In questa nuova e sconvolgente storia, fuoriuscita dalla straordinaria penna del commediografo e sceneggiatore britannico Martin McDonagh, ci sono tutti gli ingredienti “necessari” a confezionare un’opera cinematografica che arrivi a toccare l’anima di ogni spettatore. Lo spettatore che vuole l’azione e l’adrenalina di un poliziesco - lo spettatore che desidera la quiete di una commedia scanzonata - lo spettatore che brama la profondità di un dramma familiare in cui immedesimarsi - e lo spettatore che esige una morale sociale da legare agli avvenimenti dei nostri tempi. C’è veramente tutto questa volta. Dopo l’ottimo esordio alla regia con altre due commedie noir: il cruento In Bruges - La coscienza dell'assassino (2008), di puro stampo britannico, ed il folle 7 psicopatici (2012), dalle dinamiche tipicamente Tarantiniane; il pluripremiato autore teatrale McDonagh riesce a confezionare il perfetto racconto di una piccola umanità di provincia che lotta per restare a galla costantemente in bilico tra bene e male, tra giusto e sbagliato, con personaggi che rivelano come in fondo ad ogni buono si celi un cattivo e viceversa. Un film sul potere delle parole che sradicano l’immobilismo e l’inettitudine delle istituzioni, e l’arretratezza della [non] cultura dell’odio e dell’intolleranza tipica dell’America profonda. Quell’America, Trumpiana e xenofoba, che resta saldamente ancorata ai principi degeneri del passato: l’autorità dell’uomo rude che comanda - l’avversione contro ogni forma di diversità - il moralismo della chiesa che occulta la verità - l’inferiorità mentale della donna in quanto tale - la spettacolarizzazione della vita privata attraverso i media - l’omertà delle masse difronte alle ingiustizie. Denunciare, affrontare, porre delle domande, è questa la chiave di svolta che l’autore mette in mano alla sua protagonista, e che il pubblico dovrebbe imparare a far propria nella sua quotidianità. E che protagonista! La superba Frances McDormand, già premio Oscar in Fargo, e vincitrice questa volta di un Golden Globe come miglior attrice protagonista; interpreta con profonda empatia il personaggio di Mildred Hayes, una donna forte e determinata, che non sorride mai, che veste una tuta da lavoro alla Michael Myers e cammina minacciosa come Clint Eastwood. Ella dovrà lottare per scoprire la verità sulla terribile morte della sua giovane figlia Angela, un fatto di cronaca nera (che ricorda Twin Peaks) di quelli che sconvolgono le piccole comunità, ma al quale ben presto ci si abitua smettendo di indagare o semplicemente di chiedersi il perché. Siamo a Ebbing nel Missouri, una cittadina tranquilla (se escludiamo la “normalità” delle violenze sui neri e sui chierichetti) che sembra isolata dal mondo ed è felice di esserlo. Un giorno Mildred, dopo lunghi mesi di mancate notizie sul caso della figlia stuprata e uccisa proprio fuori città, da qualcuno di introvabile, ha l’idea di affittare tre vecchi cartelloni pubblicitari in disuso per mandare messaggi provocatori a coloro che dovrebbero fare il loro mestiere di investigatori. Lo sceriffo Willoughby, rispettato dalla comunità e interpretato da Woody Harrelson, e il suo vice Dixon, un irascibile idiota e mammone che ha il volto di Sam Rockwell. Questa “idea geniale”, che avrà solo in parte l’effetto sperato, è il motore scatenante di una serie di assurdi avvenimenti che porteranno altro dolore nella vita di Mildred e della sua cittadina, ma soprattutto faranno venire a galla tante verità sulla reale natura delle persone che la abitano. Gente abituata a giudicare il prossimo e ad addossare le colpe sui più deboli; a girarsi dall’altra parte quando avviene un’ingiustizia e a preoccuparsi solo di ciò che avviene nel proprio orticello. Lo stesso titolo originale “Three billboards outside Ebbing, Missouri” lascia meglio intendere che se un’oscura verità come un omicidio, o le dure parole sui manifesti di protesta, prendono luogo “fuori” dal perimetro della città, non possono intaccare l’apparente rispettabilità del suo microcosmo. Questo concetto di chiusura mentale e di ostinata cecità è sottolineato dalle parole dello stesso sceriffo il quale, irritato dall’iniziativa della donna, le fa notare che i manifesti sono posizionati lungo una vecchia strada periferica che nessuno percorre più e che quindi nessuno li avrebbe mai visti a meno che non si fosse perso. Si farà di tutto per impedire il diffondersi della protesta e delle azioni riprovevoli da essa scaturite, ma la verità è che lei non ha violato nessuna legge, e continua quindi ad agire nell’assoluta sicurezza del suo diritto alla libertà di parola, diritto per altro sancito dal 1° emendamento della costituzione americana ma troppo spesso violato dall’autorità