dandy
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martedì 26 ottobre 2021
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"tutto ''sto casino per una bottiglia..."
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Film-resoconto su un atto di inconcepibile bestialità ingiustificata(considerata da Amnesty International come "la più grave soppressione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale" )sullo sfondo di una vicenda altrettanto tragica e devastante,quella del G8 del 2001.Il regista,che ricostruisce luoghi ed eventi a Bucarest con gran dispiego di mezzi,sceglie una narrazione corale spezzettando la vicenda tra varie situazioni e personaggi (c'è anche il paradosso degli unici 4 Black block che evitano tutto nascondendosi nel bar di fronte alla scuola).Non lesina in crudezze nel mettere in scena sia i pestaggi bestiali nella scuola sia le successive sevizie perpetrate in caserma,e suscita giustamente una forte indignazione.
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Film-resoconto su un atto di inconcepibile bestialità ingiustificata(considerata da Amnesty International come "la più grave soppressione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale" )sullo sfondo di una vicenda altrettanto tragica e devastante,quella del G8 del 2001.Il regista,che ricostruisce luoghi ed eventi a Bucarest con gran dispiego di mezzi,sceglie una narrazione corale spezzettando la vicenda tra varie situazioni e personaggi (c'è anche il paradosso degli unici 4 Black block che evitano tutto nascondendosi nel bar di fronte alla scuola).Non lesina in crudezze nel mettere in scena sia i pestaggi bestiali nella scuola sia le successive sevizie perpetrate in caserma,e suscita giustamente una forte indignazione.Ma la denuncia vera e propria resta in superficie,con semplici personaggi allusivi(Santamaria è idspirato a Michelangelo Fournier;Sbragia ad ArnaldoLa Barbera;Ravello a Roberto Sgalla;Gerardi a Francesco Gratteri e Roja a Massimo Nucera)e nessun vero approfondimento su cosa ha generato una situazione così disumana.E le continue digressioni narrative(con l'insistente ripresa a rallenti della bottiglia scagliata che funge da detonatore per la vicenda)pesano sulla narrazione.Anche la condanna "politica" si ferma a un breve apparizione di Berlusconi in tv per sostenere le menzogne messe in circolazione dopo i fatti.Quel genere di cinema colpisce più allo stomaco chre alla mente,ma robusto e girato con indubbia maestria,necessario per mantenere vivo il ricordo e lo sdegno nei confronti di una vicenda tanto vergognosa quanto ignobile perchè rimasta sostanzialmente impunita,come mostrano le didascalie finali sulle lievissime condanne subite da una minima parte dei responsabili.Da confrontare con "The summit" e "Sulla mia pelle".
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derriev
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venerdì 16 novembre 2012
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più documentario che film
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"Diaz - Non pulite quel sangue" come film ha un limite; invece come documentario sarebbe valido... ma documentario non è.
La trama: i sanguinosi avvenimenti del G8 di Genova del 2001, visti attraverso le esperienze di una decina di personaggi delle opposte fazioni: dimostranti e Polizia nella scuola Diaz.
Il film non segue la struttura classica, dato che parla di tante storie ma non ne approfondisce nemmeno una, e come tale potrebbe essere un documentario, che conserva in se questa facoltà, ovvero quella di passare dall'una all'altra.
Così, con buona pace del regista, bisogna ammettere che "Diaz" manca uno degli obiettivi intrinseci del Cinema: l'immedesimazione dello spettatore.
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"Diaz - Non pulite quel sangue" come film ha un limite; invece come documentario sarebbe valido... ma documentario non è.
La trama: i sanguinosi avvenimenti del G8 di Genova del 2001, visti attraverso le esperienze di una decina di personaggi delle opposte fazioni: dimostranti e Polizia nella scuola Diaz.
Il film non segue la struttura classica, dato che parla di tante storie ma non ne approfondisce nemmeno una, e come tale potrebbe essere un documentario, che conserva in se questa facoltà, ovvero quella di passare dall'una all'altra.
