gpistoia39
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domenica 4 dicembre 2011
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i miserabili di victor hogo a le havre
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E' stata una bella occasione per me scoprire questa regista filandese a me sconosciuto. Bella cultura, nel film ritroviamo alcuni dei personaggi cari a Victor Hogo nei Miserabili. certo oggi i "miserabili" non stanno più nei sottofondi di Parigi, ma ovunque in Europa, chiusi nei container. E l'altruismo e la solidarietà non appartengono più alla nostra società, dove ormai tutti accolgono con indifferenza le migliaia di barconi che approdono sulle nostre coste. Proprio i frnacesi hanno fatto un gran casino ultimamente, prima dell'estate perché non volevano che gli africani sbarcati a Lampedusa, entrassero nel loro beneamato o ricco (oggi) suolo: Il film non a caso è ambientato negli anni '50, quando la gente sapeva ancora cosa voleva dire solidarietà, dopo la 2a guerra mondiale, quando avevamo tutti le pezze al culo.
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E' stata una bella occasione per me scoprire questa regista filandese a me sconosciuto. Bella cultura, nel film ritroviamo alcuni dei personaggi cari a Victor Hogo nei Miserabili. certo oggi i "miserabili" non stanno più nei sottofondi di Parigi, ma ovunque in Europa, chiusi nei container. E l'altruismo e la solidarietà non appartengono più alla nostra società, dove ormai tutti accolgono con indifferenza le migliaia di barconi che approdono sulle nostre coste. Proprio i frnacesi hanno fatto un gran casino ultimamente, prima dell'estate perché non volevano che gli africani sbarcati a Lampedusa, entrassero nel loro beneamato o ricco (oggi) suolo: Il film non a caso è ambientato negli anni '50, quando la gente sapeva ancora cosa voleva dire solidarietà, dopo la 2a guerra mondiale, quando avevamo tutti le pezze al culo. Bella anche la citazione a Kafka, infatti la ricerca ossessiva di un ragazzo scampato al restrellamento con titoli sui giornali, è proprio una situazione kafliana. Il poliziotto qui è trasformato non in persecutore, ma bensì in amico, in soccorritore, in complice, mentre in Kafka è sempre persecutorio, ma la situazione in generale è anche kafkiana, anche se finisce bene, c'è il miracolo. "Dai e ti sarà dato". Dovrebbe essere così per tutti, non solo nel 1950 a Le Havre.
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olgadik
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domenica 4 dicembre 2011
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magari fosse vero...
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Partito come un racconto dal fine etico sul problema immigrazione, l’ultimo film di Kaurismäki, assente dalle scene da quattro anni (Le luci della sera), prende nella seconda parte l’andamento di una favola cinematografica un po’ vintage. Si pensa subito, un po’ per il titolo un po’ per alcune somiglianze, al capolavoro di De Sica-Zavattini con gli indimenticabili barboni di Miracolo a Milano che sorvolano su scope il duomo, ma forse ancora di più la memoria va alle fiabe urbane e positive di Frank Capra. Detto questo, è vero poi che il maestro finlandese ha un modo tutto suo di raccontare quasi a doppio sguardo in quanto per tecnica, asciuttezza di dialogo, fotografia, da una parte osserva impassibile il dipanarsi degli eventi, dall’altra il guardare si veste di solidarietà umana come per le creature maltrattate di Dickens.
