no_data
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martedì 31 marzo 2015
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frammenti pasoliniani. rivissuti da nuovi corpi ed altre voci
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Chi sceglie di vedere questo film non deve aspettarsi una ricostruzione storico-narrativa della vita dello scrittore, né un omaggio commemorativo. Ferrara risponde poeticamente a un'urgenza che è quella di riascoltare frammenti di Pasolini. Come se egli rivivesse attraverso altri corpi ed altre voci.
Dafoe compie un'azione mimetica incredibile, pur restando se stesso. I personaggi che gli ruotano attorno sono echi di un passato che è ancora visibile, per chi è in grado di vedere, in certe zone oscure della città. Avvengono scambi di identità che sono evocativi: Ninetto (Davoli) diventa Eduardo (De Filippo) e (Riccardo) Scamarcio diventa Ninetto.
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Chi sceglie di vedere questo film non deve aspettarsi una ricostruzione storico-narrativa della vita dello scrittore, né un omaggio commemorativo. Ferrara risponde poeticamente a un'urgenza che è quella di riascoltare frammenti di Pasolini. Come se egli rivivesse attraverso altri corpi ed altre voci.
Dafoe compie un'azione mimetica incredibile, pur restando se stesso. I personaggi che gli ruotano attorno sono echi di un passato che è ancora visibile, per chi è in grado di vedere, in certe zone oscure della città. Avvengono scambi di identità che sono evocativi: Ninetto (Davoli) diventa Eduardo (De Filippo) e (Riccardo) Scamarcio diventa Ninetto.
Il film va sentito, più che razionalizzato. E la sua forza sta proprio nel fatto che spiazza, disillude le attese e i pregiudizi!
Domande e perplessità restano sul fatto che la distribuzione del film in dvd neghi la possibilità di vedere il film con l'audio originale, cioè inglese, italiano e francese. Unica traccia audio: l'italiano. Doppiaggio, a mio parere, forzato e discutibile (anche se approvato dal regista). La voce di Fabrizio Gifuni (per quanto interessante in altri contesti) qui diventa una sovrapposizione stonata. Scelta dettata da un'idea, più che ad una reale ed improbabile corrispondenza sonora con le voci del protagonista (Pasolini/Dafoe). Ma la forza del corpo e del volto di Willem Dafoe, delle parole di Pasolini, della musica (la Passione di Bach e altre tracce provenienti dal cinema pasoliniano) sono capaci di farci andar oltre gli interpreti (addio mìmesis). Il film tocca i sensi, i nervi e la mente. Soddisfa il nostro bisogno di bere un altro po' di Pier Paolo Pasolini.
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francesco2
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mercoledì 25 febbraio 2015
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speranza e disillusione
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L'inizio del film non promette bene.
E' legittimo nutrire il sospetto che anche Ferrara, di cui tutto si può dire ma non che sia un
regista ossequioso rispetto ai canoni, sia caduto nella trappola del film didascalico. Ed
invece, l'omaggio del regista di "New Rose Hotel", è legato all'Immanenza Trascendente del
Totò che visse due volte", alla speranza ininterrotta che mai si estingue.
E' allora che l'artista si fonde con la sua opera -In questo caso incompiuta, se ho capito
bene-, ed i personaggi di contorno non sono più figurine di dubbia efficacia -La madre, per
esempio-; ma parte di un grande affresco corale.
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L'inizio del film non promette bene.
E' legittimo nutrire il sospetto che anche Ferrara, di cui tutto si può dire ma non che sia un
regista ossequioso rispetto ai canoni, sia caduto nella trappola del film didascalico. Ed
invece, l'omaggio del regista di "New Rose Hotel", è legato all'Immanenza Trascendente del
Totò che visse due volte", alla speranza ininterrotta che mai si estingue.
E' allora che l'artista si fonde con la sua opera -In questo caso incompiuta, se ho capito
bene-, ed i personaggi di contorno non sono più figurine di dubbia efficacia -La madre, per
esempio-; ma parte di un grande affresco corale.
