goldy
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venerdì 11 settembre 2020
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l''america riflette
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La struggente melodia di "The last rose of summer" nei titoli di testa è quanto di più ingannevole si possa immaginare e viene immediatamente contrapposta allo strazio sopportato dalla protagonista Mildred . Ambientato nel Missouri, trerra di immensi spazi dove la solitudine, il razzismo e le leggi della sopravvivenza hanno dato origine alla consuetudine del crimine o all'apologia della brutalità, Sembra dominare aancora oggi la difficoltà di adeguarsi a comportamenti meno violenti e brutali praticati sopratutto dalla polizia.
La ricerca di verità della protagonista non si arrende davanti a nessun ostacolo.
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La struggente melodia di "The last rose of summer" nei titoli di testa è quanto di più ingannevole si possa immaginare e viene immediatamente contrapposta allo strazio sopportato dalla protagonista Mildred . Ambientato nel Missouri, trerra di immensi spazi dove la solitudine, il razzismo e le leggi della sopravvivenza hanno dato origine alla consuetudine del crimine o all'apologia della brutalità, Sembra dominare aancora oggi la difficoltà di adeguarsi a comportamenti meno violenti e brutali praticati sopratutto dalla polizia.
La ricerca di verità della protagonista non si arrende davanti a nessun ostacolo. Il Missouri diventa metafora dell'America di oggi che non dispera di credere tuttavia in una America più matura con personaggi che perdono la loro iniziale immutabilità granitica e che nel progredire degli eventi si sgretola e recupera un'umanità fino ad allora impedita; basta creare l'opportunità. Alcuni diventano buoni , ma come si fa a diventare migliori? Il regista non americano apporta la sua sensibilità anglo-irlandese e con dettagli inusitati rende credibile il cambiamento sottraendosi a una facile retorica. Il finale si presta a ambigua lettur, cosa inusitata per il pubblico americano ma non per quello più maturo europeo. E comunque ognuno di noi vorrà darà quella che ritiene la più corretta secondo le proprie convinzioni e le proprie speranze.
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lorenzodv
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lunedì 10 febbraio 2020
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film di violenza contro la violenza
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Quasi un anno fa Angela è stata stuprata e uccisa ma le indagini non fanno progressi. Anzi le indagini sono terminate senza alcuna conclusione. Non è accettabile per la madre Mildred, che in questa storia ha nominato un nemico, non l'ignoto assassino ma la polizia, colpevole di perdere tempo perseguitando le minoranze anziché svolgere indagini proficue.
A nulla serve la spiegazione dello sceriffo, per il quale le indagini sono state approfondite ma senza risultato stante la scarsità di indizi.
Nella società rappresentata i contrasti sono innumerevoli e futili, tutti hanno ragione e nessuna ragione ha uno scopo pratico. Risalta il ruolo della polizia, che non persegue certo lo scopo del rispetto delle regole ma anche l'ambita vendetta di Mildred è sterile.
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Quasi un anno fa Angela è stata stuprata e uccisa ma le indagini non fanno progressi. Anzi le indagini sono terminate senza alcuna conclusione. Non è accettabile per la madre Mildred, che in questa storia ha nominato un nemico, non l'ignoto assassino ma la polizia, colpevole di perdere tempo perseguitando le minoranze anziché svolgere indagini proficue.
A nulla serve la spiegazione dello sceriffo, per il quale le indagini sono state approfondite ma senza risultato stante la scarsità di indizi.
Nella società rappresentata i contrasti sono innumerevoli e futili, tutti hanno ragione e nessuna ragione ha uno scopo pratico. Risalta il ruolo della polizia, che non persegue certo lo scopo del rispetto delle regole ma anche l'ambita vendetta di Mildred è sterile. L'unica voce saggia è quella della fidanzata diciannovenne ignorante e sciocca dell'ex marito di Mildred (e padre di Angela) che afferma che la rabbia genera soltanto altra rabbia, culmine dell'ironia che pervade tutto lo svolgimento.
E' un buon film, curato, con un bel sottofondo musicale e discreta fotografia, fatto più per stimolare la riflessione che per divertire o emozionare.
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marcloud
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giovedì 3 gennaio 2019
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cercando uno stupratore assassino nella provincia americana
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Una commedia intensa, profonda e riflessiva sulla ricerca di giustizia di una madre. Un viaggio nel Missouri, negli Stati Uniti rurali e provinciali, fatto di razzismo e ignoranza ma anche di coraggio e determinazione. Un finale non scontato per un film che merita tutto il successo che ha ottenuto.