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Partito come un racconto dal fine etico sul problema immigrazione, l’ultimo film di Kaurismäki, assente dalle scene da quattro anni (Le luci della sera), prende nella seconda parte l’andamento di una favola cinematografica un po’ vintage. Si pensa subito, un po’ per il titolo un po’ per alcune somiglianze, al capolavoro di De Sica-Zavattini con gli indimenticabili barboni di Miracolo a Milano che sorvolano su scope il duomo, ma forse ancora di più la memoria va alle fiabe urbane e positive di Frank Capra. Detto questo, è vero poi che il maestro finlandese ha un modo tutto suo di raccontare quasi a doppio sguardo in quanto per tecnica, asciuttezza di dialogo, fotografia, da una parte osserva impassibile il dipanarsi degli eventi, dall’altra il guardare si veste di solidarietà umana come per le creature maltrattate di Dickens. Un bel miscuglio, dunque, dosato con equilibrio e con quel fascino suo tutto nordico che non si perde, pure se l’ambientazione questa volta è a Le Havre. Della città francese Kaurismäki ritaglia un brano di periferia, zona porto, piuttosto misero e squallido, dove tutto è spoglio, essenziale, come i gesti e le parole. La mancanza di ogni sottolineatura nella prime sequenze che raccontano il tran-tran quotidiano dei personaggi, sembra ingrigire e schiacciare tutto. Il protagonista Marcel Marx (André Wilms) vive facendo il lustrascarpe dopo essere stato un mediocre scrittore bohemien e ha trovato una certa tranquillità tra l’affetto per la moglie Arletty (Kati Outinen), il bar vicino alla sua casa e l’amicizia dei vicini che lo stimano e gli fanno credito quando i magri guadagni non bastano per il companatico. Accanto il fedelissimo cane Laika e un amico straniero che l’aiuta nella sua attività molto poco attiva. Ma accadono due fatti nuovi: l’incontro con Idrissa, un ragazzino nero sfuggito all’arresto come clandestino che si rifugia da lui e il ricovero della moglie, affetta da male incurabile, in ospedale. Il nostro di divide con rara dolcezza tra i due che hanno bisogno di affetto e di aiuto e alla fine, con la collaborazione di tutto il piccolo quartiere, riesce a trovare il denaro per far partire il ragazzo alla volta di Londra ove si ricongiungerà alla madre. Anche il commissario di polizia che dovrebbe catturare il giovanissimo migrante ha un sussulto di umanità e lascia fare… Il giorno dopo anche la moglie guarisce per “miracolo” e la vita riprende semplice e complice, com’era prima, con qualche puntatina nel surreale. Così si conclude la favola bella che vede agire solo un cattivo, un uomo della zona che fa lo spione per la polizia, simbolo di quell’umanità, questa sì frequente, pronta a far del male ad altri quasi per insipienza, oscure insoddisfazioni, raggelanti ripicche. Dei tre precetti della Rivoluzione francese il regista sceglie di rappresentare l’ultimo, disperando forse dei primi due. Oggi infatti si è portati a considerare tali concetti qualcosa da favola utopica, anche se teoricamente tutti sono d’accordo; di eguaglianza poi meglio non parlarne affatto. Ma poiché far bene produce veri miracoli, Kaurismäki ha voluto sottovoce e con garbo ricordarcelo, avvertendoci nello stesso tempo di non crederci troppo.
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emanuele 1968
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domenica 4 dicembre 2011
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bellisimo
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Bellissimo, raffinato, carico di umanità e buon senso, il biglietto ne vale la spesa, adatto ad un pubblico over 30. Grandi André Wilms Kati Outinen e Jean-Pierre Darroussin.
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zoom e controzoom
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sabato 3 dicembre 2011
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una semplicità alla marc chagall
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Non leggendo presentazioni o critiche dei film, rischio di trovarmi spiazzata ad una proiezione. Così è successo con questo film. Subissata quotidianamente da immagini complesse o tecnicamente elaborate o appositamente traballanti, come gran parte dei film oggigiorno usano per dare corpo al loro racconto, non riuscivo a capire davanti a che cosa mi trovavo.
Qui non c'è nulla di tutto questo. Le inquadrature sono il risultato di una scelta ponderata e scabra, ma non povera, una scelta precisa del raccontare come si racconta una favola, senza prìncipi o eroi, una favola attuale, con problematiche attuali e personaggi attuali: una favola con immagini di un libro selto tra i più semplicemente confezionati.