Riflessioni e divulgazioni: man mano che il film avanza, il già citato "Totò che visse due
volte"si fonde parzialmente con un'altra, grande opera di Ferrara, "The Funeral". Possono
sembrare due film molto diversi, tanto quello era intriso di riflessioni esistenziali, filosofiche,
forse teologiche. Ma se si pensa al titolo originale -"The Funeral", appunto-, in fondo anche
qui si celebra il FUNERALE della cultura, che porta l'artista a esplicitare determinate
considerazioni, a costo di suscitare sospetti di aristocraticismo.
Ma il film, in compenso, è tutto fuorché aristocratico, è una celebrazione dell'arte popolare
proprio dove si teme la massificazione del sapere. Ecco cheil sesso e l'omosessualità
assumono una valenza trash così lontana dal kitczch, in uno dei codici linguistici del film, che
altrove non rinuncia affatto alle musiche di sottofondo ed ad un'iconografia differente.
Forse perché l'unico modo per fare un film efficace su Pasolini era costruire un lavoro
complesso, anche acosto di sembrare o essere contraddittorio. Come complesso risultava
essere lui.
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voland
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giovedì 4 dicembre 2014
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ma pasolini non c'è
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Il film non riesce quasi mai a mettere a fuoco la complessa figura dello scrittore-regista Racconto per frammenti, con prolungate scene spesso fuorvianti e dispersive, sembra che il regista fatichi a portare il lavoro agli 87' dell'opera.
Il finale sposa la tesi, ormai quasi accertata, che ad uccidere Pasolini siano state più persone. Lasciamo che la sua biografica o autobiografia, sia nei i suoi scritti e i suoi film.
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bruno venturi
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giovedì 27 novembre 2014
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abel ferrara/pasolini: un capolavoro
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"Tu te ne porti di costui l'etterno / per una lagrimetta che 'l mi toglie; / ma io farò de l'altro altro governo!" pesante come la luce del b.n che Tonino Delli Colli, 'inventò' per Accattone, mi torna alla memoria questa epigrafe dantesca già usata da Pasolini, vedendo questo 'Pasolini' di Abel Ferrara; perché uscendo dalla visione folgorante di questo film si ha la certezza che questo film-capolavoro non potrà essere capito e compreso da tutti -e in questo senso P. sarà ancora martoriato, seviziato, ucciso. Perché "...la solitudine non sta nel non poter più comunicare, ma nel non poter più essere compresi", amava ricordare Pier Paolo nei suoi ultimi anni di vita.
Chi non conosce quella vita disperatamente intensa, quelle vicende artistiche che, di questi tempi, basterebbero a farne una decina di vite.
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"Tu te ne porti di costui l'etterno / per una lagrimetta che 'l mi toglie; / ma io farò de l'altro altro governo!" pesante come la luce del b.n che Tonino Delli Colli, 'inventò' per Accattone, mi torna alla memoria questa epigrafe dantesca già usata da Pasolini, vedendo questo 'Pasolini' di Abel Ferrara; perché uscendo dalla visione folgorante di questo film si ha la certezza che questo film-capolavoro non potrà essere capito e compreso da tutti -e in questo senso P. sarà ancora martoriato, seviziato, ucciso. Perché "...la solitudine non sta nel non poter più comunicare, ma nel non poter più essere compresi", amava ricordare Pier Paolo nei suoi ultimi anni di vita.
Chi non conosce quella vita disperatamente intensa, quelle vicende artistiche che, di questi tempi, basterebbero a farne una decina di vite...; insomma, chi non è entrato in Pasolini come Ferrara ha fatto -con quel rigore austero inimmaginabile, con quella ricchezza filologica, e soprattutto con quell'umiltà (cosa che sembra erroneamente impossibile 'imputare' ad un regista americano) non può entrare in questo film. E ne resta fuori. E farà del nostro poeta 'altro governo' ancora.
