savross85
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giovedì 24 settembre 2015
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chi ha paura dell'uomo nero?
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Questo film di matrice australiana mi ha riportato indietro al polanskiano Repulsion, al zulawskiano Possession, film bellissimi e terrificanti che esprimono il disagio dell'essere umano nell'era moderna, ma soprattutto evidenziano la paura o meglio sarebbe dire il mostro che è dentro di noi. L'uomo nero, l'ombra junghiana che possiamo controllare, combattere, ma non vincere (vedi l'inquietante ed emblematico finale) nascono dai nostri disagi, dalla non volontà di capirsi: ma soprattutto si formano all'interno della famiglia, in questo caso composta da una madre e un figlio che si amano, ma che non riescono ad incontrarsi. La paura è un riflesso di Amelia verso il figlio, che non fa altro che trasformare l'incubo materno in realtà.
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Questo film di matrice australiana mi ha riportato indietro al polanskiano Repulsion, al zulawskiano Possession, film bellissimi e terrificanti che esprimono il disagio dell'essere umano nell'era moderna, ma soprattutto evidenziano la paura o meglio sarebbe dire il mostro che è dentro di noi. L'uomo nero, l'ombra junghiana che possiamo controllare, combattere, ma non vincere (vedi l'inquietante ed emblematico finale) nascono dai nostri disagi, dalla non volontà di capirsi: ma soprattutto si formano all'interno della famiglia, in questo caso composta da una madre e un figlio che si amano, ma che non riescono ad incontrarsi. La paura è un riflesso di Amelia verso il figlio, che non fa altro che trasformare l'incubo materno in realtà. Laddove ci è lasciato intuire che l'assenza paterna può essere alla base di tutto. Un horror fatto di spaventi, ma soprattutto di interrogativi che lasciano riflettere lo spettatore. Qual è la causa del vero baubau? Un film da vedere e da pensare.
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savross85
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giovedì 24 settembre 2015
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chi ha paura dell'uomo nero?
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Questo film di matrice australiana mi ha riportato indietro al polanskiano Repulsion, al zulawskiano Possession, film bellissimi e terrificanti che esprimono il disagio dell'essere umano nell'era moderna, ma soprattutto evidenziano la paura o meglio sarebbe dire il mostro che è dentro di noi. L'uomo nero, l'ombra junghiana che possiamo controllare, combattere, ma non vincere (vedi l'inquietante ed emblematico finale) nascono dai nostri disagi, dalla non volontà di capirsi: ma soprattutto si formano all'interno della famiglia, in questo caso composta da una madre e un figlio che si amano, ma che non riescono ad incontrarsi. La paura è un riflesso di Amelia verso il figlio, che non fa altro che trasformare l'incubo materno in realtà.
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Questo film di matrice australiana mi ha riportato indietro al polanskiano Repulsion, al zulawskiano Possession, film bellissimi e terrificanti che esprimono il disagio dell'essere umano nell'era moderna, ma soprattutto evidenziano la paura o meglio sarebbe dire il mostro che è dentro di noi. L'uomo nero, l'ombra junghiana che possiamo controllare, combattere, ma non vincere (vedi l'inquietante ed emblematico finale) nascono dai nostri disagi, dalla non volontà di capirsi: ma soprattutto si formano all'interno della famiglia, in questo caso composta da una madre e un figlio che si amano, ma che non riescono ad incontrarsi. La paura è un riflesso di Amelia verso il figlio, che non fa altro che trasformare l'incubo materno in realtà. Laddove ci è lasciato intuire che l'assenza paterna può essere alla base di tutto. Un horror fatto di spaventi, ma soprattutto di interrogativi che lasciano riflettere lo spettatore. Qual è la causa del vero baubau? Un film da vedere e da pensare.
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biso 93
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mercoledì 19 ottobre 2016
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metafora nera
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Babadook e' un film del 2014, opera prima della regista jennifer kent. Babadook consiste in un horror psicologico molto interessante, volto non tanto a spaventare ma a suscitare inquietudine e profondo fastidio per quanto cio' che accade, non e' molto diverso da cio' che accade in nuclei familiari orfani di qualcuno. Si perche' Babadook porta l'horror ad un livello metaforico molto alto, una toccante rappresentazione di una madre sola e depressa, di un figlio problematico ed insopportabile, il tutto condito da un ormai classica situazione economica difficile. Niente e' piu' attuale di questo. La regia e' veramente interessante, i colori e la fotografia del film sono eccelsi, cupo, freddo e nero.