di un sistema conservatore. Ciò nonostante l’ostinata determinazione di Mildred (tradotta egregiamente dalla marmorea espressione della McDormand) la spinge a continuare la sua lotta solitaria, consapevole di mettersi tutti contro: i semplici concittadini di cui potrebbe fare a meno, ma anche le persone che le vogliono bene, come ad esempio Robbie, l’altro figlio che vive ancora con lei e che subisce lo scherno dei suoi compagni per colpa della madre. Questo timido ragazzo, che in fondo ama sua madre ed ha sempre saputo scherzare con lei prima del triste episodio, è ora l’unico capace di farle notare quanto sia sbagliato oltrepassare il limite del comune senso di giustizia per ottenere quella che in fondo è solo la risposta al suo infinito dolore. Sono questi i momenti in cui vediamo crollare l’irremovibile durezza di questa donna (abbandonata dal marito) che comprende il suo senso d’impotenza ed è costretta a convivere col rimorso di non aver protetto sua figlia. Le micro sfumature emozionali che leggiamo nella mimica facciale della sua splendida interprete sono poi il guizzo artistico che dona ancor più potenza a dei dialoghi così ben costruiti. Ma non dimentichiamo la pungente ironia e le gag di pura comicità che condiscono la vicenda allo scopo di ammorbidire quel senso di angoscia di fondo che rimane sempre presente, e di ridicolizzare le figure che rappresentano i principi di arretratezza sopra citati. Si ride moltissimo grazie al sarcasmo e alla costruzione dei caratteri. In questo McDonagh non ha nulla da invidiare (anche se gli deve molto) allo stile ironico di Quentin Tarantino o dei fratelli Coen. Uno stile che unisce il noir alla commedia lasciando spazio all’intervento di altri infiniti linguaggi all’interno del racconto. Ed è proprio questo il pregio del film, mescolare i generi in assoluto equilibrio per dar vita a qualcosa che dia il senso di novità pur trattando tematiche classiche come: il dolore della perdita, la ricerca della giustizia, la preservazione dell’amore. Già, l’amore. Un sentimento apparentemente assente in tutti i personaggi di questa strana cittadina, la cui importanza viene però ricordata proprio da colui che non ti aspetti: il macho sceriffo Willoughby. Questo garante dell’ordine su cui gravano tutte le responsabilità, compresa l’inefficienza delle indagini, possiede una profondità d’animo che va oltre le apparenze, e nasconde un segreto che darà vita ad interessantissime svolte sentimentali, provocando negli altri quei cambiamenti morali che crederesti di non vedere mai fino alla fine del film. Il suo rapporto con l’agente Dixon, fatto di fraterna protezione prima, e di paterno insegnamento dopo, è la prova di qualcosa di buono che si nasconde nella figura dei cattivi. Anche qui un grande plauso va alla recitazione di Harrelson e Rockwell sempre bilanciata tra ironia e durezza. Equilibrio e bilanciamento dunque, tra i perni fondamentali per il funzionamento di questa altalena emozionale che non rischia mai di rompere le catene della credibilità narrativa e del gusto estetico raffinato. Una regia pacata e mai ostentata, scevra da virtuosismi e artifici tecnici al punto di sacrificarne la firma riconoscibile, fa sì che non ci si distragga da ciò che è il filo di una storia comunque in cerca di risoluzione fino al finale significativo, mai però intricata ed impegnativa come il più classico dei gialli che mette alla prova anche le capacità investigative di noi spettatori. Qui non si tratta più di indagare, come vorrebbe Mildred, ma di dare un senso al dolore e alla violenza che viviamo quotidianamente, cercando di rimanere su quella che consideriamo la retta via, anche quando scopriamo il nostro lato oscuro. Le strade, costantemente percorse in auto dalla protagonista che vive appunto fuori città per non dire “fuori dal coro”, costituiscono gran parte delle inquadrature che il regista vuole privilegiare, forse per trasmetterci quel senso di distanza emotiva di cui lei ha bisogno, o forse per raccontare le lunghe distese di “nulla” tipiche degli stati centrali americani spesso prolifici di esplosioni di violenza e follia. Quest’ottica aperta su un luogo che tutto sommato trasmette claustrofobia (non vediamo mai oltre la sua casa), dà modo inoltre alla bellissima fotografia di illuminare paesaggi sconfinati e prospettive allungate su cui i tre manifesti dominano come guardiani solenni della libertà. Ma è il montaggio (forse) insieme alla sceneggiatura, la vera arma di rivoluzione stilistica che permette il miracolo della percezione temporale alterata. Ciò significa che dopo la prima ora di visione siamo già stati travolti da tanti di quegli avvenimenti importanti e cambi di direzione inaspettati, per i quali