E' stupefacente la somiglianza non solo fisica che Dafoe è riuscito a mettere in quest'opera. Sono stupefacenti gli occhi di Adriana Asti nell'anima della madre. E' giusto aver messo Francesco Siciliano (figlio del grande Enzo, amico di Pier Paolo) nei panni dell'ultimo intervistatore. Impressiona la mano leggera di Ferrara nell'impegno d'essersi cercato i luoghi, le luci, i figli che interpretano i padri. E, mi ripeto, è impressionante il rigore registico, che non indugia mai, che riesce sempre a stare un passo indietro -tanto da far dire a qualcuno che il Pasolini di Dafoe sembra un 'avatar', senza comprendere che Pier Paolo non avrebbe mai potuto accettare questo mondo, se non come un 'avatar', e ne sarebbe uscito prima, se non ne fosse stato tratto fuori con quella violenza.
Chi non conosce le vicende relative a 'Petrolio', al soggetto di 'Porno Teo Kolossal', al montaggio finale di 'Salò', e non ha mai letto l'intervista intitolata 'Siamo tutti in pericolo', non può capire che tutto ciò poteva accadere in una sola giornata di un uomo che era 'diverso' -ma per forza di pensiero, per coraggio, per capacità di sorriso. Chi non ha mai pianto sentendo Laura Betti (che era tutto l'amore non corrisposto di quella sua grande vita) recitare 'Supplica a mia madre', probabilmente resterà fuori da questo film, e non ne sentirà dolore, non ne patirà la mancanza.
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bruno venturi
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giovedì 27 novembre 2014
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pasolini di abel ferrara: un capolavoro
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A parte 'Pasolini. Un delitto italiano' di Marco Tullio Giordana -importante per il tipo di indagine documentatissima che avanza-la cinematografia italiana non si è mai arrischiata sul terreno impervio di provare a raccontare in un film una vita complessa, apparentemente contradittoria e scandalosa come quella di Pier Paolo Pasolini. Ci doveva riuscire un regista americano -e già prima c'era riuscita, su tempi molto più lunghi, la biografia 'Pasolini Requiem' di Barth David Schwarz, la miglior biografia scritta finora, sempre d'autore americano. Ferrara decide di partire dall'ultima giornata della vita del grande poeta italiano. Diverse biografie sullo stesso autore, partono dalla sua morte, dai suoi ultimi giorni, dal suo ultimo grido.
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A parte 'Pasolini. Un delitto italiano' di Marco Tullio Giordana -importante per il tipo di indagine documentatissima che avanza-la cinematografia italiana non si è mai arrischiata sul terreno impervio di provare a raccontare in un film una vita complessa, apparentemente contradittoria e scandalosa come quella di Pier Paolo Pasolini. Ci doveva riuscire un regista americano -e già prima c'era riuscita, su tempi molto più lunghi, la biografia 'Pasolini Requiem' di Barth David Schwarz, la miglior biografia scritta finora, sempre d'autore americano. Ferrara decide di partire dall'ultima giornata della vita del grande poeta italiano. Diverse biografie sullo stesso autore, partono dalla sua morte, dai suoi ultimi giorni, dal suo ultimo grido. 'La morte, compie sulla vita di un uomo, un lavoro di montaggio definitivo', amava ripetere Pasolini. Ed ecco allora che tornano gli amici, i suoi cari -la madre Susanna, meravigliosamente interpretata da Adriana Asti- Laura Betti, Nico Naldini, e Ninetto Davoli che impersona quell'Eduardo De Filippo che Pier Paolo avrebbe voluto protagonista di un suo soggetto intitolato 'Porno Teo Kolossal'. Torna il figlio del grande amico -e importantissimo biografo- Enzo Siciliano, nei panni dell'ultimo intervistatore Furio Colombo. Torna Roberto, l'attuale proprietario della Trattoria 'Al Biondo Tevere', nei panni di suo padre. E torna anche quel senso di elegante sobrietà che doveva essere di Pier Paolo, senza quella 'forza di vivere' e quel sorriso che solo noi, da qui, dal suo Paese avremmo potuto riconoscergli. La morte, l'esecuzione a morte, è raccontata senza retorica -e senza nemmeno quella retorica che vorrebbe l'omicidio maturato inumanamente nell'ambiente omosessuale. Il pianto, il grido di Susanna (Adriana Asti), tra le braccia di Laura Betti, è quello che si sentì in Via Eufrate, quella domenica 2 novembre. Chi viveva in quei tempi, ricorda dov'era e cosa faceva quando si apprese la notizia. Chi conosce Pasolini sa che non se ne può parlare come di un classico, di un autore incasellabile in un bignami di vita e opere. La vicenda umana e poetica di Pier Paolo Pasolini richiede un grande impegno, richiede conoscenza e rischio. L'ignoranza -davanti a questo film, e nella vita tutta- è una colpa. Ferrara ha capito tutto ciò ed ha capito Pasolini.
