spike
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martedì 13 dicembre 2011
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semplice e profondo
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Un film sull'umanità di una comunità di fronte allo straniero. Un colpo di scena e un miracolo finale che ci fanno riscoprire la bellezza del cinema, lontano anni luce dall'esperienza quotidiana.
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gioinga
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martedì 13 dicembre 2011
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una favola che fa riflettere
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Un film intenso che fa riflettere sui valori buoni, spesso affondati o dimenticati da questa nostra società consumistica. Primo fra tutti la solidarietà umana, e quindi l'aiuto dell'altro che è in difficoltà. E l'altro nel nostro tempo è soprattutto l'africano che non riesce ad andare avanti nel suo paese e tenta la sorte nei nostri ricchi paesi occidentali. Protagonista di questo film è la gente povera, che vive di poco ma che è pronta a farsi in quattro per gli altri. Bravissimi attori, dalle facce molto espressive, belle la fotogrfia e la scenografia. Una favola, e quindi per certi tratti surreale, che fa molto riflettere sulla realtà dei nostri giorni.
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francesca meneghetti
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martedì 13 dicembre 2011
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se io fossi dio...
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Ancora un film sull’immigrazione, in una località di mare. Dopo aver visto film come "Io sono Li" e “Terraferma” sembra difficile trovare un approccio originale ad un problema ineludibile del mondo occidentale attuale. Eppure il regista Kaurismäkisembra aver trovato una strada, che potremmo definire di realismo magico. Non si tratta infatti di un film realistico, come si potrebbe supporre a partire dalle scene iniziali, teso a descrivere i drammi quotidiani di due comunità: una francese, che vive ai margini di una grande città, Le Havre, l’altra costituita da africani, immigrati clandestinamente. Se così fosse, il commissario di polizia avrebbe arrestato il ragazzino africano, il fruttivendolo sarebbe stato un delatore, la moglie di Marcel Marx, lustrascarpe ed ex intellettuale, sarebbe morta ed altre sciagure si sarebbero abbattute sul protagonista.
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Ancora un film sull’immigrazione, in una località di mare. Dopo aver visto film come "Io sono Li" e “Terraferma” sembra difficile trovare un approccio originale ad un problema ineludibile del mondo occidentale attuale. Eppure il regista Kaurismäkisembra aver trovato una strada, che potremmo definire di realismo magico. Non si tratta infatti di un film realistico, come si potrebbe supporre a partire dalle scene iniziali, teso a descrivere i drammi quotidiani di due comunità: una francese, che vive ai margini di una grande città, Le Havre, l’altra costituita da africani, immigrati clandestinamente. Se così fosse, il commissario di polizia avrebbe arrestato il ragazzino africano, il fruttivendolo sarebbe stato un delatore, la moglie di Marcel Marx, lustrascarpe ed ex intellettuale, sarebbe morta ed altre sciagure si sarebbero abbattute sul protagonista. Ma Kaurismäki non intende aderire alla realtà: rappresenta le cose non come sono, ma come dovrebbero essere. Dirige i personaggi e le situazioni non per tendere ad un consolatorio “happy and”, ma per mostrare come si dovrebbero comportare gli uomini e Iddio (sì,anche lui) o il destino se la vita su questa terra si svolgesse secondo natura e ragione. Ciò appare magico e miracoloso allo spettatore perché egli è immerso in quella realtà distorta e malata che il regista disapprova chiaramente. Questa chiave di lettura giustifica evidenti anacronismi, a partire dall’ambientazione anni ’50 nella foggia delle case, dell’abbigliamento, delle pettinature (femminili) che rimane confinata a quel microcosmo emarginato dalla città moderna, dove si vive fuori del tempo (non compare nemmeno la TV), dove dominano silenzi sconosciuti nelle metropoli e colori azzurri o freddi, ma dove si coltiva ancora l’umanità: un mondo dove, a dispetto dell’affermazione di Arletty (qui da noi non accadono miracoli), la stessa donna può ritornare a casa e alla salute con un abito giallo estivo, mentre fuori fiorisce un ciliegio e un ragazzino è in viaggio, in procinto di riabbracciare la madre.
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alex2044
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lunedì 12 dicembre 2011
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poesia
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Un bel film veramente un bel film. l'ennesima dimostrazione che con poco si può fare molto. Certo chi ama i lustrini non vada a vederlo ma chi ama la poesia si. Gli attori sono bravi e che soprpresa quel bravissimo cantante di nome Little Bob (tra l'altro di origini italiane). Io me lo sono goduto dall'inizio alla fine e visto che la maggioranza degli spettatori è rimasta seduta per tutti i titoli di coda non devo essere stato l'unico.Bravo Kurismaki qualche volta esageri ,come a Torino, ma come regista sei un grande. Ce ne fossero !
