lucio di loreto
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mercoledì 8 aprile 2020
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molto tennis poco animo
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La partita delle partite riproposta sul maxi schermo per ergere al massimo i prodigi della tecnologia moderna: questo lo scopo (alla fine vincente ma unico) del danese Janus Metz, che lascerà a fine riprese soddisfatti i neofiti tennistici e chi all’oscuro dell’iconico match, ma che non aggiungerà niente di nuovo alla storia di una sfida epica e ad un cambio di guardia generazionale tra il mite svedese Borg e l’eccentrico e ribelle McEnroe! Il periodo – inizio eighties – è quello di consumismo e yuppies; il tennis e Wimbledon in particolare contribuiscono ad elevare lo status quo di benessere, qualunquismo e ipocrisia borghese; quella cioè che vuole a tutti i costi una battaglia da arena tra il pacato (all’apparenza), gentile e imbattibile orso e la new entry viziata e maleducata, sfacciata e iper sicura, pure qui solamente nella facciata.
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La partita delle partite riproposta sul maxi schermo per ergere al massimo i prodigi della tecnologia moderna: questo lo scopo (alla fine vincente ma unico) del danese Janus Metz, che lascerà a fine riprese soddisfatti i neofiti tennistici e chi all’oscuro dell’iconico match, ma che non aggiungerà niente di nuovo alla storia di una sfida epica e ad un cambio di guardia generazionale tra il mite svedese Borg e l’eccentrico e ribelle McEnroe! Il periodo – inizio eighties – è quello di consumismo e yuppies; il tennis e Wimbledon in particolare contribuiscono ad elevare lo status quo di benessere, qualunquismo e ipocrisia borghese; quella cioè che vuole a tutti i costi una battaglia da arena tra il pacato (all’apparenza), gentile e imbattibile orso e la new entry viziata e maleducata, sfacciata e iper sicura, pure qui solamente nella facciata. Il regista si impegna e prodiga dunque esclusivamente nel resoconto di quel magico torneo, evitando accuratamente di uscire fuori tema e di accompagnare la direzione artistica con qualunque tipo di problematica accompagni la psiche dei due miti. Bene nelle intenzioni ma quel che nell’epilogo però difetterà è una benché minima giustificazione agli atteggiamenti riportati e richiesti da Metz verso Gudnason e LaBeouf, generosi e calorosi interpreti che danno una realistica trasposizione caratteriale delle icone in questione, perfetto nelle movenze facciali lo svedese e magari un po’ forzato lo statunitense, forse perché psicologicamente simile al talento americano. Sembra infatti un po’ esagerata e senza nessuna spiegazione l’interiore tristezza e scontentezza dei rivali, privilegiati dalla vita e centrali mediaticamente. Borg, robot fin da bambino e obbligato (?) a vincere in ogni dove da un sergente di ferro come coach, alla fine però unico e solidale appoggio morale della sua vita, più di una compagna raffigurata quasi da ombra impotente. Gli stessi tic accentuati durante gli incontri paiono un estremismo e un climax cinematografico, identici al nervosismo celato che si intravede tra uno scambio e l’altro, mancanti invece nella realtà, fatta di statuaria concentrazione e imperscrutabilità. Ciò potrebbe giustificare goffamente i futuri malanni d’animo post tennis del campione scandinavo, dandogli quindi un’aurea da sbandata e infelice rock star, piombata successivamente nel lastrico a seguito di errori finanziari, divorzi ed esistenza sregolata, collassate in un tentativo di suicidio prima e nella vendita all’asta di cimeli dopo, sventata proprio dal soccorso del nemico/futuro amico. Allo stesso modo non viene analizzata l’importanza di un look nuovo per quei tempi, che fece strage di cuori e creò l’iconografica immagine di tennista/modello, sfruttata ancor oggi a livello pubblicitario da tutti gli sportivi famosi. E’ oltretutto fuori luogo dover raffigurare McEnroe come bimbo difficoltoso e dall’infanzia complicata, solo per l’eccessiva presunzione e ricchezza familiare e per il genio precoce donatogli da Dio. La regia e il montaggio visivo sono un fiore all’occhiello del mainstream hollywoodiano e non, pariteticamente a un sonoro sfarzoso e ad una fotografia accesa, lucente e colorata, così i costumi e la scenografia, che