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Babadook e' un film del 2014, opera prima della regista jennifer kent. Babadook consiste in un horror psicologico molto interessante, volto non tanto a spaventare ma a suscitare inquietudine e profondo fastidio per quanto cio' che accade, non e' molto diverso da cio' che accade in nuclei familiari orfani di qualcuno. Si perche' Babadook porta l'horror ad un livello metaforico molto alto, una toccante rappresentazione di una madre sola e depressa, di un figlio problematico ed insopportabile, il tutto condito da un ormai classica situazione economica difficile. Niente e' piu' attuale di questo. La regia e' veramente interessante, i colori e la fotografia del film sono eccelsi, cupo, freddo e nero. L'entita' di nome Babadook non viene mai ben mostrata accentuando la curiosita'. Buone le interpretazioni da parte del cast e un finale davvero convincente secondo me....chi e'che non ha qualche scheletro nell'armadio? Consigliato
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great steven
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giovedì 11 maggio 2017
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all'insegna di king, ma privo di truculenza.
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BABADOOK (USA, 2014) diretto da JENNIFER KENT. Interpretato da ESSIE DAVIS, NOAH WIESEMAN, DANIEL HENSHALL, HAYLEY McELHINNEY, BARBARA WEST
Morto il padre Oskar, Amelia, infermiera presso un centro diurno di disabili anziani, si arrangia come può nel crescere il figlio di sei anni Samuel. Il marito perse la vita in un incidente stradale prima ancora che il piccolo nacque, in quanto Amelia ancora era gestante.
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BABADOOK (USA, 2014) diretto da JENNIFER KENT. Interpretato da ESSIE DAVIS, NOAH WIESEMAN, DANIEL HENSHALL, HAYLEY McELHINNEY, BARBARA WEST
Morto il padre Oskar, Amelia, infermiera presso un centro diurno di disabili anziani, si arrangia come può nel crescere il figlio di sei anni Samuel. Il marito perse la vita in un incidente stradale prima ancora che il piccolo nacque, in quanto Amelia ancora era gestante. La vita nel quartiere non comincia secondo gli auspici più idilliaci: Samuel combina disastri alla cuginetta, figlia di Claire, la sorella minore di Amelia, e ne riceve frasi umilianti; la signora Roach, vicina di casa della donna e del pargolo, si impressiona facilmente e teme di continuo che qualcosa di male possa loro accadere; a scuola Samuel si distingue più che altro per i comportamenti anarcoidi, le fuoriuscite dolorose sul suo passato luttuoso e la mancanza di interesse nelle materie di studio. La situazione è definitivamente sull’orlo del baratro, per quanto Amelia, che sul lavoro è fortunatamente aiutata da Robbie, collega comprensivo e servizievole, cerchi di mascherarla nell’altro senso. Ma il peggio deve ancora venire: i due scoprono di aver in casa un libro di favole, Babadook. Il testo sembra raccontare una storia per l’infanzia, ma la densità di immagini raccapriccianti, fogli che sembrano animarsi per conto proprio e frasi che spingono a pensieri dell’orrore convince ben presto Amelia a sospenderne la lettura e a bruciare il volume. Ma proprio mentre tenta di allontanare quel demone da sé, ecco che lui si nutre della sua paura e riappare sempre più frequentemente a disturbare la quiete della loro casa. In un alternarsi impreciso e frenetico di giorni e notti, Amelia precipita in una psicosi maniaco-depressiva che la spinge a rivolgersi con aggressività nei confronti del figlio, totalmente inebriato da Babadook (mostro proteiforme capace di insinuarsi ovunque e di manifestare voce e pensiero propri), al punto da diffidare della madre fino a legarla. La donna, rinchiusa in cantina, strappa le corde, uccide il piccolo cane bianco che avevano come animale domestico e, galvanizzata morbosamente da una serie di allucinazioni che le fanno rivedere Oskar e gli fanno pronunciare parole spiazzanti, Amelia