Così, con buona pace del regista, bisogna ammettere che "Diaz" manca uno degli obiettivi intrinseci del Cinema: l'immedesimazione dello spettatore.
Da questo punto di vista, però, risulta un'operazione magistrale: "Diaz" trasporta da uno scenario all'altro con la facilità e rapidità di una enorme "dolly" sospesa nel tempo e nello spazio di quei giorni di Genova.
Ma lo scotto da pagare è quello di avere l'impressione di, appunto, "solo" un reportage, perquanto di notevole e accurata fattura.
Le scene del pestaggio nella scuola sono crude ed efferate, come è giusto che possano essere rappresentate.
Un'opera robusta ed apprezzabile e alla fine che sia o non sia Cinema, non è questo il punto.
Data la gravità dei fatti, l'importante è che "Diaz" sia.
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pepito1948
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martedì 24 aprile 2012
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i vetri infranti
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Il vetro può significare tante cose. Un cristallo di Boemia, un colorato manufatto di Murano, una bottiglia di Coca Cola, una finestra…. In ogni caso vetro significa trasparenza, e trasparenza richiama pulizia, nitidezza, limpidezza e, per estensione, tutto ciò che si può ricondurre a queste proprietà, come il rispetto delle regole, la correttezza e quindi la democrazia. Una bottiglietta vuota che lentamente sale e poi scendendo si schianta a terra o contro qualcos’altro in un contesto di guerra, in una rappresentazione filmica vuol dire che qualcosa di trasparente e di maledettamente importante si è rotto, è andato in mille pezzi. Similmente in frantumi, sotto una gragnola di colpi contundenti, vanno i vetri delle finestre di una scuola, luogo simbolo in cui i ragazzi vengono forniti degli strumenti per diventare protagonisti di se stessi e, spesso, del futuro della società.
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Il vetro può significare tante cose. Un cristallo di Boemia, un colorato manufatto di Murano, una bottiglia di Coca Cola, una finestra…. In ogni caso vetro significa trasparenza, e trasparenza richiama pulizia, nitidezza, limpidezza e, per estensione, tutto ciò che si può ricondurre a queste proprietà, come il rispetto delle regole, la correttezza e quindi la democrazia. Una bottiglietta vuota che lentamente sale e poi scendendo si schianta a terra o contro qualcos’altro in un contesto di guerra, in una rappresentazione filmica vuol dire che qualcosa di trasparente e di maledettamente importante si è rotto, è andato in mille pezzi. Similmente in frantumi, sotto una gragnola di colpi contundenti, vanno i vetri delle finestre di una scuola, luogo simbolo in cui i ragazzi vengono forniti degli strumenti per diventare protagonisti di se stessi e, spesso, del futuro della società. In una notte di 11 anni fa la democrazia andò in frantumi, e le sue schegge, ormai inerti, si sparsero taglienti ed arrossate in una città che sembrava Santiago ed i suoi orrori di quasi 40 anni fa. La Costituzione, quella che conta, quella che non ammette deroghe, quella che parla di uomini, di diritti, di tutele, fu stracciata, bruciata, umiliata. Dalle finestre di quella scuola entrò uno tsunami di violenza e di brutalità che non si fermò davanti a niente e a nessuno, non davanti al sangue che si rapprendeva su cose e persone, non davanti al vecchio militante sindacale o all’imprenditore che si trovavano lì per caso, non davanti alla ragazza piagata che, con le cosce insanguinate, chiedeva alla sua aguzzina un assorbente che le fu sprezzantemente negato e sostituito con un foglio raggomitolato di giornale. Non rimase un solo vetro intatto in quella scuola devastata dalla violenza inarrestabile di chi vince e non sa accontentarsi della vincita e vuole vincere e vincere ancora, salvo due bottiglie incendiarie che nessuno aveva visto prima. Garage Olimpo, la notte delle matite spezzate, lo stadio