generalmente sono necessari lunghi atti di costruzione di dettagli e di riempimenti rassicuranti, che ci si ritrova a pensare: in fondo, potrebbe anche finire qui! Si va lenti quando serve approfondire gli aspetti drammatici e introspettivi, e si accellera quando si vuole sbattere in faccia allo spettatore tutta la semplicità disarmante che è alla base del soggetto. Niente fronzoli o sovrastrutture che seguano gli standard finora dettati dalla cinematografia mainstream, ma piuttosto quell’anarchica rappresentazione dell’assurdo che generalmente troviamo solo nel cinema così detto “indipendente”. Un film che, a differenza della sua esplicita collocazione geografica (come evidenziato da titolo e locandina), non ha una vera e propria collocazione temporale, tuttavia risulta essere l’esatta riproduzione dei tempi odierni per quanto riguarda i sottotesti di denuncia sociale che alludono alla contemporaneità. Come altri film di questo periodo (Scappa - Get Out ) arriva proprio al momento giusto, e sembra voler lanciare un messaggio a quella sostanziosa fetta di americani rimpinzati di orgoglio patrio al punto di rimpiangere la vita di cento anni fa. E fa proprio sorridere il fatto che a saper dipingere così bene l’anima di un luogo e di un popolo, sia in realtà un inglese proveniente da tutt’altra cultura. Lo stesso inglese che, dopo aver dominato i Golden Globe portandosi a casa ben 4 premi, vedremo quasi sicuramente dominare anche la kermesse degli Oscar 2018, che è un altro baluardo del dominio americano sullo showbiz internazionale. Sarebbero meritatissimi il premio alla migliore sceneggiatura originale, quello alla miglior attrice protagonista, e perché no anche quello al miglior film; se non altro vista l’assenza di competitor di valore in quella che è stata una stagione cinematografica abbastanza avara di capolavori. Non vi resta quindi che scoprire questo meraviglioso esempio di CINEMA, da cui molti dovrebbero imparare, e a cui molti saranno debitori in futuro per l’innovazione che come sempre col tempo si trasforma in ciò che intendiamo come “classico”.
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simi2799
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giovedì 18 gennaio 2018
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il tema sociale americano
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Un film che non rientra in nessuno schema classico quello di McDonagh. "Tre manifesti a Ebbing, Missouri" prende elementi dal thriller, dal giallo, dalla commedia, dando vita ad un carattere volutamente contraddittorio che fonde una vicenda nera e cruda, quella dello stupro e dell'assassinio di una ragazza e della madre disperata (McDormand), che cerca giustizia a tutti costi, ad un'ironia molto insolita. Ironia che sa di Tarantiniano, che abusa di termini volgari, particolarmente iperbolica e si ripercuote anche sulla costruzione stessa dei personaggi e delle loro interazioni. I personaggi principali sono tutti individui fuori dal comune e con caratteristiche particolarmente riconoscibili ma comunque non classificabili dal punto di vista morale.
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Un film che non rientra in nessuno schema classico quello di McDonagh. "Tre manifesti a Ebbing, Missouri" prende elementi dal thriller, dal giallo, dalla commedia, dando vita ad un carattere volutamente contraddittorio che fonde una vicenda nera e cruda, quella dello stupro e dell'assassinio di una ragazza e della madre disperata (McDormand), che cerca giustizia a tutti costi, ad un'ironia molto insolita. Ironia che sa di Tarantiniano, che abusa di termini volgari, particolarmente iperbolica e si ripercuote anche sulla costruzione stessa dei personaggi e delle loro interazioni. I personaggi principali sono tutti individui fuori dal comune e con caratteristiche particolarmente riconoscibili ma comunque non classificabili dal punto di vista morale. La sceneggiatura scade a volte nell'esagerazione ma tutto sommato è stata scritta magistralmente e tradotta ottimamente in pellicola grazie ad un'ottima regia. La prima parte del film procede lentamente: la vicenda si accende con l'azione chiave dello sceriffo Willoughby (Harrelson) , personaggio motore di tutto ciò che accade durante la seconda parte. Finale che non poteva essere più azzeccato: la madre è intenzionata ormai ad andare avanti nella faccenda, nonostante sia consapevole che l'uomo non sia quello giusto, ma pur sempre uno stupratore. La giustizia della donna si dimostra non limitata al proprio tornaconto, perchè combattere i diretti colpevoli dell'omicidio della figlia diventa combattere contro tutto ciò che c'è di marcio nel mondo. Interpretazione degli attori principali encomiabile.