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elgatoloco
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lunedì 31 dicembre 2018
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mc dormand fa riflettere
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Si può forse(volendo eccepire)rimproverare a Martin Mc Donagh per questo"Three Billboards Outside Ebbing, Missouri"(2017), in quanto la violenza, assente teoricamente, diremmo, dalla "visuale ad ampio spettro"del regista-autore, rientra quasi dalla finestra, pur se in forma evidentemente critica, come in tutte le altre opere del regista-autore teatrale e filmico irlandese. Per il resto, a differenza di molte opere cinematografiche in circolazione, "Three Billboards"ha il grande merito di far riflettere su grandi temi, come la vendetta(la madre ancora "insultata" dal ricordo della figlia stuprata e uccisa da ignoto assassino, mai seriamente cercato, che fa affigggere i famosi manifesti del titolo), la malattia, la morte(il suicidio di un agente di polizia, affetto da una malattia in fase terminale, l'unico onesto in un dipartimento di polizia altrimenti-Missouri-dominato da un profondo razzismo verso gli Afroamericani, ma anche i bianchi in qualche modo"diversi"dalla normalità piccoloborghese), il senso di colpa(un agente in qualche modo"sospetto", affetto da problemi di alcoolismo, che si rende responsabile di azioni violente, ma non è colpevole dello stupro-omicidio della ragazza).
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Si può forse(volendo eccepire)rimproverare a Martin Mc Donagh per questo"Three Billboards Outside Ebbing, Missouri"(2017), in quanto la violenza, assente teoricamente, diremmo, dalla "visuale ad ampio spettro"del regista-autore, rientra quasi dalla finestra, pur se in forma evidentemente critica, come in tutte le altre opere del regista-autore teatrale e filmico irlandese. Per il resto, a differenza di molte opere cinematografiche in circolazione, "Three Billboards"ha il grande merito di far riflettere su grandi temi, come la vendetta(la madre ancora "insultata" dal ricordo della figlia stuprata e uccisa da ignoto assassino, mai seriamente cercato, che fa affigggere i famosi manifesti del titolo), la malattia, la morte(il suicidio di un agente di polizia, affetto da una malattia in fase terminale, l'unico onesto in un dipartimento di polizia altrimenti-Missouri-dominato da un profondo razzismo verso gli Afroamericani, ma anche i bianchi in qualche modo"diversi"dalla normalità piccoloborghese), il senso di colpa(un agente in qualche modo"sospetto", affetto da problemi di alcoolismo, che si rende responsabile di azioni violente, ma non è colpevole dello stupro-omicidio della ragazza). Quasi un dramma-tragedia, anzi meglio un dramma in cui e sul quale la tragedia incombe continuamente, irrompendo nella stessa. La grandi questioni etiche vengono affrontate, tematizzate, ma(come è corretto)non"risolte", in quanto ciò sarebbe scorretto, volendo imporre soluzioni a chi assiste all'opera. Interpreti eccelsi, da Frances Mc Dormand a Woody Harrelson a Sam Rockwell, che danno corpo ai personaggi sopra citati, a molti/e altri/e. Un film di quelli, appunto, che, cosa ormai rarissima, sanno far riflettere... El Gato
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ennio
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martedì 23 ottobre 2018
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tre manifesti venati di vetero ideologismo
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Più che un manifesto a Ebbing, Missouri, sembra il manifesto di un certo progressismo fortemente ideologizzato, basato su uno schema trito e ritrito, e qui portato all'estremo: prendi un film, ci sbatti dentro due tipi di persone: brave persone (rigorosamente neri omosessuali e donne), e altre persone corrotte, violente, omofobe e razziste (maschi bianchi, preferibilmente in divisa da poliziotto).
Il punto più basso del film è raggiunto nella scena del neo-sceriffo nero che viene a sostituire il predecessore.
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Più che un manifesto a Ebbing, Missouri, sembra il manifesto di un certo progressismo fortemente ideologizzato, basato su uno schema trito e ritrito, e qui portato all'estremo: prendi un film, ci sbatti dentro due tipi di persone: brave persone (rigorosamente neri omosessuali e donne), e altre persone corrotte, violente, omofobe e razziste (maschi bianchi, preferibilmente in divisa da poliziotto).
Il punto più basso del film è raggiunto nella scena del neo-sceriffo nero che viene a sostituire il predecessore. Sembra di rivivere le stesse atmosfere di “La calda notte dell'ispettore Tibbs”, peccato che non siamo nel 1967 bensì 50 anni dopo, le ultime discriminazioni razziali sono superate da mezzo secolo e la realtà qui rappresentata è del tutto artefatta ed eccessiva, ad esclusivo uso e consumo di una ristretta cerchia di cosiddetti “progressisti” alla ricerca costante del cattivone razzista.