di Santiago; mille immagini si accavallano mentre i rumori amplificati che parlano di sofferenza, di oggetti spaccati, di insulti, di trappole per topi tolgono spazio a qualsiasi riparo psicologico come la possibilità che forse non è andata proprio così, forse è finzione cinematografica, forse era solo una reazione ad una violenza precedente. Quella notte furono massacrati i corpi di 90 persone ma anche altre cose immateriali, ma non per questo meno importanti come le idee, i diritti, la solidarietà, la speranza che gli autori di tutto questo –dai mandanti ai progettisti, agli organizzatori, agli esecutori, ai fiancheggiatori, ai sobillatori, alle improvvisate claques per le strade cittadine- si vergognassero e chiedessero scusa. I misfatti divennero legali azioni di pulizia, il Potere si affacciò in televisione per inscenare una recita rassicurante, la sabbia lentamente coprì tutto tranne alcune cuspidi, troppo alte e visibili per scomparire. La Costituzione fu pazientemente ricomposta, ma rimasero le piccole crepe come di un prezioso foglio di pergamena rimasto a lungo piegato. E la bottiglia di vetro? Fu ricomposta anche quella, ma, si sa, il vetro è fragile e potrebbe ricadere….Tutto questo ci fa vedere, sentire, ascoltare, toccare, evocare il film perfetto (comprese le illuminanti didascalie finali) di Vicari e di un coraggioso produttore, Domenico Procacci, di cui si parla poco ma senza il quale molte opere di denuncia sociale non potrebbero vedere la luce. Se la Diaz non può diventare il museo della memoria della violenza di Stato, questo film ne è una degna rappresentazione virtuale e multisensoriale, ed è bene che venga visionato da tutti coloro che non vogliono dimenticare o ignorare. E che vogliono contribuire a disincrostare e rendere di nuovo trasparenti tutti i vetri della nostra fragile democrazia.
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matteolago
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martedì 24 aprile 2012
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la festa della liberazione
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Ho scelto di andare al cineforum a vedere DIAZ con i miei giovani cugini. Entrambi nel pieno dell'adolescenza, entrambi con una coscienza politica del tutto embrionale.
Mi piace pensare che possano formarsi un'idea di stato non legata alla Tv propagandistica, alle altrettanto propagandistiche parole dei nostri genitori. Tutti troppo impegnati a pulire via il sangue di stato. Il Ruby-gate suscita indignazione e prese di posizione. Mentre parole come "Diaz", "Piazza Fontana", "Piazza della Loggia", "stragismo", "anni di piombo" e così via perdono importanza e scalpore. Non voglio che i miei cuginetti crescano con la disillusione tipica di questo secolo - tanto in Italia si insabbia tutto... -
Mi chiedo come possiamo pensare di abitare in un paese libero quando ancora accettiamo inermi simili verdetti giudiziari e umiliazioni istituzionali.
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Ho scelto di andare al cineforum a vedere DIAZ con i miei giovani cugini. Entrambi nel pieno dell'adolescenza, entrambi con una coscienza politica del tutto embrionale.
Mi piace pensare che possano formarsi un'idea di stato non legata alla Tv propagandistica, alle altrettanto propagandistiche parole dei nostri genitori. Tutti troppo impegnati a pulire via il sangue di stato. Il Ruby-gate suscita indignazione e prese di posizione. Mentre parole come "Diaz", "Piazza Fontana", "Piazza della Loggia", "stragismo", "anni di piombo" e così via perdono importanza e scalpore. Non voglio che i miei cuginetti crescano con la disillusione tipica di questo secolo - tanto in Italia si insabbia tutto... -
Mi chiedo come possiamo pensare di abitare in un paese libero quando ancora accettiamo inermi simili verdetti giudiziari e umiliazioni istituzionali. Dopo 38 anni Piazza della Loggia ha i suoi innocenti, come li ha avuti Piazza Fontana.