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alessandro
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mercoledì 17 gennaio 2018
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tre manifesti a ebbing, missouri
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Quasi perfetto, ovvero perfetto se non ci fosse una dose di buonismo di troppo nel finale, che pure è accettabile se lo si mette nel conto della convenzione dei buoni sentimenti malgrado tutto, tipicamente statunitense. Averne di film così...
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angeloumana
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mercoledì 17 gennaio 2018
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come ti costruisco un oscar
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Tanto parlarne, tanta pubblicità e giudizi celebrativi ma poi è il solito film americano con così tante trovate, colpi di scena e rivelazioni dell'ultima ora, per attrarre il maggior pubblico possibile. Questa è la legge degli Oscar o delle americanate: drammatizzare al punto giusto, i cattivi e i buoni al loro posto, ma i cattivi con l'esempio dei buoni forse finiscono per diventare buoni pure loro. Una colonna sonora altrettanto celebrativa e solenne, come quella che si sente mentre brucia un posto di polizia, la violenza gratuita giusto per aumentare il pathos, l'attesa da thriller, una spolveratina su temi sociali, sulla chiesa, sui negri che si devono chiamare “di colore” e sulla polizia che li persegue a prescindere.
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Tanto parlarne, tanta pubblicità e giudizi celebrativi ma poi è il solito film americano con così tante trovate, colpi di scena e rivelazioni dell'ultima ora, per attrarre il maggior pubblico possibile. Questa è la legge degli Oscar o delle americanate: drammatizzare al punto giusto, i cattivi e i buoni al loro posto, ma i cattivi con l'esempio dei buoni forse finiscono per diventare buoni pure loro. Una colonna sonora altrettanto celebrativa e solenne, come quella che si sente mentre brucia un posto di polizia, la violenza gratuita giusto per aumentare il pathos, l'attesa da thriller, una spolveratina su temi sociali, sulla chiesa, sui negri che si devono chiamare “di colore” e sulla polizia che li persegue a prescindere. Mildred, l'attrice più rappresentativa o protagonista, che ha avuto una figlia ammazzata ma ha le risposte e il phisique du role per dire e fare la cosa giusta, che altri naturalmente alla fine loderanno, e le risposte sempre pronte da burbera benefica. Non c'è sentimento, solo i conflitti di un microcosmo forse rappresentativo dell'America, forse, i buoni contro i cattivi come al solito. Il finale resta aperto, e meno male che si conclude così perché dopo le due ore non restava che dormirci sopra anche con ulteriori trovate. Un film ben acconciato per vincere premi e rientrare dagli investimenti fatti. Ma il dubbio resta: che un presunto Oscar non valga un Orso d'Oro, una Palma o un Leone, e forse nemmeno un festival di Toronto, Locarno, Nashville o San Sebastiàn. Saranno bambinoni questi americani che si fanno piacere spettacoli ben preparati perché the show must go on? "Quando la voglia di vendetta va oltre la legge" dice un sottotitolo, ed è già di per sé rappresentativo di qualcosa di epico che accadrà, con la musica giusta: per favore, americani o britannici, allontanate da noi questo calice.
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excalibur
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martedì 16 gennaio 2018
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rabbia genera rabbia
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tralascio la trama ma dopo 20 minuti di film mi sorgono i dubbi .E' un film dei fratelli choen ? cè la mc dormand (moglie nella vita di un choen) fantastica interprete in Fargo la poliziotta , c è w. harrelson ( interprete anche se marginale in questo paese non è per i vecchi ) . l'atmosfera è la stessa dei choen .il film parte lentissimo per lievitare sempre di più con un finale perfetto . il cuore del film è la rabbia che genera rabbia a catena e , poi , improvvisamente la rotta si inverte grazie alle lettere lasciate dallo sceriffo suicida . Lettere da ANTOLOGIA del cinema ( specialmente quella data alla moglie ) da leggere da .