ci rimandano in maniera identica al periodo in questione, con Donnay, Fila, Sergio Tacchini e fascette a farla da padrone. Inoltre, le difficoltà palesate dai Rhys Meyers e Paul Bettany di turno in Match Point e Wimbledon, bravi attori ma dall’impugnatura farlocca, qui vengono superate da una scenografia effettuale e digitale magniloquente, che restituisce fedelmente gli indimenticabili colpi della straordinaria combo! Per tutto ciò Borg McEnroe non è un film, vista la totale assenza di dialoghi creatori di pathos e giustificatori di troppe introspezioni, ma per l’appunto la realizzazione precisa e conforme di una partita che ha fatto epoca e cambiato la visione dello sport, lasciandoci però nel dubbio se tutto questo sforzo abbia avuto un senso, e se invece non sarebbe stato il caso di continuare a guardare l’ineguagliabile ed immortale sfida originale, nella quale silenzi, sguardi, grida, esaltazioni e depressioni dei due veri protagonisti valgono tuttora molto più di una pellicola eccezionalmente artificiosa ma priva d’animo!
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emanuele 1968
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lunedì 6 aprile 2020
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un mito di quei tempi
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Visto ieri su rai3
Penso sia un buon film, in quei tempi era un mito, bjorn borg e john mcenroe.
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kronos
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sabato 20 aprile 2019
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faccia a faccia col mito
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Appassionante biopic sportivo che racconta la fase clou del confronto Borg-McEnroe, celebrando uno dei match più belli nella storia del tennis: la finale di Wimbledon 1980.
Ma oltre a un'eccellente ricostruzione cinematografica della rocambolesca partita, al centro della scena emergono forti personalità, aspirazioni e debolezze dei due contendenti.
Chi perdesse i titoli di testa certamente si chiederà per quale ragione una produzione hollywoodiana celebri quella leggendaria rivalità sportiva, raccontando una sconfitta di McEnroe...
Spiegazione semplice: pare un film yankee, ma la produzione è Svedese ;-)
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mercoledì 12 settembre 2018
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molto meglio guardarsi le partite originali, c'è più poesia
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Film sciatto, orribile. Potevano fare un film sull'intrigante genialità di McEnroe. Persa una buona occasione. Anche se trovare un attore che sappia interpretare McEnroe è praticamente impossibile.
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fabio
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venerdì 20 luglio 2018
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il tennis metafora della vita. superficiale.
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Avevo sentito dire della famosa partita (e chi non la conosce?); anche se non l'avevo mai vista era entrata comunque nel mio immagginario. Lo scontro totale tra due personalità forti, apparentemente opposte, ma unite dalla voglia (dal bisogno) di vincere. Da questo punto di vista il film non mi ha sorpreso: era quello che mi aspettavo.
Ho apprezzato la precisione della ricostruizione; non si rende mai abbastanza merito alla troupe dei truccatori, costumisti, scenografi e tutte le centinaia di persone che studiano e lavorano sodo per la riuscita dell'opera.
Non mi è piaciuto il fatto che il film rimane spesso in superficie e non riesce ad andare a fondo nell'approfondimento psicologico dei personaggi.
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Avevo sentito dire della famosa partita (e chi non la conosce?); anche se non l'avevo mai vista era entrata comunque nel mio immagginario. Lo scontro totale tra due personalità forti, apparentemente opposte, ma unite dalla voglia (dal bisogno) di vincere. Da questo punto di vista il film non mi ha sorpreso: era quello che mi aspettavo.
Ho apprezzato la precisione della ricostruizione; non si rende mai abbastanza merito alla troupe dei truccatori, costumisti, scenografi e tutte le centinaia di persone che studiano e lavorano sodo per la riuscita dell'opera.