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Non leggendo presentazioni o critiche dei film, rischio di trovarmi spiazzata ad una proiezione. Così è successo con questo film. Subissata quotidianamente da immagini complesse o tecnicamente elaborate o appositamente traballanti, come gran parte dei film oggigiorno usano per dare corpo al loro racconto, non riuscivo a capire davanti a che cosa mi trovavo.
Qui non c'è nulla di tutto questo. Le inquadrature sono il risultato di una scelta ponderata e scabra, ma non povera, una scelta precisa del raccontare come si racconta una favola, senza prìncipi o eroi, una favola attuale, con problematiche attuali e personaggi attuali: una favola con immagini di un libro selto tra i più semplicemente confezionati. La bellezza del film è questa perchè la poesia che si crea è quella che nasce dalle cose vere, in un quotidiano normale, come dovrebbe essere, ma come invece accade solo nelle favole appunto, perchè la realtà è più sporca, più complessa. Un film essenziale pur essendo molto curato, ma non solo nelle inquadrature: nelle scelte cromatiche e nei fantastici dialoghi, semplici, appunto: fantastici. Molto francese nella scelta della fisicità dei personaggi, nella loro spiccata identità, nella scelta dell'ambito sociale nel quale la storia si svolge. Come il miracolo non è quello della guarigione, probabilmente dovuta a qualche cosa di molto più umano come una errata valutazione, ma altresì quello della riuscita fuga del ragazzino, così il miracolo è riuscire ad essere semplici quando tutto quello che passa sotto i nostri occhi ci ha portato godere solo se c'è in ciò che vediamo e viviamo, un'espressività rindondante. In questo film, pare tutto troppo semplice, facile, come un quadro di Chagall che a guardarlo, si dice che anche un bambino lo potrebbe fare, ma il miracolo è esattamente quello che un adulto sappia confezionare una favola a lieto fine anche se sa che non è vero.
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amici del cinema (a milano)
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giovedì 1 dicembre 2011
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un film essenziale che punta dritta al cuore
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Io sono stato letteralmente conquistato da questo film.
Amo l'essenzialità dei personaggi, da Marcel Marx, a Idrissa, all'Ispettore Monet, sono persone prive del superfluo, con il carattere scolpito nella concretezza dei sentimenti.
Molto bella la regia, con tante inquadrature, quasi come quadri o foto, immobili come per trattenere per un attimo il concetto stesso delle cose per poi lasciar fluire lo scorrere del film.
Anche i colori sul verde smeraldino o sul blu riescono molto a caratterizzare la pellicola.
E' uno stile particolare quello di Kaurismaki e a me piace molto.
"Miracolo a Le Havre" e' una favola che ci fa sperare che con la bontà d'animo si possano davvero cambiare le vicende umane (al massimo quelle quotidiane).
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Io sono stato letteralmente conquistato da questo film.
Amo l'essenzialità dei personaggi, da Marcel Marx, a Idrissa, all'Ispettore Monet, sono persone prive del superfluo, con il carattere scolpito nella concretezza dei sentimenti.
Molto bella la regia, con tante inquadrature, quasi come quadri o foto, immobili come per trattenere per un attimo il concetto stesso delle cose per poi lasciar fluire lo scorrere del film.
Anche i colori sul verde smeraldino o sul blu riescono molto a caratterizzare la pellicola.
E' uno stile particolare quello di Kaurismaki e a me piace molto.
"Miracolo a Le Havre" e' una favola che ci fa sperare che con la bontà d'animo si possano davvero cambiare le vicende umane (al massimo quelle quotidiane).
D'altronde, come ricorda Kaurismaki nell'intervista su Ciak di questo mese, Havre deriva da Heaven...