sfoga la sua furia omicida su Samuel. Cosa accade dopo? Il mostro viene finalmente reso inoffensivo e imprigionato nel seminterrato, oppure ha avuto il sopravvento e Samuel è all’altro mondo? Il finale, momento ambiguo per antonomasia (non ci si fa, infatti, dissuadere dal clima gaio e tranquillo della festicciola), sembra voler suggerire che Samuel sia ormai una proiezione della mente malata della madre, incapace di elaborare un lutto così gigantesco da procurarsene un altro e precipitare senza più ritorno nell’abisso della follia. Ma la fine è aperta anche ad interpretazioni più ottimistiche. È il bello di questo horror australiano indipendente che fa sue moltissime lezioni di Stephen King, che addirittura lo definì "profondamente disturbante". I suoi ingredienti per un thriller casalingo ci sono tutti: infanzia disastrata; bambino intelligente e aperto a cose nuove ma non capace del libero arbitrio, madre tormentata con la psiche fragile e predisposta agli attacchi d’ansia e di panico; ambiente circostante che si anima fino a diventare cosa viva ed entità movente, agente e ordinatrice; essere mostruoso di ignota provenienza che si alimenta delle fantasie dei bambini, ma li teme e dev’essere sicuro che loro lo cerchino per portare a compimento mansioni sataniche autoimposte. Riesce ad impressionare, ma anche a restituire dignità alla figura della madre, per molto tempo sì preda degli snervamenti psicotici, eppure con un barlume di lucidità e sanità mentale che sparluccica di tanto in tanto, capitando sempre in un momento dove il bivio fra sopravvivenza e morte devasta e schiaccia una scelta da compiersi rapidamente. Ottima la scelta di rappresentare più spesso la casa col buio, ma anche l’idea di alternare a più riprese la luce mattutina con le tenebre notturne dà i suoi esiti. Grande gioco di squadra fra la regista e l’attrice principale: Kent concentra l’85% del materiale narrativo negli interni, addensando la tensione drammatica, la sua esplosione e il pathos dell’istante spaventoso fra quelle quattro mura in cui si muove furtivo il mostro di carta con muso sogghignante, ed E. Davis, col suo volto scavato dalla sofferenza ma mai monocorde, si aggira nello spazio come il più lestofante, propositivo e agguerrito dei fantasmi, unendo ad un affetto smisurato per il figlio la decisione ossessiva, a suo modo perfino demoniaca, di mettere a tacere la diabolica voce che s’è ormai scissa in due: il turbolento ricordo del marito morto e la sua reincarnazione nel libro di favole che gliela ributta addosso con l’aggiunta di una vaga ma terrificante onnipotenza. Bel lavoro anche nella limatura dei personaggi di contorno. Un quartiere australiano lontano dalla costa in cui i giovani genitori assistono chi ha vissuto molto più a lungo di loro e sa come prendere i bambini. Una salubre ventata di pallore e interrogativi irrisolti sul cinema horror d’oltreoceano. Da vedere in sala cinematografica preferibilmente intorno a mezzanotte!
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marci
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lunedì 24 luglio 2017
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sopravvalutato
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Carico di aspettative per le recensioni avute, sono rimasto piuttosto deluso. Il problema e' che e' NOIOSO. Dall'inizio alla fine si ripetono sempre le stesse scene, senza nessuna evoluzione o arricchimento della storia, e anche le parti di suspence sono le solite ( porte che si aprono, rumori nella notte, persone che volano portate via dalle entita' sovrannaturali). Altro problema e' che non si capisce mai quando la situzione e' reale oppure onirica, e questa confusione rende tutta la sceneggiatura barcollante: quando c'e' il mostro sogna sempre e quindi e' frutto tutto di una allucinazione della protagonista? Rimane interessante (ma gia' ampiamente visto) il progressivo degrado psichico della protagonista "alla Shining" e la recitazione e la faccia del bambino.
