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martedì 16 gennaio 2018
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delusione
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il soggetto e' interessante, ma la sceneggiatura non e' all'altezza, infarcire i dialoghi di volgarita' non sempre significa 'essere realisti', 'colpi di scena' forzati , mi da' l'impressione di incompiutezza, si' surreale, ma nel peggior senso del termine. Due stelle solo per l'interpretazione della protagonista, altrimenti sarebbe una stella, per me.
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dariobottos
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lunedì 15 gennaio 2018
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nuova puntata del medioevo americano
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Film formalmente bello, teso, robusto, maturo.
Però, volendo azzardare un giudizio sul messaggio piuttosto che uno estetico sul medium, lo direi fortemente irritante, sgradevole nelle situazioni e nei personaggi. Da tempo il sogno americano è diventato nell'immaginario collettivo un mezzo incubo, e questo film lo conferma: la pancia degli USA è una distopia sociale, il paese dell'oro è diventato il paese del piombo, degli uomini di piombo, non solo del piombo delle pallottole. Tutto è pesante, incapace di uscire dai confini dell'io, del paese, della comunità, precipitato in un medioevo dove vendetta e giustizia si confondono, l'astio brucia i rapporti, la solitudine avvolge tutti come una nebbia.
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Film formalmente bello, teso, robusto, maturo.
Però, volendo azzardare un giudizio sul messaggio piuttosto che uno estetico sul medium, lo direi fortemente irritante, sgradevole nelle situazioni e nei personaggi. Da tempo il sogno americano è diventato nell'immaginario collettivo un mezzo incubo, e questo film lo conferma: la pancia degli USA è una distopia sociale, il paese dell'oro è diventato il paese del piombo, degli uomini di piombo, non solo del piombo delle pallottole. Tutto è pesante, incapace di uscire dai confini dell'io, del paese, della comunità, precipitato in un medioevo dove vendetta e giustizia si confondono, l'astio brucia i rapporti, la solitudine avvolge tutti come una nebbia.
Volendo si potrebbero contare nella storia momenti di speranza, ma sembrano solo le illusioni effimere di singoli individui, bagliori nella nebbia, fuochi fatui.
Si esce dalla sala con un senso di angoscia.
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howlingfantod
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lunedì 15 gennaio 2018
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antigone nel missouri
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Film dalle atmosfere coeniane, gli stessi che hanno diretto la bravissima Frances McDormand in loro altre opere fra le quali Fargo dove la McDormand interpreta il ruolo dello sceriffo. In questo superbo thriller dallo humour nero firmato da Martin McDonagh, la protagonista Mildred (Frances McDormand, fra l’altro proprio la moglie di Joel Coen), interpreta il ruolo di una madre divorata dai sensi di colpa alla quale è stata brutalmente uccisa la figlia. Il suo unico scopo è quello di ottenere giustizia con ogni mezzo, fino all’ultima ratio della vendetta, scavalcando anche la legge, quella che dovrebbe risolvere il caso, incarnando appieno quello spirito in parte anarcoide e libertario del paese dei pionieri.
