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Miracoli d'autore

Con Miracolo a Le Havre, Aki Kaurismaki coniuga questioni profonde e poetica personale.
di Roy Menarini

In foto André Wilms e Blondin Miguel in una scena del film Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismaki.
André Wilms 29 aprile 1947, Strasburgo (Francia) - 9 Febbraio 2022, Parigi (Francia). Interpreta Marcel Marx nel film di Aki Kaurismäki Miracolo a Le Havre.

lunedì 28 novembre 2011 - Approfondimenti

Con Miracolo a Le Havre si ripropongono i soliti dibattiti intorno alla pigrizia del cinema d'autore. Il film, pur apprezzato unanimemente dalla critica, appare come il distillato più limpido della poetica di Aki Kaurismaki. Pur nella sua escursione francese – che si ricollega a Vita da Bohème di cui questo film è tecnicamente il seguito – l'autore ripropone una volta di più il linguaggio disossato e essenziale divenuto negli anni la sua cifra riconoscibile. Kaurismaki è uno di quei registi di cui si può riconoscere l'inquadratura appena la si vede, senza nessun rischio di confonderne l'attribuzione. Dunque, qualcuno obietta, i cineasti che in fondo fanno sempre lo stesso film dovrebbero cambiare talvolta stile e forme della narrazione.

È un discorso da prendere sul serio, poiché ci aiuta a comprendere come nel cinema non valgano regole generali, e anzi si debba decidere caso per caso. Kaurismaki è una cartina di tornasole interessante, da questo punto di vista. Egli ha potuto costruire nel corso degli anni, una forma cinematografica che gli appartiene in assoluto. Non è – né può esserlo – completamente originale (visto che prende le mosse dal magistero di Bresson, Ozu e Keaton), eppure nel tempo ha saputo svincolarsi dall'influenza dei maestri per stabilire un canone a se stante.

Ora, fino a che punto un cineasta, pur grande come lui, è autorizzato a sfornare film dalle caratteristiche sempre simili, con collaboratori che ricompaiono ogni volta, e ricchi del medesimo timbro tragicomico, sense of humour, e persino segnati dalle stesse svolte narrative (il ricorso al miracolo, evidenziato nel titolo italiano)?

Una buona soluzione per lo spettatore sarebbe quella di domandarsi se questo "strumento artistico" (la tavolozza cinematografica di un autore) viene di volta in volta messa in gioco e in che modo cerca di interagire col presente e con il mondo. Miracolo a Le Havre, pur non superando precedenti capolavori del regista di Helsinki, sembra porsi queste stesse domande, e si smarca dai rischi di autoreferenzialità insiti nel precedente Le luci della sera, per affrontare temi attuali (l'immigrazione clandestina, la propaganda anti-terrorismo, il ricatto dell'euro e del denaro nell'Europa contemporanea, il ruolo della solidarietà tra esclusi, etc.) e orientare il proprio cinema a una umanità e militanza più vive di prima. Il suo Marcel Marx, fragile e malfermo, persegue il suo obiettivo di protezione del giovane africano con una convinzione commovente. Il quartiere, come nei film di Marcel Carné e Jacques Prévert, lo aiuta, mostrando un "fronte popolare" di sostegno e disobbedienza legale sorprendenti. Il tutto senza facili retoriche né pietismi di seconda mano.

Il cinema di Kaurismaki cerca dunque di sorprendere prima di tutto se stesso, mostrando che cosa significa trovare un equilibrio, e al tempo stesso un rischio, nel rapporto tra ripetuta poetica personale e questioni profonde che appartengono alla civiltà in cui viviamo. Se non un miracolo d’autore, almeno il segno di una intelligenza creativa che sa riflettere su se stessa.

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