tiamaster
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lunedì 28 novembre 2011
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il miglior film francese degli ultimi 15 anni!!!!
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Capolavoro.Ora o mai più.Durante tutta la visione del film,oltre a dimenticarti di essere davanti a uno schermo,riproduce in maniera...incredibile tutte le emozioni e le sensazioni della vita.Il film è da subito coinvolgente condito da personaggi teneri e irresistibili,interpretati da ottimi e bravissimi attori con una colonna sonora assolutamente adatta.Durante tutta la visione ridi,ma il film non perde mai lo svolgersi serio e profondo della storia,il risultato è un film delizioso tenero e divertente,ma al contempo profondo e stupendo.
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flyanto
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lunedì 28 novembre 2011
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a volte i miracoli accadono...
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Film concepito come una favola dove il protagonista assiste ad un miracolo dopo essersi a lungo adoperato per proteggere e far fuggire un clandestino. Delicato, sensibile e per chi ama il cinema di Kaurismaki fatto di situazioni ed atmosfere surreali. Molto suggestiva e malinconica la fotografia che ritrae il quartiere del porto di Le Havre.
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melania
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domenica 27 novembre 2011
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finale poco verosimile
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E' un bel film,ricco di buoni sentimenti e di splendide immagini.Ben recitato,forse un po' fiabesco nel finale......poco verosimile.
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writer58
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domenica 27 novembre 2011
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un miracolo di leggerezza
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In questo film ho ritrovato tutti i contenuti, la cifra stilistica del miglior Kaurismaki, già presenti ne "Le luci della sera" e, soprattutto, nell'ottimo "L'uomo senza passato". Vedere una pellicola del regista finlandese è un po' come prendere una macchina del tempo. Le vicende narrate sono ambientate nel presente, ma sono piene di dettagli che rimandano agli anni '50, '60 e '70: dai telefoni arcaici, alle automobili quasi preistoriche, alle case povere e arredate spartanamante (o, come è rappresentato ne "L'uomo senza passato",alle roulotte fatiscenti dove vivono gruppi di emarginati), fino alle atmosfere urbane, dove predominano i quartieri di periferia, le aggregazioni solidali di diseredati, il grigio porto di Le Havre.
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In questo film ho ritrovato tutti i contenuti, la cifra stilistica del miglior Kaurismaki, già presenti ne "Le luci della sera" e, soprattutto, nell'ottimo "L'uomo senza passato". Vedere una pellicola del regista finlandese è un po' come prendere una macchina del tempo. Le vicende narrate sono ambientate nel presente, ma sono piene di dettagli che rimandano agli anni '50, '60 e '70: dai telefoni arcaici, alle automobili quasi preistoriche, alle case povere e arredate spartanamante (o, come è rappresentato ne "L'uomo senza passato",alle roulotte fatiscenti dove vivono gruppi di emarginati), fino alle atmosfere urbane, dove predominano i quartieri di periferia, le aggregazioni solidali di diseredati, il grigio porto di Le Havre.
All'interno di questi contesti, il regista rappresenta vicende di solidarietà, di generosità tra i "dannati della terra", di riscatto o anche di perdizione ("Le luci della sera"). Lo fa con delicatezza, con ironia e con una leggerezza stilistica ammirevole. L'amore non è assente dalla scena, anzi è una delle forze che muove i personaggi, come un motore nascosto. Non è un amore sensuale, erotico, patinato, ma un affetto che lega i protagonisti, al di là dell'età, dell'invecchiamento, dei simboli di status. Le donne sono generalmente sfiorite, poco appariscenti, ma straordinarie nella loro capacità di accoglienza e di accettazione non finalizzata del partner.
Il rapporto che lega il lustrascarpe Marx con Arletty appartiene a questo tipo di relazione, così come quello che univa i protagonisti de "L'uomo senza passato". Lui è un ex-bohemmienne sessantenne che non esita davanti alla prospettiva di aiutare un ragazzino di colore (Idrissa) sfuggito ai controlli migratori, correndo il rischio di una denuncia per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, pur di aiutare il ragazzo a raggiungere l'Inghilterra.
Il film ha l'andamento di una favola agrodolce dove trionfano le ragioni degli ultimi. La malattia di Arletty regredisce miracolosamente e Idrissa s'imbarca per le coste inglesi, grazie alla complicità di un commissario di polizia.
L'autore sembra voler suggerire che un modello sociale in cui le persone ricevono un trattamento equo e rispondente ai propri bisogni e ai propri meriti non appartenga a questo mondo, ma a una dimensione dove i miracoli avvengono.