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Carico di aspettative per le recensioni avute, sono rimasto piuttosto deluso. Il problema e' che e' NOIOSO. Dall'inizio alla fine si ripetono sempre le stesse scene, senza nessuna evoluzione o arricchimento della storia, e anche le parti di suspence sono le solite ( porte che si aprono, rumori nella notte, persone che volano portate via dalle entita' sovrannaturali). Altro problema e' che non si capisce mai quando la situzione e' reale oppure onirica, e questa confusione rende tutta la sceneggiatura barcollante: quando c'e' il mostro sogna sempre e quindi e' frutto tutto di una allucinazione della protagonista? Rimane interessante (ma gia' ampiamente visto) il progressivo degrado psichico della protagonista "alla Shining" e la recitazione e la faccia del bambino. Il finale a mio parere e' assolutamente imbarazzante.
Piccola osservazione maschilista: quando le regie sono opera di una donna, noto spesso che i film godano di un pregiudizio positivo da parte della critica...
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(di alberto)
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elgatoloco
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martedì 5 dicembre 2017
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efficace, in pieno
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"The Babadiook"(2014), scritto e diretto da Jennifer Kent con particolare e intelligente attenzione allo sguardo femminiale e materno sulla vita e il mondo, riesce a catturare l'attenzione non con effettacci che, peraltro, al cinema, hanno fatto il loro tempo(anche il recentissimo "Et"da Stephen King-che, tra l'altro, ha molto lodato questo"Babadook", proprio come"inquietante", ma anche come problematico, iesce meglio proprio quando prescinde da tali situazioni grandguignolesche). IL "Babadook"è traducibile come il"genius loci", volendo, con un po'di fantasia come il"POltergeist"(che dal canto suo ha avuto grandi fortune filmiche.
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"The Babadiook"(2014), scritto e diretto da Jennifer Kent con particolare e intelligente attenzione allo sguardo femminiale e materno sulla vita e il mondo, riesce a catturare l'attenzione non con effettacci che, peraltro, al cinema, hanno fatto il loro tempo(anche il recentissimo "Et"da Stephen King-che, tra l'altro, ha molto lodato questo"Babadook", proprio come"inquietante", ma anche come problematico, iesce meglio proprio quando prescinde da tali situazioni grandguignolesche). IL "Babadook"è traducibile come il"genius loci", volendo, con un po'di fantasia come il"POltergeist"(che dal canto suo ha avuto grandi fortune filmiche...)ed è al tempo stesso un vero archeitpo dell'inconscio collettivo(Jung, credo, possa aiutarci molto, a"decifrare"temi ricorrenti, leitmotive della letteratura e del cinema, ma non solo, della fiaba, del cartoon etc.) , un"ricorrente"-revenant delle paure, Qui viene esplicitato-materializzato, ma con intelligenza e il finale non è da leggere come "happy end"oppure come "Mero compromesso"ma piuttosto come capacità di adeguamento della psicologia materna e del bambino a quanto sfugge a una comprensione in chiave meramente logico- deduttiva.Da indagare con attenzione, anche nei momenti che sembrano"tranquilli"(feste di compleanno etc.), dove invece poi emerge il nascosto-l'"incriptato"... l'inconscio, in altri termini. Da approfondire, forse, anche comparandolo con altri "testi"(in accezione semiotica e semiologica)come la citata serie filmica di "Poltergeist"ma anche con tanti materiali letterari, con altri testi provenienti anche dalla fiaba, proprio per stabilire che il film e la sua autrice Kent, a differenza di altri, sono riusciti, tra l'altro, a stabilire quell'"intelligenza"(nell'accezione letterale, propriamente)psicologica del rapporto con la paura, la sua"gestione"(come con la rabbia, volendo, ma certo in altri termini)che è comunque sempre necessaria, noN solo utile... Essie Davis(la madre)è interprete efficace, come lo è il piccolo NOah Wiseman. El Gato
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figliounico
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sabato 13 gennaio 2024
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donne curatevi
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Un horror soprannaturale che si offre ad una interpretazione alternativa di tipo psicoanalitico del 2014 diretto da Jennifer Kent con protagonista assoluta una straordinaria Essie Davis nel ruolo della giovane donna depressa condannata a vivere con i sensi di colpa per aver causato indirettamente la morte violenta del marito. Film direi molto sopravvalutato che ha avuto un tale successo di pubblico da far diventare il nome del mostro fantasmatico che dà il titolo alla pellicola sinonimo del Boogeyman anglosassone e del Baubau italiano, insomma un’ennesima rappresentazione cinematografica del personaggio favolistico dell’Uomo nero che da sempre ed in ogni parte del mondo i genitori utilizzano per tenere buoni i figli terrorizzandoli, un sistema adottato anche dal potere per governare i popoli.
