Impara l’arte e mettila da parte. Poi portala lassù, nello spazio interstellare. Così J.J. Abrams riesce nell’impresa di esaudire le aspettative dei fan di Luke Skywalker, tornato ad animare gli schermi dopo quel sesto episodio del 1983 (Il ritorno dello Jedi) nel quale sconfisse la Morte Nera e suo padre Anakin/Darth Vader.
Tutto torna. Trentadue anni dopo l’ultimo capitolo immaginato dal creatore di mondi George Lucas nel ’77 e dieci anni dopo l’ultima produzione in ordine di tempo (La vendetta dei Sith, 2005). Ed è come se la lunga narrazione non si fosse mai interrotta, grazie a quel canone intergalattico che Abrams ha rispettato e ricostruito con la stessa sagacia già applicata nel dirigere Star Trek.
Luke Skywalker assente eppure perno di questa nuova avventura nello spazio profondo. Misteriosamente scomparso ma rintracciabile tramite una mappa, che si contendono le forze in campo: il Primo Ordine (calco del vecchio Impero Galattico) e la Resistenza, con quest’ultima che tenta d’impedire l’ascesa autoritaria dell’organizzazione paramilitare guidata dal nuovo essere mascherato Kylo Ren (Adam Driver) ma asservita al potere di un nuovo Palpatine, il supremo leader Snoke (Andy Serkis).
Un oscuro Kylo Ren che nei tratti somatici (rivelati) e nell’impulsivo modo d’agire mostra il proprio debole carattere umano, ben lontano dalla spietatezza dell’antesignano Darth Vader. Uno smascheramento che avviene proprio quando la forza torna a manifestarsi con le fattezze femminili di Rey (Daisy Ridley), predestinata guerriera della luce e, insieme al simpatico ammutinato Finn (John Boyega), destinata a formare la coppia della speranza futura.
Una speranza che non muore mai, se nei cieli a guidare la Resistenza ci sono piloti come Poe Dameron (Oscar Isaac) e se un nuovo droide sferico BB-8 sa essere l’arma provvidenziale nel momento del bisogno. Come lo fu il suo predecessore D2-R2, che ora al momento del ritorno in scena sa strappare il più largo dei sorrisi ai vecchi appassionati della saga. Il medesimo che s’allarga allorché ricompare anche il dorato profilo giocoso di queste guerre stellari: l’umanoide C-3P0.
È la celebrazione di un’epopea senza eguali che fa “tornare a casa” anche Han Solo (Harrison Ford) e Chewbacca (Peter Mayhew). Dove? Sul vecchio Millennium Falcon, dove altro. Una famiglia che si ricompone in toto con l’apparizione della principessa Leia (Carrie Fisher), mentre il fragore della battaglia scintilla della strabiliante abilità tecnica di effetti speciali da XXI secolo, che sanno disegnare avvincenti scontri senza cedere al narcisismo.
Il classico si riconfigura e diventa nuovo modello nelle mani di J.J. Abrams e degli altri sceneggiatori Lawrence Kasdan e Michael Arndt, facendo dell’epica colonna sonora di John Williams la solida architettura di un duello tra padri (Han Solo) e figli (Kylo Ren), che vedrà il vecchio soccombere al giovane, prima che questo conosca da vicino il risveglio della Forza per mano dell’eletta Rey. E prima che un altro risveglio (quello di D2-R2) mostri a tutti le coordinate (e il barbuto viso) di chi continuerà a congiungere tutti gli anelli della catena: Luke Skywalker (alias Mark Hamill).
È un po’ come la legge dell’eterno ritorno di Friedrich Nietzsche. Di un tempo che si ripete nel ritorno dell’uguale e che potrebbe inaugurare la prima serie cinematografica infinita, capace di attraversare le generazioni e di raccontare storie che continueranno a svolgersi “in una galassia lontana lontana…”.
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