Ma l'andamento favolistico del film non ha nulla di forzato o di inverosimile, anzi stimola l'empatia dello spettatore e genera un senso di riconoscenza nei confronti di un autore originale, che si muove controcorrente rispetto alle convenzioni imperanti.
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(di writer58)
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nanà*
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domenica 27 novembre 2011
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solo nelle favole avvengono i miracoli
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Certo un buon film, ma inferiore alle aspettative. Kaurismaki costruisce una favola gradevole, non certo originale nella trama, di buon livello artistico. Punto. E non intravedo nell'intreccio quella visione speranzosa della vita che certi recensioni hanno colto. Tutt'altro: la storia si dipana nella maniera meno credibile e finisce "bene" solo perchè tutto si svolge in un mondo non reale, favolistico, popolato da personaggi a tutto tondo dove l'unico vero "cattivo" della storia (il delatore)è tale forse solo perchè in una favola ci vuole. E tutto ciò è forse sottolineato dalla recitazione straniata dei personaggi (ma qui interviene il doppiaggio....).
Assistendo alla proiezione viene inevitabilmente in mente Welcome di Loiret: niente a che vedere.
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Certo un buon film, ma inferiore alle aspettative. Kaurismaki costruisce una favola gradevole, non certo originale nella trama, di buon livello artistico. Punto. E non intravedo nell'intreccio quella visione speranzosa della vita che certi recensioni hanno colto. Tutt'altro: la storia si dipana nella maniera meno credibile e finisce "bene" solo perchè tutto si svolge in un mondo non reale, favolistico, popolato da personaggi a tutto tondo dove l'unico vero "cattivo" della storia (il delatore)è tale forse solo perchè in una favola ci vuole. E tutto ciò è forse sottolineato dalla recitazione straniata dei personaggi (ma qui interviene il doppiaggio....).
Assistendo alla proiezione viene inevitabilmente in mente Welcome di Loiret: niente a che vedere. là eravamo di fronte ad un capolavoro, nel caso di Le Havre decisamente no.
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riccardo tavani
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sabato 26 novembre 2011
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fronte del porto con ciliegio in fiore
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Lustratevi le scarpe prima di andare a vedere questo film, ovvero prima di entrare in questa favola di lustrascarpe e gente minuta dai grandi sentimenti. A che epoca si rifaceva il C'era una volta delle nostre vecchie favole ? A un'epoca indeterminata nel lontano passato. Quella di Kaurismaki, invece, oscilla tra il presente di bruciante attualità dell'immigrazione clandestina e il passato prossimo degli anni '50 – '60 dello scorso secolo, come “sistema d'immagine” dell'intero film. Tutto è di quegli anni: case, baracche, negozietti, bar, mosche da bar, bottiglie, vestiti, auto, bus, ospedali, medici, infermiere, musica, musicisti, telefoni.
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Lustratevi le scarpe prima di andare a vedere questo film, ovvero prima di entrare in questa favola di lustrascarpe e gente minuta dai grandi sentimenti. A che epoca si rifaceva il C'era una volta delle nostre vecchie favole ? A un'epoca indeterminata nel lontano passato. Quella di Kaurismaki, invece, oscilla tra il presente di bruciante attualità dell'immigrazione clandestina e il passato prossimo degli anni '50 – '60 dello scorso secolo, come “sistema d'immagine” dell'intero film. Tutto è di quegli anni: case, baracche, negozietti, bar, mosche da bar, bottiglie, vestiti, auto, bus, ospedali, medici, infermiere, musica, musicisti, telefoni. Si vede un solo telefonino e per pochi secondi: quello di un delatore che chiama la polizia per far arrestare un ragazzo immigrato. E anche le scarpe sono di oggi: da ginnastica, scamosciate, difficili se non impossibili da lustrare. Inoltre c'è l'ambiente di ingresso a un centro di immigrati a Calais con bip, cellule elettroniche, tesserini magnetici, tornelli, ecc. Il lustrascarpe si chiama Marcel Marx, la moglie Arletty, il ragazzino fuggiasco nero Idrissa. Arletty finisce in ospedale con un tumore incurabile (ma Marcel non lo sa) quando Idrissa si nasconde in un ripostiglio esterno della loro casa adibito a cuccia per il cane Laika. Uno strano commissario, di nome Monet, lo sta cercando, perché la sua fuga ha fatto scalpore, è finita sui giornali e il Prefetto di Le Havre lo vuole riacciuffare a tutti i costi. Marcel è stato anche lui una specie di fuggiasco in patria, clochard di lungo e onorato corso, cui Arletty ha dato il rifugio di una casa e di un affetto negli ultimi anni. Non ci pensa neanche un istante a dare anche lui rifugio