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emarte
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domenica 11 dicembre 2011
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grande film
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pipay
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domenica 11 dicembre 2011
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noia a le havre
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Un film sulla solitudine e l'emarginazione, sulla solidarietà e sulla generosità. Lento e costellato di scene di squallida ambientazione, rivela anche qualche pecca nella regia e nella recitazione. Non entusiasma, non avvince, e l'elogio dei buoni sentimenti è soffocato dal grigiore e dalla labilità della trama.
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(di budmud)
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(di maxs.)
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sassolino
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venerdì 9 dicembre 2011
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l'amore per la vita in un ciliegio in fiore
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E per fortuna che ci sono ancora i film di Kaurismaki!! Nuvole dense color pastello mosse da un demone fantastico che irradia di strani verdi, rossi e azzurrini le piccole case da fiammiferaie, le radio squadrate, i tanti utensili del mestiere di vivere, come quel panchetto da lustrascarpe di Marcel.
Stavolta è lui' l'antieroe che Kaurismaki ha scelto per la sua parabola poetica: ex bohemiem sulla settantina Marcel è un romantico, uno che ha sempre vissuto un po in fuga, con una moglie che improvvisamente si ammala di cancro, stessi amici di sempre, stessi piccoli contrabbandi e improvviso un piccolo eroe venuto dal'Africa da salvare. Cercherà di spedirlo a Londra il vispo Idrissa, bambino gabonese trovato come un fungo nei container del porto di Le Havre (mai cosi' bella e fiabesca).
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E per fortuna che ci sono ancora i film di Kaurismaki!! Nuvole dense color pastello mosse da un demone fantastico che irradia di strani verdi, rossi e azzurrini le piccole case da fiammiferaie, le radio squadrate, i tanti utensili del mestiere di vivere, come quel panchetto da lustrascarpe di Marcel.
Stavolta è lui' l'antieroe che Kaurismaki ha scelto per la sua parabola poetica: ex bohemiem sulla settantina Marcel è un romantico, uno che ha sempre vissuto un po in fuga, con una moglie che improvvisamente si ammala di cancro, stessi amici di sempre, stessi piccoli contrabbandi e improvviso un piccolo eroe venuto dal'Africa da salvare. Cercherà di spedirlo a Londra il vispo Idrissa, bambino gabonese trovato come un fungo nei container del porto di Le Havre (mai cosi' bella e fiabesca).
Ci riuscirà forse, grazie anche alla complicità di un commissario molto sui generis che fa la ronda dei quartieri a bordo di una vecchia Renault Gordini.
Se non vi bastano i precedenti tappeti volanti del genio finalndese, sappiate che questo vola davvero alto, sulle ali di un mondo fantastico, dove i dottori sono geni umanissimi, gli ortolani amici per sempre e le bariste dispensano saggezze senza tempo.
Per capire il succo del cinema di Kaurismakiano basterebbe questo piccolo frammento:
Commissario alla barista: Ciao Irene, mi dispiace per tuo marito, l'avevo messo in prigione io!
Barista: oh non ti dispiacere, lo sai com'era lui, un fatalista!-
Basta poco ad Aki per comunicare, parole ridotte al minimo, rose, sempre e comunque, sui letti d'ospedale, bus notturni che partono verso Calais, e che bus!! Tutti oggetti di un mondo che non c'e' più, quel mondo che il regista si ostina a sognare appartiene forse ai racconti di Maigret, appartiene a una nuvola finlandese che appare sospesa sui cieli grigi dei mattini di Helsinki.
A ben guardare è tutto inventato, tutto astrattamente realista come nei film di Melville e i criminali sono poeti mancati, i vagabondi gente che ha perso il treno.
Un film come non se ne vedono più, toccante, leggero, straziante come una canzone di Gardel. Un miracolo per gli occhi e per le orecchie.
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(di melandri)
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zadigx
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giovedì 8 dicembre 2011
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ari/welcome?