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emylio spataro
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lunedì 20 ottobre 2014
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bell'omaggio filmico allo scrittore
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Questo PASOLINI di Abel Ferrara è un bell'omaggio filmico allo scrittore. Così aveva scritto sul suo passaporto: non regista, cineasta, letterato, intellettuale, giornalista, poeta, sceneggiatore, drammaturgo, e altro ancora, ma semplicemente scrittore. "Abolire i mezzi di controllo di massa del potere, come la televisione, perchè a causa di essa non ci sono piú esseri umani, ma solo macchine che si scontrano l'una contro l'altra, omologandosi, per volere tutti le stesse cose, comportarsi tutti nello stesso modo, manovrati come marionette dal potere".
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Questo PASOLINI di Abel Ferrara è un bell'omaggio filmico allo scrittore. Così aveva scritto sul suo passaporto: non regista, cineasta, letterato, intellettuale, giornalista, poeta, sceneggiatore, drammaturgo, e altro ancora, ma semplicemente scrittore. "Abolire i mezzi di controllo di massa del potere, come la televisione, perchè a causa di essa non ci sono piú esseri umani, ma solo macchine che si scontrano l'una contro l'altra, omologandosi, per volere tutti le stesse cose, comportarsi tutti nello stesso modo, manovrati come marionette dal potere". Questa la sintesi del rivoluzionario pensiero Pasoliniano, che emerge dall'ultima intervista rilasciata al giornalista Furio Colombo, poche ore prima della sua flagellazione all'idroscalo di Ostia. Il bel film del regista americano ci mostra proprio l'ultima giornata di Pasolini, che sembra lunga una vita, sapientemente montata in meno di 90 minuti. Intensa la maschera tragica di Adriana Asti nelle vesti della madre. A Ninetto Davoli, l'unico ex ragazzo di vita che ha continuato a fare film con il maestro, è affidato un intarsio visionario e poetico tra suggestive annunciazioni del messia e rituali orgiastici on the road. L'erotismo dei "corpi senz'anima" pervade la pellicola. Una sublime fotografia nel riprendere scorci di Roma confeziona il buon prodotto. Dimenticavo Willem Dafoe, perché è un neo del film, non ricordando a mio avviso quasi per nulla Pasolini (anche se affermano il contrario), ma non dico fisicamente a parte le pieghe labiali e l'aria cupa, proprio nell'essenza interpretativa, sembra piuttosto uno stilizzato avatar. Questa estraneazione dal personaggio avviene forse perchè l'attore é troppo hollywoodiano, mentre forse sarebbe stato piú credibile uno de nostri bravi attori italiani. Il film comunque é abbastanza riuscito e non delude le aspettative.
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massimocantone
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mercoledì 15 ottobre 2014
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lei è uno spettatore di serial tv
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il suo è il tipico giudizio dello spettatore televisivo abituato ad essere servito e riverito. Si sforzi per piacere di comprendere e di pensare che non le è dovuta una spiegazione, non so se ha mai letto la poesia, si cimenti e studi. Inoltre si tratta dell'ultimo giorno di Pasolini e non degli ultimi mesi e sull'interpretazione, lei è il solito arbitro che crederebbe a tutti le simulazioni di falli. Non è uno spettatore interessante, meglio resti a casa a vedere la t v.
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gable3
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sabato 11 ottobre 2014
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un film con due davoli ?