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Film dalle atmosfere coeniane, gli stessi che hanno diretto la bravissima Frances McDormand in loro altre opere fra le quali Fargo dove la McDormand interpreta il ruolo dello sceriffo. In questo superbo thriller dallo humour nero firmato da Martin McDonagh, la protagonista Mildred (Frances McDormand, fra l’altro proprio la moglie di Joel Coen), interpreta il ruolo di una madre divorata dai sensi di colpa alla quale è stata brutalmente uccisa la figlia. Il suo unico scopo è quello di ottenere giustizia con ogni mezzo, fino all’ultima ratio della vendetta, scavalcando anche la legge, quella che dovrebbe risolvere il caso, incarnando appieno quello spirito in parte anarcoide e libertario del paese dei pionieri. I tre manifesti del titolo sono proprio l’urlo di una madre che ha perduto l’affetto più grande e che scardina la cittadina del Missouri dal torpore e l’accattonaggio morale con la sua determinazione all’ottenere giustizia. Willoughby, lo sceriffo di Ebbing dice: “ci ha dichiarato guerra”. Tutto il film è la piccola grande guerra di Mildred contro tutto e tutti per ottenere giustizia per sua figlia, in primis contro la polizia inetta e razzista. Tema secondario del film è il razzismo, del quale proprio la polizia sembra farsi interprete come Mildred denuncia alla troupe televisiva “la polizia è troppo impegnata a torturare la gente di colore per risolvere un crimine vero”. Il film parla anche dei vizi di quella cosiddetta America profonda, sembra quasi di trovarsi in un racconto di Flannery O’Connor , forse non a caso “citata” nel pubblicitario che stampa i manifesti e che si può notare intento a leggere un suo libro quando Mildred si presenta nel suo ufficio, quell’America e quei luoghi, dove il razzismo, la paura, il conformismo pseudo-religioso porta tutti quanti a rintanarsi nelle più rassicuranti convenzioni, magari poi accorgendoci che queste derivano da trascorsi più o meno traumatici, come nella figura dell’agente Dixon (Sam Rockwell) succube della madre, presumibilmente gay, personaggio bellissimo che nel corso della narrazione sviluppa una propria progressione etica e trasformazione, proprio lui l’inetto, il razzista, il balordo, anche se con la divisa e che lo porta ad essere una delle figure più potenti dell’ intero film. La sceneggiatura è sontuosa, non a caso ha fatto incetta di riconoscimenti ovunque e tiene lo spettatore incollato alla poltrona fino alla fine. L’anelito e il dilemma morale è quello che spinge lo spettatore a dover prendere posizione. Se è normale parteggiare da subito per Mildred, nel corso del film, soprattutto dopo il suicidio dello sceriffo, per il cancro che lo sta divorando e non per le implicite accuse mossegli, dopo le sue commoventi lettere lasciate alla moglie, a Dixon e a Mildred stessa, qualche dubbio si può insinuare nello spettatore e il dilemma come nell’Antigone Sofoclea diviene quello tra la legge degli uomini e quella del sangue. Il plot originario si snoda in un complicato intreccio da thriller poliziesco per scoprire l’assassino. Se la locale polizia poteva apparire quantomeno complice omertosa del brutale omicidio, man a mano si insinuano più profonde riflessioni sulla stessa liceità del rispondere alla rabbia con la rabbia. La frase a suo modo ingenua gettata come un sasso nello stagno dalla altrettanto ingenua compagna diciannovenne dell’ ex marito di Mildred. “La rabbia genera altra rabbia”, è come una dolce farfalla che spiega le ali in un altrimenti crudo far west dei sentimenti dove vige la legge del più forte. Bellissimo in tal senso il brano della lettera post-mortem che lo sceriffo Willoughby consegna all’agente Dixon dicendogli che per fare il detective, quello a cui l’agente aspira, serve l’amore, proprio questo, quella cosa che declinata al proprio lavoro, ma anche in senso più ampio è la cura del dettaglio. Il tutto è condito da un humour folgorante, brutale e sanguigno (anche in senso letterale), su tutte basterebbe la scena di Mildred che strappa di mano il trapano al suo dentista, il quale aveva fatto un esposto contro i manifesti affissi e che viene trafitto all’ unghia da Mildred con lo stesso. La scelta morale su da quale parte stare è lasciata a noi spettatori con un bellissimo finale aperto degno di questo grandioso film, quando Mildred e l’ispirato agente Dixon completando il proprio riscatto morale, decidono di avviarsi in auto per andare a uccidere uno stupratore, anche se a questo punto sappiamo non essere quello della figlia di Mildred, come una sorta di giustizia divina che sopraggiunge, o forse no, non lo faranno chiudendosi il film con i due in auto che si confessano i propri dubbi su quello che avevano deciso di intraprendere e si riservano di decidere strada facendo. E siamo ai titoli di coda, con MyMovies dallo schermo nero che consiglia il film ed io che proprio da MyMovies lo consiglio a tutti.