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angelo umana
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giovedì 1 dicembre 2011
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da noi un lustrascarpe lo chiamano terrorista
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Aki Kaurismaki viene annoverato tra i grandi registi e malgrado suoi criptici e lenti film su solitudini finlandesi è chiamato “pittore di cinema”. Nel caso di Le Havre o Miracolo a Le Havre egli ha scritto diretto e prodotto un quadretto ben disegnato, pare un set teatrale anche nelle scene da esterni; è una favola con ogni cosa al suo posto e nemmeno l’umorismo manca. Finisce anche bene come nelle migliori commedie. I miracoli che vi si compiono sono ben due, uno è che il ragazzo gabonese, Idrissa, di cui l’anziano Marcel si prende cura - rimasto al chiuso e al buio di un container con altri connazionali durante tre settimane, secondo i funzionari francesi per un semplice “problema di registrazione” - riesce a raggiungere sua madre a Londra a bordo di un peschereccio e l’altro miracolo è la guarigione da un tumore della moglie di Marcel, Arletty, malgrado essa stessa dica che i miracoli non accadono nel suo quartiere.
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Aki Kaurismaki viene annoverato tra i grandi registi e malgrado suoi criptici e lenti film su solitudini finlandesi è chiamato “pittore di cinema”. Nel caso di Le Havre o Miracolo a Le Havre egli ha scritto diretto e prodotto un quadretto ben disegnato, pare un set teatrale anche nelle scene da esterni; è una favola con ogni cosa al suo posto e nemmeno l’umorismo manca. Finisce anche bene come nelle migliori commedie. I miracoli che vi si compiono sono ben due, uno è che il ragazzo gabonese, Idrissa, di cui l’anziano Marcel si prende cura - rimasto al chiuso e al buio di un container con altri connazionali durante tre settimane, secondo i funzionari francesi per un semplice “problema di registrazione” - riesce a raggiungere sua madre a Londra a bordo di un peschereccio e l’altro miracolo è la guarigione da un tumore della moglie di Marcel, Arletty, malgrado essa stessa dica che i miracoli non accadono nel suo quartiere.
Si tratta di un film sull’immigrazione e sull’integrazione, sempre complicata. Buoni sentimenti e solidarietà tra la gente umile del quartiere e i nuovi arrivati, c’è uguaglianza tra i residenti che hanno molto poco, che tendono a una vita fatta di quasi nulla o solo di rapporti umani (che non è poco!) e gli uomini che fuggono dai loro paesi, protesi verso uno status anche solo un poco più decente, sebbene in questi luoghi il lustrascarpe Marcel venga chiamato terrorista dal commesso di un negozio per gente “bene”. Ci sono infatti “più certificati di nascita che pesci nel Mediterraneo”, un documento falso pur di sopravvivere nell’occidente con la polizia sguinzagliata alla ricerca di clandestini.
Curzio Maltese ha scritto a proposito del film che “da uomo e da poeta Kaurismaki giudica semplicemente ignobile qualsiasi legge o sistema che impedisca a un figlio di raggiungere la propria madre”, ed è il miglior riassunto del film, ma sicuramente i film e i libri sul fenomeno delle grandi migrazioni contemporanee sono numerosi, certo mai quanto il numero di persone che cerca di raggiungere i nostri paesi o quello di coloro che non arrivano alla meta. Allora i confronti con altri film sul tema diventano inevitabili, e il pensiero non può non andare a Welcome di Philippe Lioret, senz’altro più realista e meno decorativo di Le Havre: così è, qualcuno ci fa sembrare la scena più vera e vissuta, qualcuno no. Senza voler essere irriguardosi questo film è “scritto diretto e prodotto” da Kaurismaki ma copiato da Welcome – e poi imbellettato ma pure appesantito da incredibili macchiette come il cantante “little boy”, passato in tutti i sensi, dagli euro già circolanti accanto ad arcaiche Renault e abbigliamenti dei ’70.
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diegobergamini
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giovedì 1 dicembre 2011
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bellissimo.