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Il film mi ha lasciato un grosso amaro in bocca. Senza conoscere nei dettagli le opere di Pasolini, uno spettatore "ignorante" (quale mi reputo, rispetto a Pasolini), non può collocare i lavori dello scrittore inseriti nella messa in scena del film. Esasperate molte scene di sesso omo ed etero che fanno da contrappunto alla presenza di Scamarcio e Davoli (che ho letto come la personificazione atemporale di Ninetto Davoli in due persone, ieri e oggi), il primo convertito ad una vita "normale", il secondo alla ricerca di risposte "altre". Risposte che non arrivano e spingono i due a chiedersi : ed ora ? La frase chiave del film, valida sia per l'autore che per gli spettatori: aspettiamo, qualcosa succederà.
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veritasxxx
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lunedì 6 ottobre 2014
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dafoe e il default pasoliniano
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Abel Ferrara si imbatte nell'ardua impresa di realizzare un film su uno dei personaggi più controversi della storia del secondo dopoguerra e approfitta della straordinaria somiglianza di Willem Dafoe con Pasolini e le capacità recitative del bravo attore americano per affidare ad uno dei più poliedrici attori del momento la responsabilità della riuscita del film, incentrando sui suoi sguardi, i suoi atteggiamenti e le sue parole la maggior parte delle inquadrature.
Già, perche la sceneggiatura di "Pasolini" è piuttosto asciutta se non propriamente scarna, e consiste nella rappresentazione dell'ultimo giorno di vita del regista, scrittore, poeta e intellettuale italiano, mostrandone anche il lato più umano meno conosciuto (il rapporto affettivo con la madre, l'amicizia che lo legava a Ninetto Davoli e altri aspetti meno noti), e presentando la febbrile creatività del protagonista attraverso brevi cameo di racconti di lavori sui quali PierPaolo stava lavorando prima della sua prematura morte.
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Abel Ferrara si imbatte nell'ardua impresa di realizzare un film su uno dei personaggi più controversi della storia del secondo dopoguerra e approfitta della straordinaria somiglianza di Willem Dafoe con Pasolini e le capacità recitative del bravo attore americano per affidare ad uno dei più poliedrici attori del momento la responsabilità della riuscita del film, incentrando sui suoi sguardi, i suoi atteggiamenti e le sue parole la maggior parte delle inquadrature.
Già, perche la sceneggiatura di "Pasolini" è piuttosto asciutta se non propriamente scarna, e consiste nella rappresentazione dell'ultimo giorno di vita del regista, scrittore, poeta e intellettuale italiano, mostrandone anche il lato più umano meno conosciuto (il rapporto affettivo con la madre, l'amicizia che lo legava a Ninetto Davoli e altri aspetti meno noti), e presentando la febbrile creatività del protagonista attraverso brevi cameo di racconti di lavori sui quali PierPaolo stava lavorando prima della sua prematura morte. Due interviste con un giornale francese e con la Stampa ci forniscono un panorama del pensiero dell'autore e la sua accesa critica alla società borghese del tempo, al ruolo dei media e dell'educazione scolastica (Pasolini era stato insegnante in una prima fase della sua carriera) e al consumismo sfrenato e distruttivo che avrebbe creato mostri ben più spaventosi con il ventennio berlusconiano, di cui Pasolini aveva fiutato in qualche modo il contesto sociale qualunquista che ne avrebbe permesso l'ascesa.
Nel film sono presenti Ninetto Davoli, che interpreta uno dei personaggi di un progetto per un nuovo film su cui Pasolini stava lavorando, Maria de Medeiros nella parte di Laura Betti, fraterna amica di PierPaolo, e Adriana Asti che impersona la madre Susanna con grande sensibilità. Purtroppo le presenze di Riccardo Scamarcio nelle vesti di Ninetto Davoli da giovane e di Valerio Mastandrea nel ruolo del cugino Nico Naldini sono assolutamente prive di nota e quasi imbarazzanti, per chi conosce i due attori abituati ad essere protagonisti di una certa (discutibile) produzione italiana che commette l'errore di affidarsi ad attori specializzati esclusivamente in certi ruoli. E come volevasi dimostrare, in questo frangente i due risultano fuori luogo come due pesci fuor d'acqua e totalmente anonimi.