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(di esaudisci)
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opidum
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lunedì 15 gennaio 2018
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consigliato
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film molto crudo e triste ma davvero ben scritto e recitato.
fenomenale sam rocwel che spero vinca l'oscar
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robertalamonica
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lunedì 15 gennaio 2018
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la parola scritta, il fuoco, la madre.
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‘Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri’ (‘Three Billboards outside Ebbing, Missouri’2017) è il film del momento, quello di cui tutti parlano dalla recente vittoria dei Golden Globe in 4 categorie e dall’apprezzamento unanime dell’interpretazione inarrivabile di Frances Mcdormand, già in odore di Oscar.
Dopo ‘In Bruges’ e ‘Seven Psychopaths’ Martin McDonagh, regista e commediografo inglese di origini irlandesi, si presenta alla stagione degli Awards con un film molto bello e con interpretazioni da parte di tutto il cast davvero notevoli.
LA STORIA: Mildred Hayes (Frances Mcdormand) cerca e vuole giustizia per la morte violenta della figlia Angela avvenuta sette mesi prima e ritenendo superficiali e lacunose le indagini svolte dalla Polizia, affitta tre spazi pubblicitari in una strada secondaria poco fuori dalla cittadina in cui vive, Ebbing appunto, sui quali scaglia la sua denuncia: “Violentata mentre agonizzava”, “Ancora nessun arresto?” e “Come è possibile, Comandante Willoughby?”
LA PAROLA SCRITTA: Perché in un mondo tecnologicamente avanzato e cablato fino ai suoi più estremi confini, c’è qualcuno che sente il bisogno di gridare il proprio dolore e la propria rabbia su cartelloni pubblicitari in disuso? Perché non fare un post su Facebook o un twit su Twitter? Perché non andare in uno show televisivo di quelli in cui si piange tanto e ci si scandalizza di più?
Perché il nero del crimine e della morte e il rosso del sangue e dell’amore siano di incessante monito a tutti coloro che passeranno per quella strada secondaria.
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‘Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri’ (‘Three Billboards outside Ebbing, Missouri’2017) è il film del momento, quello di cui tutti parlano dalla recente vittoria dei Golden Globe in 4 categorie e dall’apprezzamento unanime dell’interpretazione inarrivabile di Frances Mcdormand, già in odore di Oscar.
Dopo ‘In Bruges’ e ‘Seven Psychopaths’ Martin McDonagh, regista e commediografo inglese di origini irlandesi, si presenta alla stagione degli Awards con un film molto bello e con interpretazioni da parte di tutto il cast davvero notevoli.
LA STORIA: Mildred Hayes (Frances Mcdormand) cerca e vuole giustizia per la morte violenta della figlia Angela avvenuta sette mesi prima e ritenendo superficiali e lacunose le indagini svolte dalla Polizia, affitta tre spazi pubblicitari in una strada secondaria poco fuori dalla cittadina in cui vive, Ebbing appunto, sui quali scaglia la sua denuncia: “Violentata mentre agonizzava”, “Ancora nessun arresto?” e “Come è possibile, Comandante Willoughby?”
LA PAROLA SCRITTA: Perché in un mondo tecnologicamente avanzato e cablato fino ai suoi più estremi confini, c’è qualcuno che sente il bisogno di gridare il proprio dolore e la propria rabbia su cartelloni pubblicitari in disuso? Perché non fare un post su Facebook o un twit su Twitter? Perché non andare in uno show televisivo di quelli in cui si piange tanto e ci si scandalizza di più?
Perché il nero del crimine e della morte e il rosso del sangue e dell’amore siano di incessante monito a tutti coloro che passeranno per quella strada secondaria. Una strada secondaria in cui le parole, quelle scritte su ‘carta’, hanno ancora un senso e pesano come macigni sulle coscienze degli abitanti di Ebbing. Parole in cui leggere il dolore della perdita e l’odio per l’immobilismo delle istituzioni; parole che fungono da epitaffio a una figlia sulla cui tomba non si può piangere; parole che, nonostante l’incipit è parte del film sembri suggerire il contrario, cercano fino alla fine di comunicare con il mondo e di interagire con gli esseri umani .
