
Titolo originale | BABAM, DEVRIM VE BEN |
Anno | 2013 |
Genere | Documentario |
Produzione | Svizzera, Turchia |
Durata | 80 minuti |
Regia di | Ufuk Emiroglu |
Attori | Ufuk Emiroglu . |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 6 dicembre 2013
L'identità conquistata nel corso di una lotta politica viene messa in discussione da un trasferimento.
CONSIGLIATO SÌ
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In turco, Ufuk significa orizzonte, un nome non comune che i genitori scelsero di dare alla regista in linea con le loro idee progressiste. Parliamo, del resto, di una coppia che ha militato nel partito comunista turco negli anni Settanta, tra centri culturali e rappresaglie fino al colpo di stato e alla fuga dalla patria per raggiungere la Svizzera. Proprio lì è cresciuta questa figlia della rivoluzione, sempre nel mito di convinzioni legate a una figura paterna complessa e ostinata, ricercata e allontanata, amata e forse compresa fino in fondo.
In un passaggio preciso, la regista scopre le carte, affermando di intendere la «telecamera digitale come un filtro emotivo con cui è possibile aprire qualsiasi vaso di Pandora». Niente di più chiaro e calzante. Intanto perché è proprio l'emotività, un misto di gaio distacco e posata partecipazione, l'ottica attraverso cui seguiamo questa storia famigliare, ma soprattutto perché l'indagine sulla propria storia personale porta con sé stretti collegamenti con i mali di quella collettiva. Scegliendo l'approccio cronologico, dallo sbocciare della passione politica nel padre alla propria nascita fino all'età adulta, Ufuk Emiroglu non anticipa dettagli sulle attuali condizioni dei vari personaggi/famigliari come a voler rendere il racconto più avvincente nel suo stesso divenire, quasi a cercare una suspense.
Quello che inizia come un film incentrato sulla situazione politica di una nazione, pur presentando le stesse figure, cambia varie pelli, si muta in dolente album famigliare, agenda di una liberazione personale per poi sostanziarsi come l'oggetto-linguaggio attraverso cui Ufuk riuscirà a esprimersi d'ora in poi. Dopotutto è la ricerca della propria identità il tema centrale di Mon père, la révolution et moi, quella naturale emancipazione dalle figure genitoriali cui segue, nella migliore delle ipotesi, un cammino nuovo e pacificato: la rivoluzione della protagonista/regista, allora, sta proprio nell'aver saputo accettare la complessità di un padre che, davanti ai suoi giovani occhi, da eroe diventa prima falsificatore e poi inventore perso dietro al sogno del moto perpetuo.
Quella linea fantasiosa che da Jules Verne, citato in apertura, arriva fino all'episodio in cui si confutano acclarate leggi fisiche per pura ostinazione è recepita da uno stile dove animazione, fumetti e reinvenzioni varie svegliano il ritmo, danno colore, spesso semplificano. Un film volutamente eterogeneo, tutto in prima persona e per questo egocentrico, non di rado anche confuso (le ricostruzioni live action di alcuni momenti del passato famigliare, il personaggio del fratello), ma vitale e riconciliante.