Le cose buone del film sarebbero molte, dalle interpretazioni, prima di tutto della McDormand a cui viene di fatto assegnato un Oscar alla carriera. Anche la sceneggiatura è valida, e non mancano i momenti esilaranti e tragicomici. Cose buone annacquate però dall'impostazione manichea e dottrinaria data all'intera impalcatura del film.
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giurg63
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domenica 26 agosto 2018
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film sopravvalutato
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Film decisamente sopravvalutato ed incensato che, in fondo, si regge su una trama troppo esile. Frances McDormnand conserva lo stesso volto tirato e inespressivo per tutta la durata della pellicola, come se si fosse sottoposta a un intervento di chiururgia plastica facciale. Il finale rimane aperto e deludente.
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rob8
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mercoledì 22 agosto 2018
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dalle parti del cnema dei coen
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Con questo film, attraversato da tensioni sotterranee e dilatati ritmi narrativi, siamo dalle parti del cinema dei Coen: evocato, non a caso, anche dalla presenza di una perfetta Frances McDormand, già splendida nel Fargo dei due citati fratelli.
Protagonista anche qui di una vicenda controversa e sfuggente alla consueta dicotomia tra bene e male. Perché nella volontà di giustizia di una madre per la figlia assassinata, c’è dolore e rivalsa, c’è prostrazione e pulsione di vendetta. Che si accresce di fronte all’inazione della polizia e all’oscurantismo dei concittadini.
Così, aderiamo con reazioni contrastanti alla maturazione dei sentimenti di questa donna sola contro tutti, che grida la sua rabbia in tre grandi manifesti pubblicitari su una strada secondaria di campagna.
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Con questo film, attraversato da tensioni sotterranee e dilatati ritmi narrativi, siamo dalle parti del cinema dei Coen: evocato, non a caso, anche dalla presenza di una perfetta Frances McDormand, già splendida nel Fargo dei due citati fratelli.
Protagonista anche qui di una vicenda controversa e sfuggente alla consueta dicotomia tra bene e male. Perché nella volontà di giustizia di una madre per la figlia assassinata, c’è dolore e rivalsa, c’è prostrazione e pulsione di vendetta. Che si accresce di fronte all’inazione della polizia e all’oscurantismo dei concittadini.
Così, aderiamo con reazioni contrastanti alla maturazione dei sentimenti di questa donna sola contro tutti, che grida la sua rabbia in tre grandi manifesti pubblicitari su una strada secondaria di campagna. Che finiranno per esser dati al fuoco dai reazionai della comunità e con caparbietà ripristinati dalla madre mai doma.
La quale infine partirà armata alla ricerca del presunto assassino della figlia, ma con non definiti propositi. Lasciando nell’incertezza lo spettatore, così come in effetti incerti sono quasi sempre la vita e i suoi accadimenti.
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greatsteven
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lunedì 16 luglio 2018
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da sola contro tutti coloro che hanno dei torti.
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TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI (USA, 2017) di MARTIN MCDONAGH. Interpretato da FRANCES MCDORMAND, WOODY HARRELSON, SAM ROCKWELL, PETER DINKLAGE, JOHN HAWKES, CALEB LANDRY JONES, LUCAS HEDGES, ABBIE CORNISH, SAMARA WEAVING, CLARKE PETERS, SANDY MARTIN, DARRELL BRITT-GIBSON, KATHRYN NEWTON, ŽELJKO IVANEK
La 60enne Mildred Hayes è ancora sconvolta, sette mesi dopo, dalla violenta morte della figlia Penelope, barbaramente stuprata e uccisa da un malvivente mai identificato, motivo per cui, quando un giorno vede sulla strada di Ebbing (Missouri) tre manifesti malconci, li affitta per svariati mesi in modo che vi vengano dipinte sopra tre frasi, una per ciascun cartellone, aizzanti all’odio per coloro che violentano e spronanti a denunciare i soprusi e le imperdonabili disattenzioni della polizia di Ebbing, rea, secondo Mildred, di trascurare i crimini autentici per perdere tempo a bastonare persone di carnagione scura e omosessuali cubani.