IL FUOCO: Mildred, la protagonista di Tre Manifesti, in una scena topica del film tenta di estinguere l’incendio doloso dei manifesti con i limitati e inefficienti mezzi a sua disposizione.
Il fuoco ha avvolto la figlia Angela dopo lo stupro e il fuoco brucia la stazione di Polizia e il volto dell’agente Dixon (Sam Rockwell, anch’egli praticamente con la Statuetta in mano). Il fuoco unisce indissolubilmente Mildred, l’odioso Dixon e la defunta Angela. Li rende indistinti, parte della stessa Storia, aspetti non differenziati della stessa umanità.
Mildred e Dixon,dietro le apparenze, hanno una propensione prometeica alla filantropia, alla ribellione e al ‘questioning’ dell’autorità stabilita che è tanto più sorprendente nell’agente Dixon perché del tutto imprevedibile.
Al fuoco viene attribuito potere di cambiamento tramite la combustione e la conseguente rimozione dei ‘confini’ e dei ‘limiti’, siano essi mentali, spirituali o fisici o anche i pensieri infimi: la crescente potenza distruttrice del fuoco nell’arco del film porterà all’inaspettato finale dello stesso, rubando il fuoco all’odio e portandolo verso nuove possibilità.
GOD BLESS THE USA? "Salus populi suprema lex esto". Ma sarà proprio così?
Tre Manifesti è ambientato a Ebbing, nel Missouri. Il titolo originale ‘Three billboards outside Ebbing, Missouri’, mette in evidenza un messaggio importante per l’interpretazione del film: i manifesti sono ‘fuori’ dalla cittadina di Ebbing ma ‘all’interno’ dello stato del Missouri. Quel Missouri teatro di violente sommosse sociali nel 2014 per l’uccisione di Michael Brown, quello stato che, pur essendo geograficamente classificato nel Midwest, è storicamente e politicamente uno Stato del Sud. Mc Donagh, inglese, riesce comunque a tratteggiare un ritratto assolutamente fedele degli usi e costumi dell’America di Trump. La gente di Ebbing è schietta, diretta ma anche razzista, sessista e più preoccupata dello scandalo e del ‘fastidio’ arrecato all’autorità rappresentata dallo sceriffo Willoughby (il sempre ottimo Woody Harrelson) che della mancata soluzione all’omicidio atroce di una ragazza di 17 anni. In quest’ottica, Mildred diventa la metafora di un’America che grida e si oppone alla violenza e all’ingiustizia; Willoughby la metafora dell’incapacità delle Istituzioni di affrontare i problemi giganteschi con cui si deve confrontare quotidianamente e Dixon il risultato di anni di politiche sociali ed educative basate sul pregiudizio e la discriminazione che si sono infiltrate subdolamente nel reticolo sociale americano a tutti i livelli.
E’ per questa ragione che Mildred e i suoi manifesti sono ai margini una società e di una strada laterale che porta a una cittadina fuori dal mondo ma diventano emblema di un mondo che cerca Prometeo e il suo fuoco per potersi purificare.
Senza l’intervento salvifico e vivificatore del fuoco, Mildred non avrebbe scampo né possibilità di redenzione e salvezza.
LA MADRE: se si può usare il termine ‘famiglia disfunzionale’ in un contesto adeguato, direi che Tre manifesti è quello giusto. Una madre che torreggia terribile su tutta la Famiglia. La sua e la famiglia costituita dalla comunità di Ebbing cui riserva lo stesso trattamento aspro e anaffettivo. Mildred non è la mamma modello che fa le torte e la raccolta fondi per la scuola. Mildred tollera che la figlia fumi erba e che le risponda in modo sgarbato e irrispettoso; prende a calci tre adolescenti rei di aver lanciato un cartone di latte sulla sua automobile; guida in stato di ebbrezza con i figli piccoli in auto; non tiene in alcuna considerazione il fatto che se Angela è morta, c’è un figlio adolescente che raccoglie briciole d’amore e valanghe di rabbia e dolore da parte di sua madre.