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lella53
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martedì 29 novembre 2011
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film garbato e toccante
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La visione di Miracolo a Le Havre è stata scelta da me appositamente per verificare quello che avevo già precedentemente letto, ma devo dire che mi ha ancora più piacevolmente sorpresa per l'insieme azzeccato del film, dagli interpreti molto bravi, ai luoghi, al tema del film e alla straordinaria fine che fa riflettere e molto sulla quotidianità.
Potrebbe forse sembrare una bella favola, ma il fondo, secondo me, è molto più profondo e scusate il gioco di parole!
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antonio montefalcone
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lunedì 28 novembre 2011
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il minimo fa rima con il massimo! - recensione
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L’ultimo film di Kaurismäki è il seguito tecnico di “Vita da bohème” e lo ricorda molto: per l’ambientazione francese, reale e surreale al tempo stesso; per il quadro di miserie e squallori; per il tono agrodolce; lo stile poetico e nostalgico; per i personaggi credibili, emarginati e bisognosi d’aiuto. Ma se ne differenzia per ciò che maggiormente esprime: un intenso umanitarismo. Non a caso è un caloroso omaggio al cinema che fu di De Sica e Renè Clair, rimandando affettuosamente a ciò che più sembravano i loro film: messaggi di vera bontà. E non per niente c’è anche un cammeo di J.P. Léaud (era il bambino solo, inquieto e incompreso di Truffaut) emblematico rimando al desiderio di fuga da un mondo che reprime, verso la realizzazione dei propri desideri, passioni, affetti.
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L’ultimo film di Kaurismäki è il seguito tecnico di “Vita da bohème” e lo ricorda molto: per l’ambientazione francese, reale e surreale al tempo stesso; per il quadro di miserie e squallori; per il tono agrodolce; lo stile poetico e nostalgico; per i personaggi credibili, emarginati e bisognosi d’aiuto. Ma se ne differenzia per ciò che maggiormente esprime: un intenso umanitarismo. Non a caso è un caloroso omaggio al cinema che fu di De Sica e Renè Clair, rimandando affettuosamente a ciò che più sembravano i loro film: messaggi di vera bontà. E non per niente c’è anche un cammeo di J.P. Léaud (era il bambino solo, inquieto e incompreso di Truffaut) emblematico rimando al desiderio di fuga da un mondo che reprime, verso la realizzazione dei propri desideri, passioni, affetti. L’opera è un capolavoro perché riesce a trasmettere autenticità e emoziona per la sua freschezza. Affascina nella sua grazia. E’ interessante per la tematica attuale. E’ sorprendente per come tratta di clandestinità e miseria, con rispetto e pudore, fantasia e intelligente ironia. A Le Havre, una cittadina francese meta di profughi africani, un lustrascarpe si ritrova a fronteggiare la durezza della sua condizione esistenziale tra povertà e difficoltà quotidiane, una moglie molto malata e persino un bambino clandestino che fugge una legge repressiva. E’ un’opera toccante, di ottima qualità visiva e con attori eccellenti. Una storia universale pregna di malinconico ottimismo, che sa ben dosare, in un magico equilibrio, un divertimento esilarante e una tragicità riflessiva. Sapientemente lontano da retoriche, enfasi o stereotipi, la magistrale regia di Kaurismäki punta dritto all’essenziale, usando uno stile minimalista che riesce ad esprimere il cuore autentico delle cose e delle cose davvero importanti. Lo fa con un tocco sobrio e sensibile, selezionando situazioni e significati, scene e dialoghi eloquenti e mai inutili. Nessuno come lui sa descrivere così bene mondi e personaggi alle prese con la mancanza di materialità necessarie a sopravvivere, ma ricchi di quei valori, principi etici e ideali che li eleva sopra il rango più onorevole dell’essere