Non mi è piaciuto il fatto che il film rimane spesso in superficie e non riesce ad andare a fondo nell'approfondimento psicologico dei personaggi. Non è una missione facile descrivere le emozioni e tutto quello che passa dentro la testa di grandi campioni come Borg o supermac. Il film opta per un profilo più basso e con meno rischi: si preferisce lasciare più ai primi piani, stretti sui volti intensi dei protagonisti, il compito di descrivere la sofferenza ma anche la determinazione assoluta; Vincere diventa un bisogno ed il gioco passa in secondo piano. Non c'è gioia ma solo fatica (sopratutto mentale).
Certi episodi sportivi hanno una valenza che travalica lo sport stesso, entrano nell'immagginario popolare, raccontano un po' di noi tutti.
Si può apprezzare il fatto che il film non impone nulla allo spettatore ma alla fine ti domandi se non avresti preferito un po' più di coraggio per andare oltre le apparenze.
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samanta
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venerdì 25 maggio 2018
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ogni match è una vita in miniatura
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Il film è tratto da una storia vera: la partita effettuata a Wimbledon nell'estate del 1980 che consentì al grande tennista svedese Bjorn Borgor (Sverrir Gudnason un attore svedese) di vincere per la quinta volta consecutiva la Coppa battendo il tennista americano John McEnroe (Shia LaBeouf , Transformers, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, La regola del silenzio)). Il regista è Janus Metz un regista danese che ha lavorato in SudAfrica essenzialmente nel campo dei documentari e in quache sceneggiato televiso, il film rappresenta il suo primo vero impegno nel cinema.
La trama è centrato in prevalenza sull'incontro, con ampi flash back sull'infanzia e gli inizi dell'attività di Borg ed anche di McEnroe.
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Il film è tratto da una storia vera: la partita effettuata a Wimbledon nell'estate del 1980 che consentì al grande tennista svedese Bjorn Borgor (Sverrir Gudnason un attore svedese) di vincere per la quinta volta consecutiva la Coppa battendo il tennista americano John McEnroe (Shia LaBeouf , Transformers, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, La regola del silenzio)). Il regista è Janus Metz un regista danese che ha lavorato in SudAfrica essenzialmente nel campo dei documentari e in quache sceneggiato televiso, il film rappresenta il suo primo vero impegno nel cinema.
La trama è centrato in prevalenza sull'incontro, con ampi flash back sull'infanzia e gli inizi dell'attività di Borg ed anche di McEnroe. Il primo era considerato un giocatore corretto ma gelido e senza emozioni, in realtà quando era giovane era ribelle e intemperante, ma l'incontro con l'allenatore (Lennart Bergelin (Stellan Skarsgard attore svedese che però ha sfondato anche nella cinenmatografia americana: Angeli e demoni, Avengers, I pirati dei caraibi; Mamma mia) lo trasforma. Il tennista americano è invece un ribelle che durante l'incontro contesta e insulta avversari, giudici e pubblico. Nel film vi sono due parti: la prima descrive l'incontro, è estremamente avvicente, direi appassionante, si vede che è diretto da un buon documentarista, la seconda riguarda lo studio della personalità umana e sportiva dei due protagonisti e mostra alcune carenze. Innanzitutto l'uso di flash back molto improvvisi che spezzano il racconto rendendo talvolta difficile seguire la trama, con un sottofondo musicale non proprio gradevole. Riguardo poi la psicologia dei protagonisti non appare molto approfondita anche se è difficile raccontare un personaggio ancora in vita. Certamente Borg era un uomo molto problematico nel film è descritto il suo rapporto non sempre felice con la fidanzata la tennista Mariana Simionescu (Tuva Novotny) che si conclude felicemente (in realtà il matrimonio durerà solo 3 anni) e poi Borg che si ritira l'anno dopo dal tennis a soli 26 ani, avrà una vita sentimentale travagliata (anche da un punto di vista finanziario) con vari legami sentimentali (tra cui con Loredana Bertè) e un tentativo di suicidio. Più superficiale appare la descrizione di McEnroe. La realtà è che il successo improvviso, l'attenzione dei mass media, l'arricchimento incredibile i milioni di dollari si sprecano, il successo con le donne, possono specie in un giovane, produrre effetti negativi. Il film si colloca non solo nella categoria "sportiva" ma in quelli accentrati su un evento (un recente film sempre riguardante il tennis e basato su un evento è la battaglia dei sessi con Emma Stone). Direi che è ottimo per quanto riguarda la descrizione dell'evento, è solo sufficiente nella descrizione dei personaggi.