Non è pivotale in relazione all’evoluzione della storia il fatto che Mildred sia una donna maltrattata tra le mura domestiche. Il suo personaggio ribalta l’archetipo della Mater Dolorosa di matrice cristiana e la riporta all’impeto precristiano di una Furia vendicativa. Mildred è un’incendiaria, anticlericale, indomita bastarda. Una John Wayne con bandana e tuta da lavoro. Non c’è traccia di emozione e partecipazione nelle sue scelte. Fa ciò che è giusto fare e prende atto dell’impossibilità di fare altrimenti. A nulla servono le parole di conciliazione offerte da Willoughby “Nessuno di quei manifesti ti ridarà tua figlia”. Lui vorrebbe darle una chiave di lettura su come affrontare la vita in un mondo che ammazza i suoi figli e non si cura più di tanto di trovare il colpevole ma non gli riesce. Mildred potrà tornare a vivere solo dopo essere passata attraverso la forza distruttrice e rigeneratrice del fuoco.
Eppure, l’incontro con la cerbiatta e il suo fantasticare sull’ipotesi che l’animale possa essere una reincarnazione di Angela, il suo orgoglioso sottolineare che per quanto bella non è Lei, la cura dei fiori sotto i manifesti e quell’ ”Oh, Baby!” sussurrato a Willoughby che le ha appena letteralmente ‘vomitato in faccia’ la sua condizione di malato terminale, lasciano intravvedere tratti di tenerezza materna e di delicata femminilità in Mildred che disorientano lo spettatore e anticipano certe scelte nel finale.
I LIMITI: Nonostante le superbe interpretazioni da parte di tutto il cast (e in questa analisi ho trascurato il superbo Peter Dinklage, Caleb Landry Jones e la promettente Kerry Condon), c’è qualcosa che manca perché lo si possa considerare un capolavoro indimenticabile. Il background teatrale di McDonagh dà ai dialoghi naturalezza e vigore e una naturale verve comica che li rende a tratti irresistibili. Eppure la regia risente in modo percettibile dell’esperienza teatrale dando al film tratti di rigidità e poca fluidità nella sceneggiatura. Talvolta si ha la sensazione di guardare una serie TV e la struttura quasi episodica del film concorre a rinforzare questa impressione.
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paolp78
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domenica 14 gennaio 2018
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un dramma reso in commedia
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Il merito maggiore di questo film è quello di avere operato la scelta originalissima di trattare un terribile dramma in chiave leggera, a tratti persino umoristica.
Si tratta di una scelta molto rischiosa, ma a mio avviso l'operazione è pienamente riuscita.
Così su due piedi, non ricordo altre pellicole capaci di trattare tematiche così strazianti, per altro unite a numerosi ulteriori accadimenti violenti e gravi, con modalità così divertenti.
Da questa coraggiosa commistione ne scaturisce una pellicola davvero fuori dall'ordinario per la sua capacità di suscitare le più diverse emozioni: dalla commozione alla risata, dalla rabbia alla pietà.
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Il merito maggiore di questo film è quello di avere operato la scelta originalissima di trattare un terribile dramma in chiave leggera, a tratti persino umoristica.
Si tratta di una scelta molto rischiosa, ma a mio avviso l'operazione è pienamente riuscita.
Così su due piedi, non ricordo altre pellicole capaci di trattare tematiche così strazianti, per altro unite a numerosi ulteriori accadimenti violenti e gravi, con modalità così divertenti.
Da questa coraggiosa commistione ne scaturisce una pellicola davvero fuori dall'ordinario per la sua capacità di suscitare le più diverse emozioni: dalla commozione alla risata, dalla rabbia alla pietà.
Si tratta quindi di una pellicola che assolve egregiamente al compito di intrattenere lo spettatore, offrendo un autentico spettacolo, molto coinvolgente, divertente e piacevole.
Al contempo il film non rinuncia ad affrontare tematiche morali e di impegno sociale: la solidarietà umana verso chi si trova in difficoltà, la necessità di elaborare il lutto e di
superare i sensi di colpa, il valore della convivenza serena entro la propria comunità.