Altri film dedicati a Pasolini avevano mostrato in maggiore dettaglio altri aspetti della vita dell'autore. In particolare "Un mondo d'amore" di Aurelio Grimaldi era incentrato sui primi problemi con la giustizia del PierPaolo insegnante agli inizi della sua carriera di scrittore, mentre "Pasolini, un delitto italiano" di Marco Tullio Giordana mostrava le indagini della polizia successive al suo omicidio nel tentativo di individuare i veri mandanti del delitto. Numerosi documentari hanno fornito ritratti più o meno complessi della figura di uno degli artisti più completi del nostro paese e più riconosciuti all'estero in tempi recenti, per cui rimane da chiedersi cosa offra di più il Pasolini di Ferrara a quanto già è stato scritto, detto o filmato su di lui. Non molto a dire il vero, a parte l'ottima interpretrazione di Dafoe. La scena della morte del protagonista, pur se ben realizzata e molto vicina agli elementi noti dell'inchiesta, elude ogni ipotesi complottista e viene descritta come una banale giustizia privata di un gruppo di ragazzotti locali a cui non andavano troppo a genio le effusioni tra persone dello stesso sesso in quel del lungomare di Ostia. Se solo Pasolini fosse sopravvissuto al gay pride magari avrebbe trovato qualche altre forma di sessualità alternativa, visto il suo rifiuto per tutte le convenzioni sociali.
Devo purtroppo ammettere che il momento topico del film è stato fornito da un evento estraneo alla proiezione. In sala sedevano due giovani donne nella fila dietro alla mia, forse attratte da una critica esageratamente positiva letta su qualche giornale. Nella prima scena del film il protagonista di un romanzo in progress di Pasolini, assiduo frequentatore dei salotti del potere in compagnia di militari e alti prelati, si ritrova in un prato di notte a soddisfare oralmente un gruppo di ragazzi di strada che approfittano a turno della sua disponibilità. Alla visione pur censurata dell'atto sessuale, le ignare e perbeniste fanciulle hanno commentato: "...Ma che davero?"
Pasolini colpisce ancora.
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pepito1948
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lunedì 6 ottobre 2014
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il grande profeta
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Esclusa la via del biopic, come fare a sintetizzare filmicamente e dare un senso ed un’anima all’immenso mondo di Pasolini e tutto ciò che fu, poeta, scrittore, autore e regista cinematografico, articolista, profeta (a sua insaputa) e tante altre cose, riassumibili in una sola definizione: pensatore? Personalità multiforme, multitonale e multi-tutto, e anche per tendenza anti-tutto, Pasolini non è inquadrabile in uno schema strutturato, omogeneo, né a lui sarebbe piaciuto essere considerato tale. La ricchezza di Pasolini non riempiva vuoti e pause, erano questi che fuggivano dalla sua vita. La sua coerenza camaleontica era connotata da un modo di essere, di vivere che si esprimeva in un estremismo a tutto campo che faceva uso di ogni strumento di comunicazione utilizzabile, anche quelli più comunemente usati ed abusati come la TV, l’intervista, o le forme più libere e nobili del pensiero come le arti.
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Esclusa la via del biopic, come fare a sintetizzare filmicamente e dare un senso ed un’anima all’immenso mondo di Pasolini e tutto ciò che fu, poeta, scrittore, autore e regista cinematografico, articolista, profeta (a sua insaputa) e tante altre cose, riassumibili in una sola definizione: pensatore? Personalità multiforme, multitonale e multi-tutto, e anche per tendenza anti-tutto, Pasolini non è inquadrabile in uno schema strutturato, omogeneo, né a lui sarebbe piaciuto essere considerato tale. La ricchezza di Pasolini non riempiva vuoti e pause, erano questi che fuggivano dalla sua vita. La sua coerenza camaleontica era connotata da un modo di essere, di vivere che si esprimeva in un estremismo a tutto campo che faceva uso di ogni strumento di comunicazione utilizzabile, anche quelli più comunemente usati ed abusati come la TV, l’intervista, o le forme più libere e nobili del pensiero come le arti. La violenza di cui era quotidianamente oggetto, violenza centripeta che proveniva a raggiera da tutte le parti, veniva da lui rintuzzata con il pugnale o la spada, la fredda pacatezza della sua superiorità intellettuale, l’ironia. Ma Pasolini conosceva anche l’intima vibrazione della dolcezza, dell’amore, del sesso, dell’amicizia, del piacere di giocare a pallone in periferia con i “suoi” ragazzi o di stare da solo con i suoi libri o volteggiare tra le sue riflessioni che, una volta esternate, lasciavano una scia incancellabile.