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tralascio la trama ma dopo 20 minuti di film mi sorgono i dubbi .E' un film dei fratelli choen ? cè la mc dormand (moglie nella vita di un choen) fantastica interprete in Fargo la poliziotta , c è w. harrelson ( interprete anche se marginale in questo paese non è per i vecchi ) . l'atmosfera è la stessa dei choen .il film parte lentissimo per lievitare sempre di più con un finale perfetto . il cuore del film è la rabbia che genera rabbia a catena e , poi , improvvisamente la rotta si inverte grazie alle lettere lasciate dallo sceriffo suicida . Lettere da ANTOLOGIA del cinema ( specialmente quella data alla moglie ) da leggere da .... rileggere . Parte tutto dall 'aranciata che il ragazzo da al suo aguzzino che però un attimo prima gli ha chiesto scusa . la mc dormand fà un interpretazione fredda ,asciutta , perfetta ... tutti bravissimi . un critico una volta scrisse QUANDO IL REGISTA ,LO SCENEGGIATORE , GLI ATTORI , IL MUSICISTA SONO IN UNO STATO DI GRAZIA .. ALLORA NASCE UN CAPOLAVORO . per favore andatelo a vedere . excalibur.
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flyanto
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martedì 16 gennaio 2018
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la disperazione di una donna forte e batatgliera
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I tre manifesti a cui il titolo del film ("Tre Manifesti a Ebbing, MIssouri") si riferisce sono i cartelloni che una madre, disperata, fa affiggere sulla strada che porta al suddetto paese, al posto dei cartelloni pubblicitari, come monito ed allo stesso tempo incitamento alla Polizia locale a condurre in maniera decisa e seria le indagini per trovare il colpevole che le ha violentato ed ucciso la figlia adolescente. Secondo la donna, infatti, le Forze dell'Ordine non si sono affatto preoccupate a dovere del caso che hanno, invece, condotto in maniera superficiale e sbrigativa e pertanto ella si trova costretta ad arrivare a quest'ultimo, e quanto mai singolare, tentativo dei cartelli al fine di spronare i 'cops' a renderle giustizia.
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I tre manifesti a cui il titolo del film ("Tre Manifesti a Ebbing, MIssouri") si riferisce sono i cartelloni che una madre, disperata, fa affiggere sulla strada che porta al suddetto paese, al posto dei cartelloni pubblicitari, come monito ed allo stesso tempo incitamento alla Polizia locale a condurre in maniera decisa e seria le indagini per trovare il colpevole che le ha violentato ed ucciso la figlia adolescente. Secondo la donna, infatti, le Forze dell'Ordine non si sono affatto preoccupate a dovere del caso che hanno, invece, condotto in maniera superficiale e sbrigativa e pertanto ella si trova costretta ad arrivare a quest'ultimo, e quanto mai singolare, tentativo dei cartelli al fine di spronare i 'cops' a renderle giustizia. Ma la protagonista incontra soltanto una forte ostilità da parte di quasi tutto il paese in cui vive, esponenti della Polizia compresi (ad eccezione del più umano e comprensivo capo), e pertanto ella si trova costretta lottare strenuamente da sola contro tutti. Vari eventi si susseguiranno in un crescendo sempre maggiore inaspettato e rivelatore di bassezze umane.
Il regista Martin Mc Donagh, già autore dell'ottimo e riuscitissimo suo esordio "In Bruges", torna sullo schermo con questa commedia "dark" , estremamente drammatica nel contenuto e framezzata da una costante, intelligente ed acuta ironia. La disperazione della protagonista, peraltro magnificamente interpretata dall'attrice Frances Mc Dormand, viene 'stemperata' dai dialoghi brillanti, diretti e spesso coloriti di espressioni forti, e, anche se le situazioni sono tragiche, l'andamento in sè dell'intera storia acquista un andamento più lieve che però non trascura e tralascia mai la drammaticità di fondo degli eventi. Insomma, un perfetto equilibrio tra dramma e commedia allo stesso tempo. Il cast di attori, inoltre, si rivela per intero all'altezza dei ruoli con la Dormand che, ovviamente, spicca notevolmente su tutti tanto da meritare il Golden Globe ed essere candidata alla futura cerimonia degli Oscar. Ma anche Woody Harrelson, il capo della Polizia e Sam Rockwell, il poliziotto violento e razzista, ben sostengono il confronto con la Dormand. Insomma, un film eccellente (meritatissima la premiazione all'ultimo Festival di Venezia) in cui anche gli avvenimenti vengono ben presentati e scanditi in una tempistica ideale e sempre in evoluzione crescente che tiene vivo quanto mai l'interesse dello spettatore.
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