Ottime le interpretazioni, particolarmente intensa ed espressiva quella di Frances McDormand che è anche l'attrice più presente in scena.
La sceneggiatura infine costituisce il sicuro punto di forza della pellicola, seppure nella parte conclusiva mi pare che faccia l'errore di scadere in un eccessivo buonismo, che forse poteva essere evitato.
Con il finale, che sicuramente non appagherà tutti gli spettatori, si palesa compiutamente il chiaro intento pedagogico della pellicola.
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vanessa zarastro
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domenica 14 gennaio 2018
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chi ha votato trump?
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Siamo nel middle-of-nowhere, nel cuore e centro degli Stati Uniti: il Missouri, presumibilmente ai giorni d’oggi. La piccola cittadina è concentrata lungo in una Main street con la stazione dello sceriffo e il saloon, reminiscenze di un classico western. La vicenda è difficilmente databile perché, purtroppo, le tematiche trattate nel film come il razzismo, l’omofobia, la violenza, lo stupro e la latitanza delle Istituzioni, potrebbero essere uguali oggi come negli anni ’80 o ’90.
Tre Billboards Outside Ebbing, Missouri narra la storia di Mildred Hayes (interpretata dalla strepitosa Frances McDormand) una donna dura, brusca, abituata a risolversi da sola i problemi man mano che le si presentano.
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Siamo nel middle-of-nowhere, nel cuore e centro degli Stati Uniti: il Missouri, presumibilmente ai giorni d’oggi. La piccola cittadina è concentrata lungo in una Main street con la stazione dello sceriffo e il saloon, reminiscenze di un classico western. La vicenda è difficilmente databile perché, purtroppo, le tematiche trattate nel film come il razzismo, l’omofobia, la violenza, lo stupro e la latitanza delle Istituzioni, potrebbero essere uguali oggi come negli anni ’80 o ’90.
Tre Billboards Outside Ebbing, Missouri narra la storia di Mildred Hayes (interpretata dalla strepitosa Frances McDormand) una donna dura, brusca, abituata a risolversi da sola i problemi man mano che le si presentano. Gestisce un negozio di gadget e oggettini inutili, coadiuvata da un’amica nera. Il marito l’ha lasciata per una giovane diciannovenne e lei deve crescere due figli adolescenti Angela (Kathryn Newton) e Robbie (Lucas Hedges già notato come Patrick in Mancester-by-the-Sea). La figlia un giorno viene uccisa e stuprata, ma dopo sette mesi non si sa ancora nulla dell’assassino e non ci sono né indagati né sospetti.
Mildred esasperata affetta tre billboards su una stradale secondaria (dove avvenne la tragedia) e ci fa scrivere frasi di frustrazione e di accusa nei confronti dei poliziotti, o meglio del suo capo, lo sceriffo Bill Willoughby (il bravissimo Woody Harrelson). Questa decisione attira l’attenzione dei media sul caso irrisolto dell’assassinio di sua figlia, ma sarà mal vista sia dalla polizia locale sia da molti abitanti benpensanti di Ebbing. Da lì tutta una serie di inconvenienti a catena. “La violenza genera violenza” viene ripetuto, e niente di più vero. L’escalation della violenza è malauguratamente un elemento caratteristico del film.
Il regista Martin McDonagh ha un linguaggio sulla scia dei fratelli Coen ma è più asciutto. Le sue figure sono molto bene sfaccettate e si ritrova sempre del buono nel cattivo e viceversa. La stessa protagonista da vittima, tende a passare carnefice nell’ostinata ossessione di farsi giustizia da sola. I dialoghi essenziali sono scritti con grande precisione. Qua e là McDonaugh fa l’occhiolin al teatro, basti pensare alla scena in cui lo sceriffo e la sua giovane moglie, scherzino a letto insieme, citando Shakespeare e Oscar Wilde.