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Un horror soprannaturale che si offre ad una interpretazione alternativa di tipo psicoanalitico del 2014 diretto da Jennifer Kent con protagonista assoluta una straordinaria Essie Davis nel ruolo della giovane donna depressa condannata a vivere con i sensi di colpa per aver causato indirettamente la morte violenta del marito. Film direi molto sopravvalutato che ha avuto un tale successo di pubblico da far diventare il nome del mostro fantasmatico che dà il titolo alla pellicola sinonimo del Boogeyman anglosassone e del Baubau italiano, insomma un’ennesima rappresentazione cinematografica del personaggio favolistico dell’Uomo nero che da sempre ed in ogni parte del mondo i genitori utilizzano per tenere buoni i figli terrorizzandoli, un sistema adottato anche dal potere per governare i popoli. Il finale ambiguo lascia lo spettatore nel dubbio che il demone con tuba e mantello esista davvero e non soltanto nella mente malata della poveretta. Noha Wieseman di soli sette anni merita una citazione a parte per la sua recitazione assolutamente naturale che lo rende credibile nella parte del bambino problematico e iperattivo, quello che una volta si sarebbe detto una piccola peste e che oggi necessita di un’insegnante di sostegno, sul quale la madre scarica le proprie nevrosi ed angosce come purtroppo spesso accade in parecchie famiglie.
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morganakam
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domenica 26 aprile 2015
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thriller/horror
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Anche secondo me è un bel film ma è pieno di difetti, infatti ci sono parecchie imprecisioni. La storia sembra abbastanza singolare, perché è inusuale che un libro ci minacci...però ci sono tante ispirazioni oltre a Boogeyman, ma anche Poltergeist, Shining (come già detto) o pure film più recenti sulle possessioni, così come la presenza di un cane in famiglia che capisce tutto. In alcuni versi, infatti, il film è un po' prevedibile anche se devo dire che è abbastanza inquietante e angoscioso.
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Anche secondo me è un bel film ma è pieno di difetti, infatti ci sono parecchie imprecisioni. La storia sembra abbastanza singolare, perché è inusuale che un libro ci minacci...però ci sono tante ispirazioni oltre a Boogeyman, ma anche Poltergeist, Shining (come già detto) o pure film più recenti sulle possessioni, così come la presenza di un cane in famiglia che capisce tutto. In alcuni versi, infatti, il film è un po' prevedibile anche se devo dire che è abbastanza inquietante e angoscioso. Per buona parte il film non fa paura e non è horror (sembra più un thriller psicologico), poi da metà in poi si entra di più nello scenario horror. (Io quindi lo classificherei come un thriller/horror). Invece mi è piaciuto questo lato thriller psicologico, il rapporto tra la madre e il bambino anche se effettivamente non si capisce che malattia abbia il bambino, chi ha lasciato il libro in camera (una madre non controlla quotidianamente la camera del proprio bambino?? - boh). Entrambi sono bravi attori così come i personaggi sono stati creati molto bene, anche qui è strano il rapporto madre-figlio e si arriva a pensare fino a che punto una madre cerca di proteggere il proprio figlio e viceversa, in alcuni versi mi è venuto quasi da commuovermi perché mi sentivo un po' come il bambino. (ho varie cose in comune con lui, solo che io non ero sfacciata e aggressiva come lui). Poi ci sono dei personaggi che compaiono solo per brevissimo tempo che non si sa da dove appaiano (il collega della madre, gli assistenti sociali chi li ha chiamati?). Secondo me le scene horror invece sono fatte molto bene e sembrano anche al minimo, si poteva mostrare anche di più. Anche il finale non mi ha convinto del tutto.
In conclusione però il film è molto inquietante e avvincente e lo consiglio. Voto finale: 8 che corrisponde a 4 stelline.