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Anche Kaurismaki Ari/dàje con l'immigrato in terra francese che anela all'Inghilterra. Il povero bambinello nero è inseguito dai turpi flics e dall'inumana legge (ma il Commissario sotto i baffetti, il cappello e l'impermeabile scuro ha un cuore grande così). Quanti film abbiamo già visto raccontare queste storie? Molti, sebbene mai abbastanza, e il suomico lo fa con stile personalissimo ed unico. Ma bastano l'ironia e il surreale alla Bunuel, la poetica degli ultimi e della semplicità di Pasolini, le scenografie, gli oggetti e le musiche anni 50 così come la fotografia da noir Wellesiano a convincerci completamente? Personalmente ho sorriso e apprezzato, ma anche sbadigliato e sofferto della mancanza di quel qualcosa in più che non fosse solo buon artigianato e citazione.
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Anche Kaurismaki Ari/dàje con l'immigrato in terra francese che anela all'Inghilterra. Il povero bambinello nero è inseguito dai turpi flics e dall'inumana legge (ma il Commissario sotto i baffetti, il cappello e l'impermeabile scuro ha un cuore grande così). Quanti film abbiamo già visto raccontare queste storie? Molti, sebbene mai abbastanza, e il suomico lo fa con stile personalissimo ed unico. Ma bastano l'ironia e il surreale alla Bunuel, la poetica degli ultimi e della semplicità di Pasolini, le scenografie, gli oggetti e le musiche anni 50 così come la fotografia da noir Wellesiano a convincerci completamente? Personalmente ho sorriso e apprezzato, ma anche sbadigliato e sofferto della mancanza di quel qualcosa in più che non fosse solo buon artigianato e citazione. Tutto troppo lieve per convincere, tranne l'insopportabile, volutamente tenero-Giacomista finale, sul ciliegio in fiore: da condannare senz'appello.
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ak-esc
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giovedì 8 dicembre 2011
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grazie ai cinema italiani non lo potrò vedere.
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Nei cinema italiani fanno film "se cosi si possono definire" di ogni tipo, film cosi inutili che non li vedrei nemmeno a pagamento.
Poi esce un film che merita per storia,attori,bravura del regista, ecc... ma a loro non interessa perchè non ci sono attori famosissimi o effetti speciali da milioni di dollari.
Risultato? L'ho dovuto vedere in francese.
Film consigliatissimo un vero capolavoro.
Ps: Guardate quanto ha venduto in Italia quasi 0! Perchè trovare un cinema che lo riproduce e come fare un terno al lotto.
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pepito1948
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mercoledì 7 dicembre 2011
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kaurismaki e la poetica dell'emarginazione
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Marcel Marx è un ex scrittore che decide per qualche motivo di trasferirsi nella francese Le Havre, dove esercita con dignità il mestiere proletario di lustrascarpe ambulante, che lo mette quotidianamente in contatto con l’umanità più varia; vive in una modesta casa con la moglie Arletty (attenzione ai nomi!) ed il cane Laika, circondato da una rete di solidarietà fatta di “piccoli” uomini e donne (baristi, fornai, ortolani) che danno sempre una mano quando serve, finchè due eventi sconvolgono la sua vita: il contatto occasionale con un giovane profugo clandestino in fuga dalla polizia e l’improvvisa grave malattia dell’amata moglie.
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Marcel Marx è un ex scrittore che decide per qualche motivo di trasferirsi nella francese Le Havre, dove esercita con dignità il mestiere proletario di lustrascarpe ambulante, che lo mette quotidianamente in contatto con l’umanità più varia; vive in una modesta casa con la moglie Arletty (attenzione ai nomi!) ed il cane Laika, circondato da una rete di solidarietà fatta di “piccoli” uomini e donne (baristi, fornai, ortolani) che danno sempre una mano quando serve, finchè due eventi sconvolgono la sua vita: il contatto occasionale con un giovane profugo clandestino in fuga dalla polizia e l’improvvisa grave malattia dell’amata moglie. Tutt’altro che scoraggiato, egli lotta sui due fronti, aiutando il ragazzo ad espatriare nonostante l’assiduo tallonamento del commissario Monet e sostenendo il percorso doloroso di Arletty, cui il dott. Becker non ha lasciato speranza, salvo un molto improbabile miracolo. Alla fine la grinta e la fiduciosa pervicacia di Marcel la spunteranno alla grande, e il miracolo si avvera; la sua vita, e quella di coloro che ha contribuito a salvare dal naufragio, potrà ricominciare a fiorire come un ciliegio punteggiato di bianchi boccioli in un’alba di primavera.