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iuriv
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sabato 19 maggio 2018
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le fatiche del tennis.
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Quella tra Bjorn Borg e John McEnroe, la finale di Wimbledon 1980, è stata una delle partite più belle, intense e tirate nella storia del tennis.
Janus Metz Pedersen sceglie così di portarla sul grande schermo, approfittando dell'occasione per scavare dentro due personaggi all'apparenza diversissimi, che infiammarono il pubblico di Londra quel giorno e dominarono le classifiche ballando il loro waltzer per un anno ancora.
Più che la sfida tra i due giocatori, quindi, il film racconta di come questi atleti abbiano dovuto vincere contro se stessi prima ancora che con gli avversari.
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Quella tra Bjorn Borg e John McEnroe, la finale di Wimbledon 1980, è stata una delle partite più belle, intense e tirate nella storia del tennis.
Janus Metz Pedersen sceglie così di portarla sul grande schermo, approfittando dell'occasione per scavare dentro due personaggi all'apparenza diversissimi, che infiammarono il pubblico di Londra quel giorno e dominarono le classifiche ballando il loro waltzer per un anno ancora.
Più che la sfida tra i due giocatori, quindi, il film racconta di come questi atleti abbiano dovuto vincere contro se stessi prima ancora che con gli avversari.
Essendo una pellicola di produzione svedese, l'occhio attento degli autori si concentra maggiormente su Borg (clonato alla perfezione da Sverrir Gudnason), seguendolo attentamente nel suo percorso di alienazione.
Per interpretare il selvaggio Mac, invece, si è puntato su Shia LaBeouf, attore noto per la sua fama di scontroso e perfetto per portare in scena il grande ribelle del tennis. Tuttavia a me Shia continua a non convincere.
Di tennis non se ne vede molto in realtà. Più che altro si assiste a una efficace opera di montaggio, capace di alternare piccoli segmenti di gioco allo sviluppo dei protagonisti.
Un buon lavoro, in fin dei conti, che tuttavia non mi ha impressionato particolarmente. Sarà forse colpa di quel finale che mi ha lasciato in bocca quella domanda- e quindi?- che non amo farmi alla fine di una visione.
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ralphscott
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sabato 2 dicembre 2017
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la competizione trascende
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Film di tennis, ma solo in parte. Nonostante qualche facile stereotipo, dove l'età adulta vede la spiega in infanzie infelici e/o difficili, la messa in scena coinvolge anche chi è a digiuno di pallina e racchetta. La resa dei conti è con se stessi, innanzitutto, e solo nel lungo finale si entra nel vivo del match, reso comunque potabile anche ai profani.
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vanessa zarastro
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domenica 26 novembre 2017
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match points
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Per diventare un campione di tennis, oltre alla preparazione atletica e tecnica, è fondamentale avere una cosa: la “testa”. Ciò significa che bisogna possedere una straordinaria capacità di concentrazione e coniugarla a una spaventosa determinazione. Personalmente sono stata in passato una più che mediocre giocatrice di tennis e mi sono sempre meravigliata nel vedere quali potessero essere gli effetti devastanti di un attimo di deconcentrazione: la pallina, immediatamente, schizza via lontano.
Nel film Borg McEnroe,del regista Janus Metz Pederson, siamo a Wimbledon nel 1980, cuore del tennis, unico Grande Slam su erba, meta e sogno di ogni giocatore.
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Per diventare un campione di tennis, oltre alla preparazione atletica e tecnica, è fondamentale avere una cosa: la “testa”. Ciò significa che bisogna possedere una straordinaria capacità di concentrazione e coniugarla a una spaventosa determinazione. Personalmente sono stata in passato una più che mediocre giocatrice di tennis e mi sono sempre meravigliata nel vedere quali potessero essere gli effetti devastanti di un attimo di deconcentrazione: la pallina, immediatamente, schizza via lontano.