Domani è il 25 aprile. Festa della Liberazione. Sarebbe altrettanto bello pensare se ci siamo veramente liberati. Se il fascismo non è stato sostituito a qualcosa di ancor più viscerale e subdolo. Se pensare che non valga la pena combattere perchè gli organi di controllo non solo mancano, ma a volte sparano pure non sia il nuovo fascismo, da tempo insediato nelle nostre case.
Un sentito grazie a regista e produttori.
Consiglio questo film a chi espone i tricolori in onore dei nostri militari rapiti o uccisi nelle guerre, dimenticando che spesso i civili compiono atti più eroici, perchè senza medaglie e spesso senza stipendio.
Gradirei se qualcuno mi spiegasse perchè non si sarebbe parlato della Scuola Diaz senza questo film. Di Piazza Fontana senza "Romanzo di una strage". Di Peppino Impastato senza "I Cento Passi". Di camorra senza "Gomorra". E probabilmente non si parlerà di Rossella Urru prima che qualche produttore cinematografico la trovi una storia affascinante. E così via.
E così, viva l'Italia. Viva il 25 Aprile.
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(di lalli)
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fabrizio dividi
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sabato 14 aprile 2012
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la notte dei diritti spezzati
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Quando il cinema si occupa di storia recente si assume molti rischi ed una precisa responsabilità. Rischi perché il ricordo dei fatti è ancora vivido, o almeno così sembra, visto che ognuno è geloso del proprio, e pronto a contestare il punto di vista degli altri; perché ci sono protagonisti in carne ed ossa che si vedono rappresentati sullo schermo in maniera inevitabilmente distorta e, soprattutto in episodi come il G8 di Genova, perché si trattano temi che hanno diviso e scosso polemicamente l'opinione pubblica in misura così profonda e persistente.
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Quando il cinema si occupa di storia recente si assume molti rischi ed una precisa responsabilità. Rischi perché il ricordo dei fatti è ancora vivido, o almeno così sembra, visto che ognuno è geloso del proprio, e pronto a contestare il punto di vista degli altri; perché ci sono protagonisti in carne ed ossa che si vedono rappresentati sullo schermo in maniera inevitabilmente distorta e, soprattutto in episodi come il G8 di Genova, perché si trattano temi che hanno diviso e scosso polemicamente l'opinione pubblica in misura così profonda e persistente.
La responsabilità però è ancora più vincolante, e concerne il dovere etico stesso dell'autore teso a preservare, per quanto possibile, quel che possiamo descrivere sinteticamente con la parola "Verità".
Il regista Vicari si assume consapevolmente il fardello di rischi e doveri trasformandoli in ali e fa volare alto la sua creatura: Diaz è un film potente, scuote le coscienze con i nudi fatti, descrive con perspicace equilibrio un evento spinoso della nostra storia con il potere del mezzo cinematografico sapientemente dosato e di cui non abusa in nessuna circostanza. Il miracolo sta proprio qui, entrare nel cuore dei fatti, anche senza calcare la mano, se si vanno a rileggere le ricostruzioni processuali riconosciute veritiere al di là di ogni dubbio, di quella notte a Genova. E il film raggiunge l'obiettivo senza lasciarsi tentare da un giudizio politico, fin troppo ovvio nelle sue conclusioni, che è compito della storia e dello spettatore (o meglio sarebbe del cittadino) e non di un cinema che cali dall'alto la sua morale come una scure sullo spirito critico dell'opinione pubblica. In questo senso le opposizioni stucchevoli da destra e da sinistra sono sterili, arrotolate su se stesse e su una dialettica incancrenita da svariati decenni e in un clima italico che nessuna riconciliazione storica è mai riuscito a svelenire e che non può lasciarsi sfuggire un'occasione così ghiotta per ri-inasprire il confronto.