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TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI (USA, 2017) di MARTIN MCDONAGH. Interpretato da FRANCES MCDORMAND, WOODY HARRELSON, SAM ROCKWELL, PETER DINKLAGE, JOHN HAWKES, CALEB LANDRY JONES, LUCAS HEDGES, ABBIE CORNISH, SAMARA WEAVING, CLARKE PETERS, SANDY MARTIN, DARRELL BRITT-GIBSON, KATHRYN NEWTON, ŽELJKO IVANEK
La 60enne Mildred Hayes è ancora sconvolta, sette mesi dopo, dalla violenta morte della figlia Penelope, barbaramente stuprata e uccisa da un malvivente mai identificato, motivo per cui, quando un giorno vede sulla strada di Ebbing (Missouri) tre manifesti malconci, li affitta per svariati mesi in modo che vi vengano dipinte sopra tre frasi, una per ciascun cartellone, aizzanti all’odio per coloro che violentano e spronanti a denunciare i soprusi e le imperdonabili disattenzioni della polizia di Ebbing, rea, secondo Mildred, di trascurare i crimini autentici per perdere tempo a bastonare persone di carnagione scura e omosessuali cubani. La sua azione scatena prevedibilmente le ire delle locali forze dell’ordine, soprattutto del manesco e arrogante Jason Dixon, poliziotto che vive con la madre bigotta e razzista, più volte richiamato dal superiore, lo sceriffo William Willoughby, per i suoi metodi sanguinari. Willoughby rassicura Mildred che, malgrado non si abbiano prove né tempo sufficienti per scovare il colpevole dell’omicidio di sua figlia, le forze di polizia autoctone s’impegneranno affinché il delitto non rimanga impunito. Poco dopo lo sceriffo, gravemente ammalato di tumore e tutt’altro che propenso a passare gli ultimi mesi della sua vita in un letto d’ospedale piuttosto che accanto alla sua famiglia, lascia un biglietto alla moglie una notte e poi, infilatosi un cappuccio, si spara un colpo alla testa. La sua morte lascia sconfortati e spaventati tutti gli aventi dell’EPD, tanto che Dixon entra prepotentemente nella sede pubblicitaria in cui Mildred s’era recata per far dipingere le frasi sui manifesti e defenestra il giovane Red, cui la donna aveva pagato a tal scopo una cifra considerevole. Divorziata da anni, con un altro figlio da mantenere e l’ex marito che non la vede di buon occhio pur essendo anch’egli amareggiato per la perdita di Penelope Hayes, Mildred una mattina riceve la visita di uno sconosciuto nel suo negozio di articoli domestici, il quale ne fracassa uno e le insinua il sospetto che possa essere lui il colpevole, giacché è a conoscenza dell’accaduto. Come se non bastasse, una notte, mentre è in automobile col figlio, Mildred vede i manifesti in preda alle fiamme, e tenta con scarso successo di domare l’incendio. Sempre più arrabbiata e intollerante nei confronti degli agenti di Ebbing, la notte successiva scaglia una serie di bottiglie molotov contro la sede centrale di polizia, nel momento stesso in cui Dixon, licenziato per aver brutalmente picchiato senza una valida ragione Red, legge una lettera che gli aveva lasciato Willoughby prima di suicidarsi, in cui gli dice che crede nelle sue potenzialità professionali. Rimasto ustionato e senza lavoro, Dixon decide di mettere finalmente la testa a posto e, una sera, in un locale, sentendo lo stesso uomo introdottosi nel negozio di Mildred parlare di una violenza carnale, lo provoca e se ne esce con la faccia tumefatta dai suoi cazzotti. A quel punto, coi manifesti recuperati e resi di nuovo visibili a chiunque attraversi la strada e col capitano Abercrombie che assicura alla protagonista che l’EDP è estraneo al fatto del fuoco appiccato, Mildred stringe un’inattesa alleanza con Dixon che, assicurando di cambiare d’ora in poi comportamento, la segue mentre insieme vanno in Idaho, armati di un fucile, nel tentativo di inseguire l’uomo che, in separate sedi, hanno entrambi conosciuto e che credono essere l’assassino di Penelope. Benché sottovalutato agli Oscar (due sole statuette, ma meritatissime – McDormand e Rockwell – su sette candidature), ha ricevuto lunghi applausi dopo la proiezione al 74° Festival di Venezia, e in terra italica la critica ha avuto certamente uno sguardo più lucido ed oculato: la storia affronta numerosi temi (diversità, razzismo, ignoranza, ingiusta sottomissione del sesso femminile a quello maschile, desiderio di farsi giustizia da sé, modo d’intendere l’utilizzo della violenza, senso del dovere in varie declinazioni) approfondendoli uno per uno senza perdere di vista un particolare significato di pietà, comprensione, tolleranza, ma anche di coraggio, autostima e valorizzazione, che costituisce sia il perno cui tutto il film ruota intorno sia la morale conclusiva dello stesso, in quanto il personaggio principale è una donna che non vuole rendersi schiava degli uomini, a qualunque categoria appartengano (e