al ragazzo africano. Ma non gli dà solo rifugio e protezione nella sua casa. No, glielo lo dà in quell'ambiente, in quella favola da Miracolo a Milano, in cui la gente per condizioni di vita e sentimenti era più vicina a quella degli attuali immigrati. Entra qui in gioco una sorta di neorealismo magico, favolistico, perché l'ambientazione, l'atmosfera è quella tipica di quel cinema, ma Kaurismaki la usa per raccontare una favola, senza nasconderlo, ovvero dicendocelo scopertamente che ci sta raccontando una fiaba e non la realtà. Se non ce lo dicesse ci ingannerebbe, perché si potrebbe pensare che il mondo di oggi è davvero così, con povera gente ricca di sentimenti, pronta ad aiutare un povero ragazzo sbattuto dalla deriva della fame nei continenti in un freddo porto d'Europa. L'autore, invece, ci sta raccontando quella favola che di noi narra, così come eravamo fino ad appena mezzo secolo fa; di quale semplicità, linearità, spontaneità di gesti concreti ci caratterizzava verso gli altri sofferenti simili a noi. E forse tutti ci comporteremmo come quel lustrascarpe, quella fornaia, quel fruttivendolo, barista, pescatore, vecchio rocchettaro, e persino quel burbero commissario Monet nei confronti dei tanti Idrissa in cui ci imbattiamo quotidianamente. Il miracolo sarebbe tornare a quella Le Havre, a quella Milano, a quel calore senza stufa, a quella nebbia diafana sulle banchine, in cui penetra uno spiraglio di sole, e un improvviso ciliegio fiorisce rigoglio, proprio davanti la porta dietro cui Idrissa si nascondeva e dormiva insieme al cane. Fronte del porto con ciliegio in fiore: il fior fiore di una fiaba, di un remoto, vicinissimo C'era una volta.
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renato volpone
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sabato 26 novembre 2011
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il miracolo in cui credere
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In questo film c'è tutto il male e tutto il bene del mondo. Il male è rappresentato dalla malattia della moglie del protagonista, incurabile, dal bambino nero clandestino che scappa e dal poliziotto che tenta di sparargli, dal vicino di casa che nella sua solitudine vive di crudele delazioni. Il bene è rappresentato dalla gente comune, dalla solidarietà, dalla bonta del cuore, dalla tenerezza del bambino che quando incontra la donna malata le dice " tu devi guarire perchè Marcel non può vivere senza di te". Il film è un vero gioiello, il tempo cambia, vivi al presente, ma l'intimità del bene nasce in scene che sembrano calate nel passato.
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In questo film c'è tutto il male e tutto il bene del mondo. Il male è rappresentato dalla malattia della moglie del protagonista, incurabile, dal bambino nero clandestino che scappa e dal poliziotto che tenta di sparargli, dal vicino di casa che nella sua solitudine vive di crudele delazioni. Il bene è rappresentato dalla gente comune, dalla solidarietà, dalla bonta del cuore, dalla tenerezza del bambino che quando incontra la donna malata le dice " tu devi guarire perchè Marcel non può vivere senza di te". Il film è un vero gioiello, il tempo cambia, vivi al presente, ma l'intimità del bene nasce in scene che sembrano calate nel passato. E' il vecchio maresciallo che ha un moto di bontà e salva il ragazzino contro i giovani poliziotti troppo zelanti. Il vecchio e il nuovo. Il vecchio cantante che torna con un concerto per aiutare il protagonista, ma canta musica nuova, giovane, rock. E la colonna sonora è un gioco di note soavi e avvolgenti. E il colore, il rosso che ravviva, il giallo del vestito bello, i tenui pastelli delle strade di Le Havre.Magnifica fotografia. Il film è una vera piccola perla.
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goldy
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venerdì 25 novembre 2011
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guerra alla retorica
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Per la serie: come dire cose pesanti con mano leggera, Kaurismaki affronta una piaga del nostro tempo con la maestria che gli è propria. Un film dove la grandezza va ricercata nelle piccole cose, nei dettagli, negli sguardi di intesa, nelle facce dei personaggi. Gente che ha sedimentato valori di solidarietà autentici come autentici sono i rapporti che legano le loro quotidianità. Non è facile sostenere la forza della bontà senza cadere nella retorica ma Kaurismaki ci riesce e ci restituisce una storia bella,vera,credibile con una grazia che incanta.
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freddykruger
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mercoledì 18 maggio 2011
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w kaurismaki!
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io tifo Kaurismaki per la Palma!
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