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[+] il collega e gli assistenti sociali
(di giovannino ricci)
[ - ] il collega e gli assistenti sociali
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themaster
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domenica 26 luglio 2015
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bello ma non un capolavoro
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Da tempo il cinema horror è in crisi,una crisi da cui non è facile uscire in quanto,almeno fino ad ora si pensava che sull'horror si avesse già detto tutto,tuttavia da un po di tempo l'Australia,tra gli altri ha prodotto alcuni prodotti di livello,distribuiti per la gran parte dalla Koch Media,che ora con il progetto Midnight Factory si ripromette di riportare in auge un genere ormai sottovalutato e snobbato,uno di questi prodotti è infatti Babadook di Jennifer Kent,una regista esordiente che con il suo primo lungometraggio,mette un tassello fondamentale nel cinema horror contemporaneo,ma vediamo perchè.
Da un punto di vista tecnico la pellicola presenta una fotografia (che cambia nel finale) algida e spettrale che aumenta in maniera esponenziale l'inquietudine nello spettatore,sembra la fotografia di Snowpiercer mista a quella di Sinister,mista a quella di The Conjuring,a livello di trucco è veramente notevole e il montaggio è reso ottimamente andando ad incollare i tasselli del puzzle in modo geniale.
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Da tempo il cinema horror è in crisi,una crisi da cui non è facile uscire in quanto,almeno fino ad ora si pensava che sull'horror si avesse già detto tutto,tuttavia da un po di tempo l'Australia,tra gli altri ha prodotto alcuni prodotti di livello,distribuiti per la gran parte dalla Koch Media,che ora con il progetto Midnight Factory si ripromette di riportare in auge un genere ormai sottovalutato e snobbato,uno di questi prodotti è infatti Babadook di Jennifer Kent,una regista esordiente che con il suo primo lungometraggio,mette un tassello fondamentale nel cinema horror contemporaneo,ma vediamo perchè.
Da un punto di vista tecnico la pellicola presenta una fotografia (che cambia nel finale) algida e spettrale che aumenta in maniera esponenziale l'inquietudine nello spettatore,sembra la fotografia di Snowpiercer mista a quella di Sinister,mista a quella di The Conjuring,a livello di trucco è veramente notevole e il montaggio è reso ottimamente andando ad incollare i tasselli del puzzle in modo geniale.
Gli interpreti principalmente sono due ovvero Essie Davis che sembra una sorta di Naomi Watts invecchiata di dieci anni che è bravissima nel ruolo di una madre alienata,profondamente depressa,che odia il figlio di sette anni in quanto lo incolpa della morte di suo marito (preferisco non fare ulteriori spoilers) e Noah Wiseman che interpreta un ragazzino affetto da numerosi disturbi della personalità,anch'egli alienato a causa di una madre ossessiva e che si vergogna di lui,i due vivono separati dal mondo allontanando tutte le persone che potrebbero volergli bene e qui ci si ricongiunge alla faccenda del trucco,tutti i comprimari sono truccati in modo da risultare sgradevoli alla vista,in modo particolare i due assistenti sociali che sembrano delle figure sinistre,in questo il film ricorda il cinema della corrente espressionista tedesca,fon film come Nosferatu,lo stesso Babadook,la creatura ricorda il personaggio citato per aspetto fisico e trucco,oltre poi a svariate citazioni sempre a questo tipo di cinema. La regia invece cita largamente Stanley Kubrick,si ha infatti una gran cura dei dettagli e della geometria delle inquadrature che sono quasi sempre fisse,con pochi movimenti di macchina,in particolare c'è una scena in cui madre e foglio si svegliano e la videocamera li inquadra da davanti e i due sono disposti nell'inquadratura con assoluta precisione e vediamo la lampada della madre tutta sporca e sudicia,simbolo dell'età che avanza e del fatto che la madre è ormai sporca,non più pura,mentre il bambino che ancora non è stato intaccato dalla follia della madre alla sua sinistra ha una lampada linda e pulita,metafora visiva che ho adorato,oppure la scena in cui loro due mangiano che da l'idea della depressione e della lontananza che intercorre tra i due,questo aspetto è valorizzato dal montaggio,questa pellicola per come è strutturata (la storia delle inquadrature fisse eccetera) mi ha ricordato quello che aveva fatto Carpenter in La Città Verrà Distrutta all'Alba,il maestro aveva infatti creato un film fatto di montaggio e inquadrature fisse,Babadook non raggiungerà mai quel livello di calibrazione e perfezione essendo differente anche nell'intento,quello di Carpenter era un vero e proprio esperimento registico,questo no.