Tutto questo nelle mani di un autore “normale” scadrebbe nella banalità, nella biografia o agiografia santificante magari accurata ma secondo schemi precostituiti. Abel Ferrara, regista americano mai hollywoodiano (quantomeno nello spirito), nato e vissuto nel Bronx, grande conoscitore della violenza delle dinamiche sociali e del potere, non ha resisitito alla tentazione di immedesimarsi in un uomo allora scomodo per tutti ma a lui molto vicino e suo dichiarato maestro, di entrare nel suo mondo sempre più declinante verso un pessimismo cosmico, dove gli uomini seguono come marionette il triplice imperativo: avere, possedere, distruggere. E di questo uomo e di questo mondo esprime l’essenza più significativa facendoli esplodere come un big bang in una sola frazione del tempo vitale, cioè l’ultimo giorno di vita contiguo al suo estremo opposto, la morte, una morte violenta, quasi teatrale nella sua tragicità o forse brutale ineluttabilità.
In una sequenza apparentemente disordinata si alternano gli affetti, con l’adorata (ed adorante) madre, con i parenti stretti, con l’amica Laura Betti sempre sopra le righe, con un Ninetto Davoli nel racconto mentre ascolta e guarda con la famiglia e con rapita attenzione il maestro che gli parla di un suo film in gestazione (l’incompiuto Porno-Teo-Kolossal), un Davoli dirottato in carne ed ossa come interprete del Re Magio Epifanio protagonista dello stesso film. Il pensiero socio-filosofico è sostanzialmente affidato all’intervista con Furio Colombo “Siamo tutti in pericolo”, un grido disperato di allarme per l’umanità che sembra profetizzare la propria tragica fine avvenuta dopo qualche ora dall’incontro con il giornalista (“"Ecco il seme, il senso di tutto. Tu non sai neanche chi adesso sta pensando di ucciderti. Metti questo titolo, se vuoi: "Perché siamo tutti in pericolo""). C’ poi il Pasolini visionario, favolista, picaresco, tragico che si esprime nella metafora di Epifanio e il servitore Nunzio (quasi D. Chisciotte e S. Panza) che, attraverso un viaggio guidato da una cometa (l’ideologia) e passando attraverso quattro città simboliche, perseguono un fine che non ha fine, ma, nella delusione, acquisiscono una maggiore conoscenza della realtà del mondo, in attesa di qualcosa che forse accadrà. C’è ancora la sessualità di Pasolini, decisa, ossessiva, mai vissuta nel dubbio o nel buio viscerale di una colpa addossatagli vigliaccamente da una società reazionaria ed omofoba. C’è una morte orrenda, in cui il corpo di Pasolini, quel corpo pieno di vitalità, di inarrestabile dinamismo e semplice eleganza, viene maciullato dalla violenza barbara di alcuni balordi e costretto a stemperarsi come ultima ingiuria nello squallore fangoso del degrado ambientale dell’Idroscalo.
Ferrara non ci racconta la vita di Pasolini, ma attraverso una sintesi originale di frammenti, atti e fatti, ci dà un’idea piuttosto aderente alla realtà della sua complessità psicologica, emotiva, intellettiva, intuitiva e della sua sferzante grandezza in un mondo troppo piccolo e grezzo per capirne tutta la capacità di analisi e la dimensione profetica. E lo fa mantenendo un amorevole distacco dal personaggio, quasi con il riverenziale rispetto del discepolo che tuttavia non esita a mettere in luce qualche ombra per rimarcarne la contraddittorietà, quindi la profonda umanità, di un genio che storicamente sarà prima tollerato, poi “perdonato”, quindi esaltato solo anni dopo la sua morte. Avvenuta poco dopo aver vaticinato, tramite Colombo, al mondo: attenti, l’inferno sta salendo verso di voi!
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