Babadook

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Un film di Jennifer Kent. Con Essie Davis, Noah Wiseman, Daniel Henshall, Hayley McElhinney, Barbara West (II), Benjamin Winspear, Cathy Adamek, Craig Behenna.
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Titolo originale Babadook. Horror, durata 95 min. - Australia 2014. - Koch Media uscita mercoledì 15 luglio 2015. - VM 14 - MYMONETRO Babadook * * * - - valutazione media: 3,45 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

All'insegna di King, ma privo di truculenza. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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giovedì 11 maggio 2017

 

BABADOOK (USA, 2014) diretto da JENNIFER KENT. Interpretato da ESSIE DAVIS, NOAH WIESEMAN, DANIEL HENSHALL, HAYLEY McELHINNEY, BARBARA WEST

Morto il padre Oskar, Amelia, infermiera presso un centro diurno di disabili anziani, si arrangia come può nel crescere il figlio di sei anni Samuel. Il marito perse la vita in un incidente stradale prima ancora che il piccolo nacque, in quanto Amelia ancora era gestante. La vita nel quartiere non comincia secondo gli auspici più idilliaci: Samuel combina disastri alla cuginetta, figlia di Claire, la sorella minore di Amelia, e ne riceve frasi umilianti; la signora Roach, vicina di casa della donna e del pargolo, si impressiona facilmente e teme di continuo che qualcosa di male possa loro accadere; a scuola Samuel si distingue più che altro per i comportamenti anarcoidi, le fuoriuscite dolorose sul suo passato luttuoso e la mancanza di interesse nelle materie di studio. La situazione è definitivamente sull’orlo del baratro, per quanto Amelia, che sul lavoro è fortunatamente aiutata da Robbie, collega comprensivo e servizievole, cerchi di mascherarla nell’altro senso. Ma il peggio deve ancora venire: i due scoprono di aver in casa un libro di favole, Babadook. Il testo sembra raccontare una storia per l’infanzia, ma la densità di immagini raccapriccianti, fogli che sembrano animarsi per conto proprio e frasi che spingono a pensieri dell’orrore convince ben presto Amelia a sospenderne la lettura e a bruciare il volume. Ma proprio mentre tenta di allontanare quel demone da sé, ecco che lui si nutre della sua paura e riappare sempre più frequentemente a disturbare la quiete della loro casa. In un alternarsi impreciso e frenetico di giorni e notti, Amelia precipita in una psicosi maniaco-depressiva che la spinge a rivolgersi con aggressività nei confronti del figlio, totalmente inebriato da Babadook (mostro proteiforme capace di insinuarsi ovunque e di manifestare voce e pensiero propri), al punto da diffidare della madre fino a legarla. La donna, rinchiusa in cantina, strappa le corde, uccide il piccolo cane bianco che avevano come animale domestico e, galvanizzata morbosamente da una serie di allucinazioni che le fanno rivedere Oskar e gli fanno pronunciare parole spiazzanti, Amelia sfoga la sua furia omicida su Samuel. Cosa accade dopo? Il mostro viene finalmente reso inoffensivo e imprigionato nel seminterrato, oppure ha avuto il sopravvento e Samuel è all’altro mondo? Il finale, momento ambiguo per antonomasia (non ci si fa, infatti, dissuadere dal clima gaio e tranquillo della festicciola), sembra voler suggerire che Samuel sia ormai una proiezione della mente malata della madre, incapace di elaborare un lutto così gigantesco da procurarsene un altro e precipitare senza più ritorno nell’abisso della follia. Ma la fine è aperta anche ad interpretazioni più ottimistiche. È il bello di questo horror australiano indipendente che fa sue moltissime lezioni di Stephen King, che addirittura lo definì "profondamente disturbante". I suoi ingredienti per un thriller casalingo ci sono tutti: infanzia disastrata; bambino intelligente e aperto a cose nuove ma non capace del libero arbitrio, madre tormentata con la psiche fragile e predisposta agli attacchi d’ansia e di panico; ambiente circostante che si anima fino a diventare cosa viva ed entità movente, agente e ordinatrice; essere mostruoso di ignota provenienza che si alimenta delle fantasie dei bambini, ma li teme e dev’essere sicuro che loro lo cerchino per portare a compimento mansioni sataniche autoimposte. Riesce ad impressionare, ma anche a restituire dignità alla figura della madre, per molto tempo sì preda degli snervamenti psicotici, eppure con un barlume di lucidità e sanità mentale che sparluccica di tanto in tanto, capitando sempre in un momento dove il bivio fra sopravvivenza e morte devasta e schiaccia una scelta da compiersi rapidamente. Ottima la scelta di rappresentare più spesso la casa col buio, ma anche l’idea di alternare a più riprese la luce mattutina con le tenebre notturne dà i suoi esiti. Grande gioco di squadra fra la regista e l’attrice principale: Kent concentra l’85% del materiale narrativo negli interni, addensando la tensione drammatica, la sua esplosione e il pathos dell’istante spaventoso fra quelle quattro mura in cui si muove furtivo il mostro di carta con muso sogghignante, ed E. Davis, col suo volto scavato dalla sofferenza ma mai monocorde, si aggira nello spazio come il più lestofante, propositivo e agguerrito dei fantasmi, unendo ad un affetto smisurato per il figlio la decisione ossessiva, a suo modo perfino demoniaca, di mettere a tacere la diabolica voce che s’è ormai scissa in due: il turbolento ricordo del marito morto e la sua reincarnazione nel libro di favole che gliela ributta addosso con l’aggiunta di una vaga ma terrificante onnipotenza. Bel lavoro anche nella limatura dei personaggi di contorno. Un quartiere australiano lontano dalla costa in cui i giovani genitori assistono chi ha vissuto molto più a lungo di loro e sa come prendere i bambini. Una salubre ventata di pallore e interrogativi irrisolti sul cinema horror d’oltreoceano. Da vedere in sala cinematografica preferibilmente intorno a mezzanotte!

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