Per fortuna il regista è dotato di forte ironia e spesso le sue “maschere” sono grottesche – pur rimanendo estremamente reali – e in alcuni punti diventano persino comiche. L’edipico e represso vice-sceriffo Jason Dixon (interpretato magistralmente da Sam Rockwell) che vive con la madre autoritaria, il capo della polizia che, malato di cancro, scrive lettere post-morten dando consigli ai vari personaggi. Il corteggiatore nano che si vive la sua frustrazione, lo sbruffone macho che si vanta di conquiste forzose, il neo-sceriffo nero che insinua il dubbio nei soggetti tendenzialmente psicopatici e così via.
Il regista britannico Martin McDonagh è un affermato drammaturgo al suo secondo lungometraggio, già pluri-premiato ai Golden Globe (miglior film drammatico, migliore sceneggiatura, migliore attrice protagonista, migliore attore non protagonista). I tre personaggi principali sono recitati in modo fantastico, pertanto,Tre manifesti a Ebbing, Missouri parte in pole position per gli Oscar 2018.
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(di enricodanelli)
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maurizio.meres
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domenica 14 gennaio 2018
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una sceneggiatura superlativa
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Siamo in una delle tante cittadine degli Stati Uniti,dove tutti sanno di tutti,non ci sono svaghi e l'unico che la città conosce è l'intolleranza dell'uno verso l'altro,una forma di razzismo radicata è propensa all'odio reciproco,il tutto controllato si fa per dire da uno sceriffo di contea che diventa suo malgrado il padre padrone di una cittadinanza assente e mentalmente radicata ad una sofferenza esistenziale dove anche un assassinio per stupro di una ragazza diventa un fastidio sociale,è una madre che non si arrende per il fatto che nessuno indaghi,ma soprattutto l'indifferenza totale crea uno scompiglio alle forze dell'ordine,perennemente dormienti.
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Siamo in una delle tante cittadine degli Stati Uniti,dove tutti sanno di tutti,non ci sono svaghi e l'unico che la città conosce è l'intolleranza dell'uno verso l'altro,una forma di razzismo radicata è propensa all'odio reciproco,il tutto controllato si fa per dire da uno sceriffo di contea che diventa suo malgrado il padre padrone di una cittadinanza assente e mentalmente radicata ad una sofferenza esistenziale dove anche un assassinio per stupro di una ragazza diventa un fastidio sociale,è una madre che non si arrende per il fatto che nessuno indaghi,ma soprattutto l'indifferenza totale crea uno scompiglio alle forze dell'ordine,perennemente dormienti.
Bellissimo film di un America intollerante,squallida,senza principi,chiusa in una specie di setta,con una sceneggiatura impeccabile,profonda,intensa frammentata da un umorismo triste e cupo dove il dover ridere diventa un obbligo abitudinario per lo spettatore,ambientazione grigia,essenziale e soprattutto triste.
L'ottimo regista Martin McDnagh spazia tra i vari stati d'animo di tutti i personaggi con una facilità sorprendente riuscendo addirittura nel far uscire dal profondo umano un buonismo mescolato all'odio.
Interpretazione magistrale di Frances McDormand che interpreta la madre della ragazza uccisa,recita ma soprattutto si esprime con sguardi profondi,con grande intensità,un personaggio creato per lei,ottimo anche Sam Rockwell,che recita la parte del poliziotto stupido e superficiale,veramente un ottima interpretazione meritevole del premio ricevuto ai Golden Globes come attore non protagonista,senza dimenticare lo sceriffo interpretato da Woody Harrelson
Per gli amanti del grande cinema è un obbligo vederlo ed apprezzarlo per la completezza cinematografica dov'è tutti gli ingredienti che necessitano affinché un film diventi perfetto ci sono tutti.
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manuelazarattini
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domenica 14 gennaio 2018
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mildred che non sorride mai
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Il personaggio di Mildred è interpretato magnificamente e rappresenta in modo pieno tutto il dolore ma anche il rimorso di una madre verso quella figlia tragicamente persa. Ma anche gli altri personaggi sono toccanti: lo sceriffo dolorosamente consapevole della sua malattia, Jason il poliziotto "non poliziotto". E alla fine Mildred un sorriso riuscirà a farlo. Bellissimo.
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