Eppure esiste un terreno di discussione appropriato per un giudizio spassionato di Diaz ed è quello meramente artistico. Assistiamo al ritorno ad un cinema puro, che non mette la regia in primo piano né il divo di turno in prima pagina e che si affida a poche ma funzionali forme di linguaggio cinematografico che impreziosiscono un opera tra le migliori italiane del decennio. Come il rallenty del lancio di una bottiglia che accompagna la scansione temporale ellittica del racconto e che ricorda il roteare dell'osso (proto-arma assoluta) del kubrickiano "2001"; come l'uso della lingua nella confusa babele comunicativa insieme documentale ( il social forum era un oggettivo e in parte utopico sogno di trasversalità culturale) ed estraniante nelle sequenze più drammatiche in cui sono le botte a parlare; come le ricostruzioni accurate, anche nelle inquadrature, che riportano con efficacia ai tg di quei giorni drammatici, quasi a confondersi con essi grazie ad una fotografia più sgranata e contrastata. Ed infine nella pennellata espressionista e caricaturale di cui si connotano alcuni personaggi, mai nominati con il loro nome come sfregio più grande (ricordate l'assassino di Jesse James? Troppo infame per ricordarne l'identità), e che riportano alla interminabile e grottesca galleria iconica di registi come Zampa, Rosi, Petri fino a Garrone e Sorrentino stessi. Allo stesso modo, Diaz scardina e spolpa il potere con il semplice utilizzo della Storia, asciutta, inattaccabile e per questo terribilmente morale, l'unico modo possibile per raccontare la nostra 'personale' "Notte delle matite spezzate" all'italiana. Fabrizio Dividi
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lo schiavo taita
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giovedì 26 aprile 2012
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oggi è il 25 aprile
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Oggi è il 25 aprile. Ho scelto di vedere questo film oggi, a Pesaro, dove, nella cerimonia di commemorazione del 25 aprile, era presente il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Non è possibile dare giudizi a film di questo genere. A mio parere non si può dire "bello" a un film che ti racconta un fatto di cronaca. Si può fare una valutazione sulla regia (direi ottima), sulla sceneggiatura (buona), sulla recitazione degli attori (tutti bravi, ma soprattutto tutti coinvolti nella storia alla quale hanno dato il loro contributo, alla loro immedesimazione nel ruolo svolto, anche la se la parte era piccola). Se il regista ci voleva colpire, lo ha fatto e ci è riuscito. Ha colpito dove fa più male, senza pietà, esattamente come i poliziotti del film.
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Oggi è il 25 aprile. Ho scelto di vedere questo film oggi, a Pesaro, dove, nella cerimonia di commemorazione del 25 aprile, era presente il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Non è possibile dare giudizi a film di questo genere. A mio parere non si può dire "bello" a un film che ti racconta un fatto di cronaca. Si può fare una valutazione sulla regia (direi ottima), sulla sceneggiatura (buona), sulla recitazione degli attori (tutti bravi, ma soprattutto tutti coinvolti nella storia alla quale hanno dato il loro contributo, alla loro immedesimazione nel ruolo svolto, anche la se la parte era piccola). Se il regista ci voleva colpire, lo ha fatto e ci è riuscito. Ha colpito dove fa più male, senza pietà, esattamente come i poliziotti del film. Ogni manganellata, ogni pugno, ogni schiaffo, hanno colpito anche chi era in sala. Alla fine del film, una cosa che mi ha colpito, è stato il fatto che nessuno degli spettatori riusciva ad alzarsi dalla poltrona. Tutti eravamo lì a guardare i titoli di coda che scorrevano senza leggerli. Non mi era mai successo di vedere una cosa del genere in un cinema alla fine di un film. Credo che il regista sia riuscito a rendere bene ciò che è successo nella scuola Diaz, mostrando i fatti secondo quanto raccolto dalle carte processuali, ma anche non mostrandoli, lasciando così all'immaginazione di chi assisteva. Per me, che già allora mi ero documentato attraverso le cronache dei giornali, è stata comunque dura assistere a quei fatti. Mi sono tornati in mente i racconti di chi ha vissuto l'era fascista, quando l'uso del manganello a discrezione, era consentito dalla legge, per sopprimere ciò che non stava bene al regime. Oggi è il 25 aprile, ma non mi sento di festeggiare la liberazione
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