Non inganni la semplicità della storia. Aki Kaurismaki è maestro di storie semplici all’apparenza, dietro le quali tuttavia s’intravedono sempre temi sociali fortemente ancorati a quella parte della società che soffre, abbandonata dalla fortuna, sospinta ai margini, perseguitata da guai o vittima di violenze altrui. Ma, a differenza degli autori realisti puri, che descrivono la realtà odierna in modo diretto e partecipato (come Leigh), talvolta rimarcando senza veli la ferocia e le crudeltà ricorrenti a danno dei più deboli (come Loach), Kaurismaki fa parte di quella corrente del neorealismo europeo che usa piccoli racconti per esprimere denunce sociali importanti attraverso uno sguardo distaccato ed astratto, quasi come se l’autore assistesse dalla finestra ad ordinarie scene di vissuto quotidiano, ma concentrando l’attenzione sugli emarginati di tutto il mondo. Le sue storie , anche se ambientate in città o realtà nazionali riconoscibili, potrebbero essere inserite in qualsiasi contesto perché hanno una valenza universale e tutte focalizzate sull’ingiustizia sociale, piaga purulenta di ogni società capitalista occidentale, compresa la sua patria d’origine. Kaurismaki infatti, dopo aver vissuto per alcuni decenni in Finlandia lavorando nel cinema, suonando musica rock con il fratello anche lui cineasta, affogando spesso nell’alcool le frustrazioni verso un mondo che detestava fino alla nausea, ha deciso di abbandonare il suo Paese (ormai “incapace di sopportarne il fetore”) per trasferirsi in Portogallo, ma non ha rinunciato ad improntare il suo cinema ad una costante denuncia delle profonde disuguaglianze che i sistemi sociali più “evoluti” hanno prodotto e continuano a produrre dovunque. E lo fa in punta di piedi, senza alzare la voce, sobriamente, dando al racconto un taglio favolistico e in certi momenti poetico lontano dall’esibizione di situazioni truci o violente (che si presuppongono o avvengono fuori inquadratura) e facendo largo uso dell’ironia per stemperare le tensioni. I personaggi sono abbozzati, proprio perché a forte connotazione simbolica, i dialoghi essenziali alternati a lunghi silenzi che comunicano più delle parole (K. proviene da uno Stato che è tra i primi in Europa quanto a numero di connessioni internet e di telefonini, ed è sede della Nokia, regina dei cellulari), non ci sono campi e controcampi né primi piani, spesso le immagini si dissolvono al nero. Come a chiederci: vedete anche voi quello che (purtroppo) vedo io?
Miracolo a Le Havre non è propriamente un film sulla migrazione, ma in questo caso l’attenzione tipica dell’autore verso il mondo degli umili ed i bistrattati è concentrata su una figura emblematica su cui oggi si scarica il gretto e razzista perbenismo della borghesia occidentale, ossia il migrante clandestino che fugge per dare un senso alla propria vita (nel caso specifico per ricongiungersi alla madre). Marcel lo aiuta attivando tutte le disponibilità solidaristiche dei suoi amici, ed avvalendosi dell’apporto del poliziotto fuori dal coro che, per non rinunciare alla veste (ed agli obblighi) di “parte avversa”, dà una mano al trasgressore mediante messaggi indiretti, criptati, come a dire che ognuno sta dalla sua parte, ma il senso di umanità può creare temporanee alleanze tra persone di nobile animo pur senza confusione di ruoli.
L’ambientazione nella francese Le Havre non è casuale. Già, perché il film, per le molte citazioni che offre è un omaggio al cinema ed alla cultura francese. I nomi attribuiti ai personaggi ne sono chiaro segnale: il protagonista Marcel (Carnè?), la moglie Arletty (grande attrice del passato), dott. Becker (famoso maestro del noir), commissario Monet (un ossequio alla pittura impressionista). Ma anche Chaplin (antesignano dei grandi artisti anticapitalisti), De Sica e Capra sono nel cuore del regista. Per non parlare del cognome Marx, che la dice lunga sulla predilezione dei temi che coinvolgono i proletari o comunque gli emarginati di tutto il mondo. Non mancano le citazioni autobiografiche: in Little Boy, attempata rockstar ormai fuori dal giro che ritorna ad esibirsi per aiutare il protagonista, sembra rispecchiarsi il Kaurismaki suonatore e amante del rock, che ritroviamo in altri suoi film.
In conclusione una favola dei nostri tempi dove il garbo, la poesia, l’umorismo, la nobiltà salvifica dei sentimenti non nascondono una realtà diffusa spietata verso i più deboli, e nel contempo esalta il valore della solidarietà –unica loro arma di protezione reciproca- che talvolta è in grado di dare nuova vita a chi sembrava senza speranza di salvezza. Appunto come un ciliegio in fiore in un’alba di primavera.
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