I riferimenti che la Kent utilizza sono coltissimi,ad esempio c'è una scena riguardante Essie Davis che è Mario Bava al 100% oppure il modo in cui è reso Babadook ricorda moltissimo gli assassini degli slasher come Profondo Rosso eccetera. Tutto il film è una metafora sulla depressione e sull'uscita da essa,Babadook è infatti un simbolo,un'idea,la metafora della depressione della madre,non a caso questa entità è stata creata proprio da lei,e la risoluzione del finale fa capire come un lutto,un periodo di depressione o un trauma sia un qualcosa che nasce e si sviluppa dentro come un tumore ed è impossibile da cancellare,ci si può solo convivere anche se a malincuore e nutrirlo,con la parte più profonda e oscura della propria anima,quella parte che chiunque si augura non venga mai fuori e il finale,da molti reputato brutto,per chi lo ha capito è un finale geniale,per come è messo in scena e per come è scritto,un film che pur non essendo perfetto raggiunge livelli difficili da raggiungere,l'horror dell'anno? Sì ma non solo per suo merito,in quanto quest anno di film horror è uscita solo merda,tuttavia Babadook (anagramma di A bad book) è uno dei film più belli di quest anno? La risposta è sì,un film immenso che spaventa,inquieta,commuove e in certi tratti diverte. Voto 9
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noia1
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giovedì 6 agosto 2015
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"ba - ba - dook - dook"
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Una madre ed il proprio figlio alle prese con una presenza oscura.
Dopo un lungo periodo di crisi nel cinema horror, dopo anni di seguaci di Saw L’enigmista e le loro torture in tutte le salse, dopo il disperato tentativo d’introdurre un nuovo genere di film costruiti sui sobbalzi, ecco apparire dal nulla Jennifer Kent e smontare qualsiasi disilluso riguardo il declino inevitabile del genere horror.
Atmosfere tetre e malinconiche, si sa perfettamente a cosa si va incontro ed è una discesa inesorabile nei meandri di una catapecchia che sicuramente bene non fa al disastrato stato psicologico di una madre esaurita e del suo figlioletto, un disadattato sociale.
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Una madre ed il proprio figlio alle prese con una presenza oscura.
Dopo un lungo periodo di crisi nel cinema horror, dopo anni di seguaci di Saw L’enigmista e le loro torture in tutte le salse, dopo il disperato tentativo d’introdurre un nuovo genere di film costruiti sui sobbalzi, ecco apparire dal nulla Jennifer Kent e smontare qualsiasi disilluso riguardo il declino inevitabile del genere horror.
Atmosfere tetre e malinconiche, si sa perfettamente a cosa si va incontro ed è una discesa inesorabile nei meandri di una catapecchia che sicuramente bene non fa al disastrato stato psicologico di una madre esaurita e del suo figlioletto, un disadattato sociale.
Una storia inquietante, apparizioni, situazioni angoscianti dosate pian piano fino alla metà, arrivata la quale non ce n’è più per nessuno con un ritmo devastante, infinito, insopportabile. Tutto, c’è tutto dal mostro, ai suoni improvvisi e prolungati fino al fastidio, possessioni, una donna e il suo degrado psicofisico orrendo, soprattutto se dopo più di mezz’ora di film la si inquadra come uno dei protagonisti (nonché colei che si pone per prima a difendere il figlio). Tutto viene sfruttato per mettere a disagio, persino il visino del piccolino oppresso dal mostro e costretto agli shock di terrore dai risultati più orrendi. Trovate geniali, effetti speciali giusto per essere pronti a tutto, una favola nerissima, pesante, ficcata nel cervello, inquadrature e suoni – più che semplicemente messi in scena – letteralmente imposti sullo spettatore.
Una storia che si discosta da tutto il resto come vicenda e come formula, evidente nel finale il tentativo di sorprendere, sorprendere sempre, persino alla fine, tanto per non smettere di sconvolgere fino all’ultimo minuto di pellicola. Un film efficace soprattutto per la profondità della storia, per l’importanza che si dà ad una madre incapace di andare avanti, per il riguardo verso un bambino incapace di adattarsi, un intenso dramma cupo che scende nel terrore più puro, innovativo, sorprendente, fantasioso.
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