Nel film Borg McEnroe,del regista Janus Metz Pederson, siamo a Wimbledon nel 1980, cuore del tennis, unico Grande Slam su erba, meta e sogno di ogni giocatore.
Bjön Borg (interpretato dall’affascinante Sverrir Gudnason attore poco conosciuto fuori la Svezia), all’epoca numero uno del mondo, a ventiquattro anni aveva già vinto il titolo in tre annate consecutive e si accingeva a conquistarlo una quinta volta per entrare nella storia del tennis. Si affacciava alla gloria un giovane mancino newyorkese, John Patrick Mc Enroe (un bravissimo stizzoso Shia Labeouf), un tennista di origine irlandese con un gran servizio, ma anche un carattere piuttosto vivace e irriverente.
Borg è sotto pressione, la sua maschera di ghiaccio comincia a vacillare, la sua sete di vittoria lo porta a sentirsi male, a sviluppare pratiche di autocontrollo metodiche e punitive e di subire perfino attacchi di panico (o almeno così il film racconta).
John Mc Enroe, invece è dipinto come un nevrotico (si lo è) che litiga con tutti, insultando i giornalisti, i giudici, e perfino il pubblico che, infatti, lo fischia. Meno si sente amato e più si indispettisce. Ciononostante è dotato di un grandissimo talento e il suo serve and volley è molto rapido ed efficace.
Tra il 1978 e il 1981, i due tennisti rivali si sono incontrati per ben quattordici volte vincendo esattamente sette partite ciascuno. Inoltre, tra il 1980 e l’81 i due si sono alternati al primo posto della classifica anche nello stesso mese, fino al ritiro di Bjön Borg dal tennis a soli 26 anni. La finale di Wimbledon disputata tra Borg e Mc Enroe quell’anno, è considerata da molti una tra le più belle ed emozionanti di tutta la storia del tennis, in particolare il tie-break del quarto set dove John Patrick ha annullato cinque match point a Bjön Borg. In sintesi, il film mostra l’inizio di un passaggio di consegne tra un sofferente Borg che sente il declino psicofisico della sua stella, e un super-promettente Mc Enroe.
Nel film sono mostrati attorno ai due protagonisti anche altri famosi giocatori della fine degli anni ’70 come Jimmy Connors (altro rivale) e i più gaudenti Vitas Gerulatis e Ilie Nastase. All’epoca si giocava ancora con le racchette di legno, non vigevano ancora le rigide regole nutrizioniste e il coach era uno solo, non un team di specialisti. In originale il film è intitolato solo Borg dedicato appunto a questa sorta di eroe nazionale svedese che ha contribuito a dare un nuovo slancio al tennis scandinavo. L’occhio di bue, infatti, è incentrato su Bjön, visto dal suo affezionato allenatore Lennart Bergelin (il bravissimo Stellan Skårsgard), inframezzando vari flash back che raccontano la sua infanzia, i sui tormenti adolescenziali e le difficoltà nel forgiare il carattere. Mc Enroe è rappresentato prevalentemente come simbolo del nuovo, del futuro, e della giovinezza, anche se solo tre anni separano i due giocatori.
Presentato all’ultimo Festival di Roma il film presenta uno strepitoso montaggio, non indugia sulle prestazioni tecniche dell’incontro ma indaga sulle psicologie dei due tennisti che, nonostante le abissali differenze caratteriali, hanno molti punti in comune. In tal modo il film può essere seguito anche da un pubblico generalista.
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venerdì 24 novembre 2017
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janus metz fa ace
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Davvero un film notevole.Da appassionato di tennis aspettavo da mesi questo film e ancor di piu' attendevo al varco Metz che ha confermato un impianto generale alla ''Rush''..ma sviluppando la trama in modo piu' ricercato e meno Hollywoodiano. Il tutto a vantaggio della caratterizzazione dei personaggi. Godibilissimo l'affresco psicologico dell'orso svedese, meno elaborato e ricercato quello di Mac. Soddisfatto anche di aver visto il buon Gerulaitis sbocciare bottiglie di champagne con mac ed un connors tignoso fare capolino.. Per gli appassionati ma non solo.
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