uomini. Tutto esalta questo aspetto: dall’eleganza formale, alla nobiltà degli assunti. Non si può non restare coinvolti da un’estetica pura e curata: inquadrature chiare e immediate, pochissimi movimenti della macchina da presa, colori tenui e antirealistici, atmosfere soft e struggenti, suoni blues, scenografie anni ’50, ritmo scandito. Azzeccata è poi la scelta di non cancellare, nonostante il registro fiabesco, le disperazioni e le sofferenze, la vita agra del porto e le angosce, e poi malattia e morte, emarginazione e miseria. Per questo è solo in apparenza un apologo sull’utopia della solidarietà e fratellanza globale. E’ in realtà un invito a riflettere su come meglio comportarci moralmente gli uni con gli altri. E questo sia dal punto di vista di giochi e strategie politiche degli Stati, spesso disumani e folli; sia da quello del singolo individuo, spesso irrispettoso e intollerante. Non basta soltanto desiderare un mondo migliore, bisogna agire! E non servono nemmeno i miracoli divini, tanto avvengono di rado. Gli uomini devono impegnarsi a dare un futuro ad altri uomini! Basta poco, in fondo, per ritrovare compassione e regalare generosità a un mondo che l’ ha dimenticata. Basta solo credere nel potere della tolleranza e della solidarietà. E questa fede potrà compierà il miracolo. Non soltanto al cinema...
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melandri
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lunedì 28 novembre 2011
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un ciliegio ci salvera'?
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Le Havre,Francia.Marcel,un lustrascarpe che vive nei sobborghi in compagnia della moglie Arletty e del cane Laika,è il nuovo "eroe" made in Kaurismaki.La firma del regista finlandese la si riconosce già alla prima inquadratura.Il suo cinema fatto di immagini fisse,silenzi e battute spiazzanti al limite del demenziale è come sempre inconfondibile.La storia/favola dell'amicizia tra Marcel ed il piccolo immigrato clandestino Idrissa che cerca di raggiungere la madre in un paese lontano dal suo, è l'ennesimo spunto che permette a Kaurismaki di continuare la sua parabola di cantore e difensore dei diseredati.Tra location ed arredi che sembrano sospesi nel tempo,il regista ci prende per mano e ci porta nelle viscere di quella realtà dei giorni nostri che spesso facciamo finta di non vedere;la povertà,il razzismo,l'indifferenza verso l'altro,la malattia.
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Le Havre,Francia.Marcel,un lustrascarpe che vive nei sobborghi in compagnia della moglie Arletty e del cane Laika,è il nuovo "eroe" made in Kaurismaki.La firma del regista finlandese la si riconosce già alla prima inquadratura.Il suo cinema fatto di immagini fisse,silenzi e battute spiazzanti al limite del demenziale è come sempre inconfondibile.La storia/favola dell'amicizia tra Marcel ed il piccolo immigrato clandestino Idrissa che cerca di raggiungere la madre in un paese lontano dal suo, è l'ennesimo spunto che permette a Kaurismaki di continuare la sua parabola di cantore e difensore dei diseredati.Tra location ed arredi che sembrano sospesi nel tempo,il regista ci prende per mano e ci porta nelle viscere di quella realtà dei giorni nostri che spesso facciamo finta di non vedere;la povertà,il razzismo,l'indifferenza verso l'altro,la malattia.Tutti(o quasi) i mali del nostro tempo,sembra dire dire il regista,si possono risolvere tendendo una mano e con un po' di fortuna e di cooperazione, tra chi ,a volte è abituato a guardarsi in cagnesco,.La figura del commissario(l'ottimo Darroussin ,qualcuno lo ricorderà ne "il mio amico giardiniere" del 2007)con i modi da faina ma con un cuore che batte sotto l'impermeabile scuro,è la cartina di tornasole del film.Senza la sua "ribellione" al sistema ,tutti gli sforzi dei compagni di sventura (ai quali sarà difficile non affezzionarsi all'istante ) sarebbero vani,e quel ciliegio alla fine non potrebbe fiorire.
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