qui la distinzione fra civili e pubblici ufficiali è una chiave di lettura di estrema importanza), e perciò lotta affinché tutte le donne della sua città non subiscano irragionevoli soprusi, ricorrendo tanto ai mezzi legali (la società pubblicitaria presso cui compra il trio di cartelloni da pitturare) quanto ai sistemi più virulenti (l’attacco incendiario alla centrale è un pezzo di bravura imperdibile). Dall’altro canto, gli uomini si atteggiano in svariati modi: c’è chi mantiene il suo ruolo e non smentisce i suoi ideali pur credendo che una giustizia debba essere portata a termine a qualsiasi costo (lo sceriffo William/Harrelson); chi dapprima è solo un ubriacone omofobo e spaccone che sa fare la voce grossa solo quando impugna un manganello e poi volta faccia passando dalla parte dei buoni, o meglio, pentendosi dei suoi sbagli, per dedicarsi ad adempiere la causa più opportuna (l’agente Dixon/Rockwell); chi agisce solo in apparenza da mediatore e lavoratore semplice e senza pretese, ma in realtà coltiva interessi per chiunque combatta fino allo stremo per il rispetto di diritti inalienabili (Red/Landry Jones); chi disprezza la consorte da cui s’è separato ma non la prole che con lei ha generato (Hawkes); e chi incarna finalmente lo spirito più genuino e meno opportunistico della legge (C. Peters), un tutore zelante che non spreca fiato né ore a giustificare i suoi sottoposti, ma fatica perché ognuno non si senta diverso né schiacciato dall’altro, eliminando ogni distinzione di sorta. Curando sia la regia che la sceneggiatura, McDonagh ha conquistato un posto d’onore fra i cineasti d’oltremanica (britannico con origini irlandesi) per il merito di aver saputo edificare una vicenda che lascia a bocca spalancata, induce a profonde riflessioni, non ha la pretesa di spiegare tutti i cavilli che intrica man mano che l’intreccio procede ed evita il finale consolatorio per lasciare allo spettatore uno spiraglio aperto alla speranza che i flagelli non abbiano infine la meglio sulla sanità (e santità) dei lottatori.
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fabio
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venerdì 22 giugno 2018
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vale il biglietto ma si può perdere al cinema
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Alla lunga questo genere ha stancato. Nonostante la buona prova attoriale e certi guizzi della sceneggiatura il film non decolla mai.
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l''imbecille
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lunedì 7 maggio 2018
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una black comedy sconvolgente
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In un post il film viene presentato come “Una black comedy sconvolgente” così commentato da “The Telegraph”; niente di più azzeccato!!
Decisamente in linea con l’intera sceneggiatura. Ma per gli spettatori italiani qualcosa può apparire più che sconvolgente, per quello americano non proprio. La violenza smodata forse forse non ci appartiene così tanto ed altrettanto dicasi dei rapporti tra gli stessi poliziotti e con “gli utenti”. Certamente comunque non ci sarà stato alcuno che non abbia costruito mentalmente a modo suo l’evolversi dei fatti narrati fino a giungere a tentare di rispondere <<ma chi sarà davvero l’assassino?>>.
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In un post il film viene presentato come “Una black comedy sconvolgente” così commentato da “The Telegraph”; niente di più azzeccato!!
Decisamente in linea con l’intera sceneggiatura. Ma per gli spettatori italiani qualcosa può apparire più che sconvolgente, per quello americano non proprio. La violenza smodata forse forse non ci appartiene così tanto ed altrettanto dicasi dei rapporti tra gli stessi poliziotti e con “gli utenti”. Certamente comunque non ci sarà stato alcuno che non abbia costruito mentalmente a modo suo l’evolversi dei fatti narrati fino a giungere a tentare di rispondere <<ma chi sarà davvero l’assassino?>>.
E qui, ancor di più, la sceneggiatura sconvolge l’utente. Sarebbe interessante redigere un elenco di tutte le probabili risposte: non è facile “fare tombola!!”.
Qualcosa in più va detto: perché mostrare allo spettatore a titolo gratuito alcune superficialità che non fanno altro se non sminuire tutto il lavoro svolto? Mi riferisco alle “molotov” buttate dentro l’edificio della polizia e il poliziotto che stava dentro (se non erro Dixon) neanche se ne accorge; se non all’ultimo. E che dire poi della scazzottata fatta dentro al pub che produce qualche minimo graffio al posto di fratture nasali, occhi neri e quant’altro si vede su un ring da boxe?
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